http://www.palermo-grad.com/ 07 October 2017
Come fare la rivoluzione senza prendere il potere ...a luglio di Daniel Gaido traduzione di Daniele Vallotto
Nel 1917 la Russia contava 165 milioni di cittadini, dei quali solamente 2 milioni e 700 mila vivevano a Pietrogrado. Nella capitale abitavano 390.000 operai – un terzo erano donne –, tra i 215.000 e i 300.000 soldati di guarnigione e circa 30.000 marinai e soldati di stanza nella base navale di Kronstadt. Dopo la Rivoluzione di Febbraio e l’abdicazione dello zar Nicola II, i Soviet, guidati dai Menscevichi e dai Socialisti Rivoluzionari, cedettero il potere a un governo provvisorio non eletto che era deciso a mantenere la Russia belligerante nella Prima Guerra Mondiale e a ritardare la riforma agraria fino all’elezione dell’Assemblea Costituente, rimandata a data da destinarsi. Inoltre i Soviet avevano richiesto la creazione di commissioni di soldati e avevano dato istruzioni di disubbidire a ogni ordine ufficiale che andasse contro gli ordini e i decreti del Soviet dei Deputati, degli Operai e dei Soldati. Queste decisioni contraddittorie provocarono una duplice e precaria struttura di potere, caratterizzata da crisi di governo ricorrenti. La prima di queste crisi avvenne nell’aprile 1917, a guerra in corso, e terminò quando i principali leader politici borghesi – Pavel Milyukov del Partito dei Cadetti (cioè il Partito Democratico Costituzionale) e Alexander Guchkov del Partito Ottobrista –vennero rimossi dalle loro cariche. Inoltre, la crisi rivelò l’impotenza del governo nella guarnigione di Pietrogrado: le truppe rispondevano alla Commissione Esecutiva del Soviet di Pietrogrado piuttosto che all’allora comandante, il generale Lavr Kornilov. Il governo di coalizione che venne formato in seguito alla crisi comprendeva nove ministri provenienti dai partiti borghesi e sei ministri dai cosiddetti partiti socialisti. Il principe Georgy Lvov rimase primo ministro e ministro dell’interno, ma l’astro nascente del governo era il ministro della guerra e della marina, Alexander Kerensky, membro del Partito Socialista Rivoluzionario. Il gabinetto comprendeva anche i menscevichi Irakli Tsereteli, ministro delle poste e telegrafi, e Matvey Skobelev, ministro del lavoro. I Socialisti Rivoluzionari Viktor Chernov and Pavel Pereverzev si aggiunsero alla coalizione, l’uno come ministro dell’agricoltura, l’altro come ministro della giustizia.
Il Partito Bolscevico nell’estate del 1917 I Bolscevichi si trovano in difficoltà nella prima metà del 1917. Inizialmente si opposero alla manifestazione per la Giornata Internazionale della Donna, che porterà invece alla Rivoluzione di Febbraio. Successivamente il Partito Bolscevico subì una brusca svolta a destra a metà marzo, quando Lev Kamenev, Josef Stalin e Matvei Konstantinovic Muranov, di ritorno dalla Siberia, rilevarono l’organo di partito, la “Pravda”. Sotto il loro controllo, il giornale espresse il proprio sostegno critico nei confronti del governo provvisorio, rifiutò lo slogan “Abbasso la guerra” e chiese che si mettesse fine alle attività di disorganizzazione al fronte. Queste posizioni erano in netto contrasto con le opinioni che Lenin aveva espresso nelle sue Lettere da Lontano, per cui non è certo sorprendente che la “Pravda” pubblicasse solo la prima di queste, peraltro con numerosi tagli. Secondo la testimonianza di Alexander Shlyapnikov: Il giorno in cui venne pubblicato il primo numero della “Pravda riformata”, il 15 marzo, fu un giorno trionfale per i “difensisti”. Tutto il Palazzo di Tauride, dai membri della Commissione della Duma alla Commissione Esecutiva, il cuore della democrazia rivoluzionaria, era colmo di una sola notizia, la vittoria dei bolscevichi moderati e ragionevoli sugli