http://interdependence.eu/ martedì 31 ottobre 2017
Perché non sono più comunista di Cristiana Cattaneo
Nella mia giovinezza sono diventata comunista innanzitutto perché le persone care e buone che conoscevo lo erano. Cosicché io, già consapevole di una certa accidentalità del giudizio umano, pregavo il buon Gesù di farmi diventare da grande comunista e non fascista.
Intorno ai vent’anni le mie convinzioni cominciarono a incrinarsi su due fronti: il primo pratico, il secondo teorico.
Sul piano pratico fu chiaro a un certo punto che la lotta politica in cui eravamo allegramente maturati era giunta a una svolta – quella della lotta armata clandestina – che istintivamente mi ripugnava: e per la violenza che comportava e perché ovviamente si consegnava a gestori incontrollabili, come infatti avvenne. Tutto questo rinviava ai grandi sistemi della rivoluzione – sovietico, cinese, cambogiano, forse anche cubano – che sempre più mostravano il volto feroce dei massacri e delle persecuzioni e quindi il tradimento degli ideali a cui originariamente con qualche sincerità, che io potevo e posso ben capire, si ispiravano. Mi trivellava l’anima il dubbio sempre più consistente che il fine non giustifica i mezzi, ma anzi questi lo rendono sospetto. Incominciai a chiedermi se gli scopi delle rivoluzioni, questa messa in moto di enormi masse da parte di ristrette élite, non fosse sempre funzionale alla più disumana volontà di potenza. Ed effettivamente, esaminando nella storia l’incongruenza tra gli ideali sbandierati e gli effetti ottenuti, mi resi conto quanto meno che, nel maneggiare grandi sistemi, gli uomini necessariamente non sono, né possono essere,in grado di controllare tutto quello che si mette in moto. E quindi gli eventi si assestano poi sempre in funzione di un dominio sempre più assoluto. La straordinaria forza che i processi rivoluzionari esercitano sulle coscienze è l’idolatria sanguinaria che sviluppano in corso d’opera, come appresi anche da un grande scrittore comunista, Anatole France.
Sul piano teorico affioravano dubbi che in un primo tempo avevo sospeso intorno al dominio sulla natura (bisogna arrivare ai Francofortesi per correggere Marx), al culto del moderno (soviet più elettrificazione mi faceva rabbrividire), e poi, soprattutto, al primato dell’economia e alla cattiva metafisica della storia.
Ciononostante il marxismo mi ha lasciato una traccia indelebile nell’attitudine alla critica dell’esistente. Ed è anche grazie ad esso che non ho timore di pensare controcorrente. Infatti prendere le distanze da Marx non significa aderire a ciò che egli criticava. Mantenere la critica dell’esistente oggi comporta rovesciare coraggiosamente i quadri ereditati dal passato. Ad esempio capire che le istanze emancipative odierne sono interamente strategia di mercato, così come il bagaglio leggero della sinistra ex combattente è divenuto ben presto maquillage delle élites e oggi pensiero unico dominante. Significa vedere senza infingimenti che il mercato governa direttamente le società, tenendo a laccio corto i cani della politica e dell’informazione. Vedere che oggi organizzazioni umanitarie e ong prive di qualsivoglia controllo dal basso veicolano il veleno ideologico che deve essere inoculato nella popolazione per farne un nuovo tipo di carne da cannone. Vedere come l’ideologia dei diritti, dal 1789 in avanti, abbia accompagnato e coperto la crescita smisurata e capillare del potere di gestione delle masse, pilotate alla disgregazione fino all’obnubilamento di ogni coscienza di bene comune.
A un certo punto mi resi conto poi che il femminismo, subentrato al marxismo, sempre più si caratterizzava nei termini di una via alla liberazione che, già fallita sul proletariato mondiale ormai deprivato in modo inaudito di mezzi e dignità su scala planetaria, operava allo stesso modo e più velocemente sull’universo femminile, consegnando in massa le donne al controllo di mode e poteri e sensibilità letteralmente disumanizzanti, naturalmente in nome della loro parità con il già alienato mondo sociale maschile. Fino a deprivarle grottescamente dei caratteri fondanti della loro femminilità, oggi anch’essa spalmata a piacere su un’umanità violentata dall’ideologia dell’indifferenza e dell’arbitrio individuale, tanto più succube dunque delle proposte infami del mercato: uomini e donne ridotti a materia prima di produzione, merce e autoconsumo.
Dunque anche: grazie Marx. Ma mai più comunista. L’albero si giudica dai frutti e i milioni di morti, le devastazioni e le immani sofferenze con cui sono state pagate le illusioni dei paradisi in terra sono più che eloquenti. Purtroppo, il comunismo non è stato che una variante del potere diretto sui grandi sistemi sociali, cioè del potere quale si concepisce dalla Rivoluzione Francese in avanti. Dalla quale infatti discende altrettanto l’ideologia democratica e l’universalismo sociale che ha imbellettato la spinta colonialista e sfruttatrice dei poteri europei in via di secolarizzazione e ha sdoganato l’assolutismo e l’arbitrio del potere moderno. Rinnegare le radici cristiane dell’Europa, oltre che una cretinata colossale, significa consegnarsi anima e corpo al Leviatano. E siamo giunti infatti al dominio diretto del mercato sui singoli, attraverso quegli stessi canali istituzionali, altamente ideologizzati, in cui s’è articolato lo stato moderno: scuola, sanità, fiscalità, giustizia, rappresentatività politica, cultura, per non citare l’economia ormai identificata con le banche.
Ma non ho smesso di pensare e contendere al sistema giustizia e libertà autentiche. Nel mondo totalmente amministrato e ideologizzato difendo strenuamente innanzitutto in me l’autonomia e la dignità che rispetto nell’uomo. Dignità e autonomia che le leggi possono riconoscere, ma non conferire, possono negare, ma non abolire, perché vengono da sfere sovraordinate al mondo. E io oggi credo che non sia possibile né intendere, né sopportare il destino storico al quale ci siamo consegnati, senza concepire il ruolo dello Spirito Santo nella vicenda umana. E penso che senza riferirvisi non sia possibile alcuna efficace resistenza al male che superbamente avanza.
Infine, non sono più comunista perché ho presto smesso di concedermi al cattivo mito dell’umanità divenuta adulta. Dove ciò significa in fondo aderire a una visione cinica e ispirata al più brutale realismo. Il mondo disincantato mi ripugna nella sua falsità, sia perché il mondo è davvero un incanto, un miracolo di creazione e impermanenza, di sostanzialità e gratuità insondabile, sia perché nulla come il disincanto consegna all’arbitrio e all’illusione.
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