estremisti. Nella stessa Commissione Esecutiva venivamo guardati con sorrisi velenosi. Queste opinioni andavano per la maggiore tra i leader bolscevichi a Pietrogrado allorché, il 3 aprile, Lenin giunse alla Stazione di Finlandia. Il giorno dopo Lenin presentò le sue famose Tesi d’aprile ai delegati bolscevichi durante il Congresso panrusso dei Deputati degli Operai e dei Soldati. In opposizione a Kamenev e Stalin, Lenin riaffermò la sua totale sconfessione del “difensismo rivoluzionario” e invocò la fraternizzazione con i soldati nemici al fronte. Inoltre adottò la prospettiva di Leone Trotsky, descrivendo il “momento attuale” come una transizione tra un primo stadio “borghese-liberale” della rivoluzione e il secondo stadio “socialista”, durante il quale il potere sarebbe passato nelle mani del proletariato. Lenin si oppose al “sostegno limitato” di Stalin e Kamenev al governo provvisorio, invocando invece un totale rifiuto, e respingendo l’idea che i bolscevichi potessero ricongiungersi con l’ala meno radicale dei menscevichi. Da allora in poi, i bolscevichi spinsero affinché tutto il potere passasse ai Soviet, che avrebbero poi armato il popolo, abolito la polizia, l’esercito e la burocrazia statale, confiscato i possedimenti dei proprietari terrieri e trasferito il controllo della produzione e della distribuzione ai lavoratori. Durante il settimo Congresso panrusso del Partito Bolscevico, tenutosi a Pietrogrado dal 24 al 29 aprile, le posizioni di Lenin sulla guerra e il governo provvisorio ottennero la maggioranza. Il Partito Bolscevico aveva ancora dimensioni piuttosto modeste all’inizio del 1917, con appena 2.000 membri a Pietrogrado, lo 0,5% del proletariato industriale cittadino. Tuttavia, all’apertura del Congresso di aprile, le iscrizioni al partito erano già salite fino a 16.000 nella sola capitale. A fine giugno erano raddoppiate. 2.000 soldati della guarnigione si erano uniti all’Organizzazione Militare Bolscevica, e altri 4.000 erano diventati soci del Club Pravda, un’organizzazione esterna al partito e riservata al personale militare, ma guidata in effetti dall’Organizzazione Militare Bolscevica. La crescita repentina delle iscrizioni trasformò l’organizzazione. Le sue file si irrobustirono con dei nuovi acquisti che sapevano poco di marxismo, ma erano ben pronti per l’azione rivoluzionaria. Nel frattempo, i bolscevichi cominciato a incorporare altre organizzazione già esistenti. Il 4 maggio, il giorno prima della formazione del governo di coalizione, Trotsky tornò dall’esilio. Ora che lui e Lenin avevano trovato un terreno comune, Trotsky cominciò a rinsaldare i legami tra la sua Mezhraiontsy (o organizzazione interdistrettuale) di Pietrogrado e il partito guidato da Lenin. Ma nonostante la crescita esponenziale, i Bolscevichi erano ancora in minoranza: il 3 giugno, quando cominciò il primo Congresso panrusso dei Soviet dei Deputati degli Operai e dei Soldati, essi rappresentavano meno del 10 per cento dei delegati. A questo incontro parteciparono 1.090 delegati – 822 dei quali aveva diritto di voto – che rappresentavano oltre 300 soviet di operai, soldati e contadini e 53 soviet regionali, provinciali e distrettuali. I bolscevichi, con i loro 105 delegati, erano la terza forza, dietro ai Socialisti Rivoluzionari (285 delegati) e i Menscevichi (248). A quel tempo, a Pietrogrado c’erano tre organizzazioni del Partito Bolscevico: il Comitato Centrale, formata da 9 persone, l’Organizzazione Militare panrussa e il ‘Comitato di Pietroburgo’. Ognuna di queste aveva le sue responsabilità, il che le rendeva soggette a varie e confliggenti pressioni. La Commissione Centrale, che doveva considerare la situazione del paese intero, si trovò spesso a dover frenare i gruppi più radicali.
Preparativi L’Organizzazione Militare Bolscevica pianificò una dimostrazione armata per il 10 di giugno con l’obiettivo di esprimere l’opposizione delle masse ai preparativi del governo provvisorio per un’offensiva militare, ai tentativi di Kerensky di ristabilire la disciplina nelle caserme e all’aumento delle minacce di trasferimento al fronte. Venne però annullata all’ultimo momento, vista l’opposizione del Congresso dei Soviet. Alcuni elementi del Partito Bolscevico, in particolare nel Comitato di Pietroburgo e nell’Organizzazione Militare, avevano visto nella manifestazione poi abortita una potenziale insurrezione. E Lenin stesso dovette presenziare ad un incontro d’emergenza per difendere la decisione del Comitato Centrale di cancellare la mobilitazione. Lenin spiegò che il Comitato Centrale aveva dovuto osservare un esplicito ordine del Congresso dei Soviet e che, diversamente, la controrivoluzione avrebbe utilizzato la manifestazione per i propri scopi. Disse Lenin: Persino in guerra può succedere che un’offensiva programmata da tempo venga cancellata per ragione di strategia; e questo è assai più probabile che accada nella lotta di classe [...]. È necessario saper determinare la situazione ed essere audaci nelle decisioni. Il Congresso dei Soviet votò per manifestare la settimana successiva, il 18 giugno, e ordinò di partecipare, non armate, a tutte le unità militari del presidio. I bolscevichi trasformarono l’appuntamento di lotta in una mobilitazione contro il governo, con la partecipazione di oltre 400.000 manifestanti. Un testimone della Rivoluzione Russa come Nikolai Sukhanov ricorda: Tutti gli operai e i soldati di Pietrogrado vi presero parte. Ma qual era il carattere politico della manifestazione? “Ancora i bolscevichi”, notai, guardando gli slogan “e lì dietro c’è un’altra fila bolscevica” [...] “Tutto il potere ai Soviet!” “Abbasso i dieci ministri capitalisti!” “ Pace nei tuguri, guerra nei palazzi!”. In questo modo risoluto e duro la Pietroburgo operaia, e contadina, l’avanguardia della rivoluzione russa e mondiale, espresse la propria volontà. I Bolscevichi avevano programmato la manifestazione con la Federazione Anarco-Comunista di Pietrogrado, uno dei due principali gruppi anarchici attivi in quel periodo. La Commissione Provvisoria Anarchica Rivoluzionaria decise di scavalcare il proprio alleato e fece evadere dalla prigione di Vyborg F. P. Khaustov, direttore del giornale dell’Organizzazione Militare Bolscevica. In risposta, il governo irruppe nel quartier generale degli anarchici, uccidendo uno dei suoi leader. Insieme all’offensiva di luglio di Kerensky e ai nuovi ordini di armi e uomini, l’assassinio di Asnin aumentò il malcontento militare, in particolare quello del 1° Reggimento Mitragliatrici. Furono questi soldati a pianificare una rivolta, con l’aiuto degli Anarco-Comunisti, per il primo di luglio. Al Congresso panrusso dell’Organizzazione Militare Bolscevica, i delegati furono messi in guardia: non bisognava fare il gioco del governo mettendo in piedi un’insurrezione disorganizzata e prematura. Il discorso di Lenin del 20 luglio suonò come un avvertimento preveggente: Dobbiamo essere molto attenti a non farci provocare [...] Una mossa sbagliata può mandare tutto all’aria [...] Se fossimo in grado di impadronirci del potere ora, è ingenuo pensare che poi saremmo in grado di mantenerlo. Abbiamo detto più di una volta che l’unica forma possibile di governo rivoluzionario era quello di un Soviet dei Deputati degli Operai, dei Soldati e dei Contadini. Qual è il peso della nostra frazione all’interno dei Soviet? Perfino nei Soviet di entrambe le capitali, per non parlare delle altre città, siamo una minoranza insignificante. Che cosa ci mostra questo? Non possiamo ignorare i fatti. I fatti ci mostrano che la maggioranza delle masse è indecisa, ma crede ancora nei Socialisti Rivoluzionari e nei Menscevichi. Lenin tornò su questo concetto in un editoriale pubblicato sulla “Pravda”: L’esercito ha marciato fino alla morte perché credeva di fare un sacrificio per la libertà, per la rivoluzione e per una pace il più presto possibile. Ma l’esercito lo ha fatto perché è parte di una popolazione che in questa fase della rivoluzione sta seguendo il Partito Socialista-Rivoluzionario e il Partito Menscevico. Questo aspetto generale basilare, ovvero la fiducia della maggioranza nella politica piccolo-borghese dei Menscevichi e dei Socialisti-Rivoluzionari, che è subalterna ai capitalisti, determina la condotta del nostro Partito. Ma, nelle parole di Trotsky, gli operai e i soldati: Si ricordavano che a febbraio i loro leader erano pronti a ritirarsi proprio alla vigilia della vittoria; che a marzo la giornata lavorativa di otto ore era stata raggiunta grazie ad un’azione dal basso; che ad aprile Miliukov era stato buttato fuori dai reggimenti, che scesero in strada di propria iniziativa. La memoria di questi fatti incrementava la tensione e l’impazienza delle masse. I leader a livello di unità dell’Organizzazione Militare di Pietrogrado sostennero in larga parte un’azione immediata contro il governo provvisorio; molti membri ordinari del Partito Bolscevico consideravano ormai inevitabile, perfino desiderabile, una rivolta al più presto. Proprio quando l’offensiva era sul punto di fallire, ad ogni modo, il governo venne investito da una nuova crisi: quattro ministri del Partito Cadetto lasciarono la coalizione, in segno di protesta contro il compromesso trovato da Kerensky con la Rada Centrale ucraina. Questa defezione improvvisa rese il governo, ora composto da sei ministri socialisti e da cinque ministri capitalisti, disorganizzato e vulnerabile. Quando iniziarono le Giornate di luglio, i Bolscevichi conquistarono la maggioranza nella sezione operaia del Soviet di Pietrogrado, a testimonianza della crescita della loro influenza tra le masse.
La dimostrazione armata La serie di eventi conosciuta come “le Giornate di Luglio” cominciò il 3 luglio, quando il 1° Reggimento Mitragliatrici iniziò una ribellione con il sostegno di altre unità militari. Lo scoppio della rivolta coincise con il secondo Congresso Bolscevico a Pietrogrado, che aprì i lavori il primo di luglio. Solo quando diventò chiaro che molti reggimenti, sostenuti da masse di operai, erano già scesi in strada e che alcuni militanti di base bolscevichi stavano partecipando, il Comitato Centrale si unì al movimento e suggerì che le manifestazioni continuassero il giorno seguente sotto l’egida dei bolscevichi. Anche se il Comitato Centrale era a conoscenza del fatto che i manifestanti avrebbero portato con sé delle armi, la nota emanata non parlava di un’insurrezione armata o della conquista delle istituzioni governative. La risoluzione ufficiale ribadiva invece la necessità “del trasferimento del potere al Soviet dei Deputati degli Operai, dei Soldati e dei Contadini”. Così l’Organizzazione Militare Bolscevica assunse la leadership di moti che si erano sviluppati originariamente al di fuori del suo controllo. Tale scoppio inaspettato provocò comunque scompiglio nel partito. Quanti avevano obbedito alla Commissione Centrale e sostenevano occorresse ritardare la rivoluzione si trovarono in contrasto con gli altri, in particolar modo con i membri dell’Organizzazione Militare e con il Comitato di Pietroburgo, che erano invece a favore di un’azione immediata. Non inaspettatamente, un partito rivoluzionario cresce in maniera esponenziale durante una rivoluzione: abbiamo già visto che il Partito Bolscevico era cresciuto del 1600% in meno di cinque mesi. Questa crescita mise d’altro canto il partito sotto pressione, rischiando di distruggere l’organizzazione stessa. Nessuna misura di carattere organizzativo può prevenire queste tipo di dinamiche. Ci sono varie circostanze – tra le quali la fiducia che la leadership del partito si è guadagnata – che influenzano lo svolgersi degli eventi rivoluzionari. Ecco perché la costruzione di un partito non può essere intrapresa nell’impeto del momento, come la rivoluzione tedesca avrebbe dimostrato. Il 3 luglio i manifestanti armati avevano tentato senza successo di arrestare Kerensky, per poi dirigersi al Palazzo di Tauride, sede della Commissione Esecutiva Centrale dei Soviet. La loro intenzione era quella di obbligare i soviet ad assumere i poteri del governo provvisorio. La folla – si stima ci fossero 60-70.000 persone – travolse le difese del palazzo e presentò le proprie istanze. La Commissione Esecutiva, tuttavia, le rifiutò. Trotsky colse l’ironia del momento quando osservò che, mentre centinaia di migliaia di manifestanti stavano chiedendo ai leader dei Soviet di prendere il potere, la leadership stessa andava cercando delle forze armate da utilizzare contro i manifestanti. Nel periodo successivo alla Rivoluzione di Febbraio, gli operai e i soldati avevano dato il potere ai Menscevichi e ai Socialisti Rivoluzionari, ma questi partiti in pratica avevano tentato di cederlo ai borghesi imperialisti, preferendo far guerra alla popolazione che assumere il potere nelle proprie mani senza alcuno spargimento di sangue. Quando i manifestanti di luglio si resero conto che la leadership dei Soviet non si sarebbe liberata dei suoi alleati capitalisti – molti dei quali avevano comunque lasciato il governo di propria volontà – la situazione giunse a un punto morto.
“Prenditi il potere, figlio di un cane, quando ti viene dato!” Il giorno dopo Lenin, che si trovava in Finlandia, arrivò direttamente nel quartier generale dei bolscevichi, al palazzo Kshesinskaia. Ben presto, anche i marinai della base navale di Kronstadt vi si diressero. L’ultimo discorso pubblico di Lenin prima della Rivoluzione d’Ottobre non fu però come i marinai si aspettavano: Lenin enfatizzò il bisogno di una manifestazione pacifica ed espresse la propria certezza che lo slogan “Tutto il potere ai Soviet” avrebbe alla fine trionfato, e concluse il suo discorso chiedendo ai marinai autocontrollo, determinazione e occhi ben aperti. Le Giornate di Luglio posero il Comitato Centrale, e Lenin in particolare, in una luce diversa dal solito: avevano scongiurato una rivolta prematura nella capitale, una rivolta che, fosse andata a buon fine, avrebbe isolato i Bolscevichi e infine stroncato la rivoluzione, come accaduto alla Comune di Parigi nel 1871 e come sarebbe poi successo alla rivolta spartachista di Berlino nel 1919. Una processione di circa 60.000 persone si diresse verso il Palazzo di Tauride, dove avrebbe trovato dei cecchini all’angolo tra via Nevsky e via Liteiny, nonché all’angolo tra via Liteiny e via Panteleymonov. La maggior parte delle vittime, in ogni caso, venne dagli scontri con due squadroni di cosacchi, che avevano anche utilizzato l’artiglieria contro i manifestanti. Dopo questi due intense battaglie per la strada, i marinai di Kronstadt, guidati da Fyodor Raskolnikov, raggiunsero il Palazzo di Tauride e si unirono al 1° Reggimento Mitragliatrici. Successivamente ebbe luogo uno degli eventi più drammatici e al tempo stesso tragicomici della giornata: Victor Chernov, il cosiddetto teorico dei Socialisti Rivoluzionari, fu mandato a calmare i manifestanti. La folla lo accerchiò e un operaio, col pugno alzato, gli disse: “Prenditi il potere, figlio di un cane, quando ti viene dato!” La folla dichiarò Chernov in arresto e lo confinò all’interno di un’automobile lì vicino. L’intervento tempestivo di Trotsky salvò il ministro. Sukhanov ha descritto questa bizzarra scena: La folla, che si stendeva a perdita d’occhio, era in subbuglio [...] Tutta Kronstadt conosceva Trotsky e, si sarebbe detto, si fidava di lui. Ma quando cominciò a parlare la gente non si placò. Se fosse stato sparato un colpo lì vicino in quel momento, a mo’ di provocazione, avrebbe probabilmente causato un massacro e tutti noi, incluso forse anche Trotsky, saremmo stati fatti a pezzi. Trotsky, visibilmente agitato e incapace di trovare le parole giuste in quel momento così tumultuoso, riusciva a malapena a farsi sentire dalle file più vicine [...] Quando cercò di salvare Chernov, le file intorno alla macchina si infuriarono. “Siete venuti qui per dichiarare la vostra volontà e per mostrare ai Soviet che la classe operaia non vuole più la borghesia al potere [disse Trotsky]. Ma perché danneggiare la vostra stessa causa con stupidi atti di violenza contro degli individui? [...] Ciascuno di voi ha dimostrato la sua devozione alla rivoluzione. Ciascuno di voi è pronto a dare la vita per la rivoluzione. Lo so. Dammi la tua mano, compagno! La mano, fratello!”. Trotsky allungò la mano verso una marinaio che stava protestando con particolare violenza. Ma quello si rifiutò categoricamente di reciprocare [...] Mi sembrò che il marinaio, che di certo aveva ascoltato Trotsky a Kronstadt varie volte, avesse ora la sensazione che Trotsky fosse un traditore. Ricordava i suoi discorsi precedenti ed era confuso [...] Non sapendo cosa fare, i marinai di Kronstadt liberarono Chernov. Chernov tornò al Palazzo di Tauride e scrisse otto editoriali che condannavano la condotta dei Bolscevichi. Il giornale Socialista-Rivoluzionario “Delo nadora” ne pubblicò quattro. Il governo provvisorio, comunque, si vendicò in maniera molto più perfida: il giorno dopo cominciò una campagna diffamatoria che descriveva Lenin – che aveva raggiunto la Russia viaggiando su un treno sigillato – come un agente dello Stato Maggiore tedesco.
Il temporaneo trionfo della reazione Il 5 luglio la Commissione Centrale Esecutiva dei Soviet e il Distretto Militare di Pietrogrado lanciarono un’operazione militare per riprendere il controllo della capitale. Le truppe fedeli al governo occuparono il palazzo Kshesinskaia e distrussero le macchine da stampa della “Pravda”. Lenin si mise in salvo a fatica. È futile chiedersi se, qualora fosse stato catturato, Lenin avrebbe incontrato lo stesso destino di Rosa Luxemburg and Karl Liebknecht dopo la Rivolta Spartachista; ma possiamo farci un’idea in base a una caricatura (foto principale dell'articolo che trovate in alto) pubblicata dal giornale di destra “Petrogradskaia gazeta” due giorni dopo. Le truppe lealiste avevano occupato anche la Fortezza di Pietro e Paolo, che il 1° Reggimento Mitragliatrici aveva lasciato all’Organizzazione Militare Bolscevica. La Commissione Centrale del Partito aveva dato istruzioni di terminare le manifestazioni in strada, chiedendo agli operai di tornare al lavoro e ai soldati di tornare nelle loro caserme. Nel frattempo il governo aveva ordinato l’arresto dei leader bolscevichi, tra i quali c’erano Lenin, Kamenev e Grigory Zinoviev oltre a Trotsky e Anatoly Lunacharsky, leader dell’Organizzazione Inter-distrettuale. Anche se alcuni di questi prigionieri politici, tra cui Trostsky, lasciarono la prigione durante il colpo di stato di Kornilov per organizzare la resistenza operaia, altri sarebbero rimasti in prigione fino alla Rivoluzione d’Ottobre. Così finirono le Giornate di Luglio che furono, secondo le parole di Lenin, “molto più di una manifestazione e molto meno di una rivoluzione”. Alcuni dei principali leader del Partito Bolscevico dovettero entrare in clandestinità, e i suoi giornali furono chiusi, ma la battuta d’arresto ebbe vita breve. Il fallimento, a causa del massiccio contrattacco austro-tedesco, dell’offensiva dell’Undicesima Armata sul fronte sud-occidentale andò ad aggiungersi alla situazione economica che peggiorava di continuo, riaffermando così la validità degli slogan bolscevichi. E infatti i giornali bolscevichi riapparvero ben presto con testate solo leggermente modificate, mentre i comitati di partito trovarono nuovi appoggi molto velocemente. Disarmare le unità militari ribelli, come aveva ordinato il governo, fu più facile a dirsi che a farsi. Ben presto il fallimento del colpo di stato di Kornilov nell’agosto del 1917 capovolgerà la situazione, creando finalmente le condizioni per la presa del potere da parte dei Bolscevichi.
Daniel Gaido è un ricercatore presso il Conicet, in Argentina. Ha curato con Richard B. Day i volumi Witnesses to Permanent Revolution (2010) eDiscovering Imperialism: Social Democracy to World War I (2012)
|