GRBAVICA 1:2
- Nonostante sia musulmana, sono rimasta a Grbavica, perché c'era la mia casa, mio marito venne a prendere nostro figlio a maggio del 1992 e lo portò in salvo dall'altra parte. Io rimasi a custodire la casa.
Sono sopravvissuta a tutto lì, a Grbavica. Ma se non c'erano serbi onesti, dei veri amici, non credo che ce l'avrei fatta. Non potrò mai sdebitarmi con loro. Nelle più grandi sofferenze e quando avevo dei problemi, andavo da loro a parlare e loro mi consolavano con una buona parola, così io ero più contenta. Qualche volta il vecchio Brano veniva da me a proteggermi, rischiava la sua testa per salvare la mia. Veniva la sera, quando scendeva il buio e rimaneva con me e mia suocera fino alle due o alle tre del mattino. Ci proteggeva da quelli che ci provocavano, da quelli che venivano a sparare sotto le finestre, berciando e cercando di sfondare la porta. Venivano quando ero sola, durante la notte, volevano andare nell'officina di mio marito che, prima della guerra faceva il carrozzaio, dove c'erano le macchine. Per prendere tutto quello che desideravano, per poter saccheggiare. Se non scendevo anch'io con loro, i vicini avrebbero chiesto cosa stavano facendo, ma con me presente nessuno si preoccupava e loro saccheggiavano e portavano via tutti gli attrezzi di mio marito. Hanno saccheggiato anche il mio appartamento, poi quello di mia suocera e infine quello di mio cognato. Rubavano tutto. Una volta, uno di loro nel garage voleva tagliarmi la gola, perché voleva prendere l'auto, ma quella non partiva. - Cos'hai fatto alla macchina?- - Io non sò niente, cosa potevo farci?- - Tu l'hai bloccata!- - Cosa c'é da bloccare, io sono una donna e non sò niente, sò solo sedermi per guidare.- Il "contadino" non era neanche capace di metterla in moto, allora mi mise un coltello alla gola e mi faceva domande sui miei vicini, ma io non sapevo nemmeno dove si trovavano i miei famigliari, cosa m'importava dei vicini. Chi poteva sapere, in quella follia, dov'erano gli altri. Allora lui: - Adesso ti porterò a Lukavica e mi dirai tutto.- poi mi avvicinò il coltello alla faccia e mi ordinò di aprire l'officina. Ma io non arrivavo a togliere il paletto che fermava la porta, perché era in alto. E lui minacciava di spararmi con il fucile. - Ma cosa ti ho fatto che mi vuoi sparare, mi vuoi tagliare la gola! Porta via la macchina, porta via tutto, ma lasciami vivere in pace!!- Un'altra notte, qualcuno riuscì a sfondare la porta del poggiolo, nonostante fosse molto robusta. Quella porta ha resistito per più di tre ore, uno di loro iniziò ad abbatterla verso le undici di sera e riuscì ad entrare nel poggiolo solo alle due e mezzo del mattino. Nonostante ci fosse stato più di un metro cubo di legna davanti alla porta. Io pensavo che non sarebbe riuscito ad entrare, ma d'un tratto ho sentito che la porta cedeva. Allora mi ha preso l'agitazione, non sapevo più che fare, non c'era nemmeno la luce, così ho acceso una lampada a petrolio, nonostante fosse proibito a causa dell'oscuramento. Poi, quando mi sono accorta che stava entrando in casa, l'ho spenta subito. Ma poi l'ho riaccesa per poterlo vedere in faccia quando entrava. All'improvviso ho sentito bussare alla porta, allora sono scappata al secondo piano e ho detto a mia suocera di non uscire dalla sua camera. Poi, dal corridoio del secondo piano, ho chiesto, - Chi é?- - Cetnici - mi hanno risposto, - Apri prima che butti giù la porta.- forse pensava che mi sarei spaventata, invece sono corsa alla finestra, l'ho aperta e mi sono messa a strillare - Brano, Brano!! Aiutami vengono alla mia porta.- Così, per quanto fosse coraggioso il mio tormentatore fuggì. Prese paura della mia voce, o forse temette che Brano sarebbe arrivato subito, non sò. In un momento era in fondo alla strada. Per fortuna che era solo, se fossero stati più di uno non sarebbero scappati di certo. Il giorno dopo sono andata a prendere l'acqua al pozzo, c'era la neve e molto silenzio, non si sparava quel giorno. D'un tratto risentii quella voce, era la stessa del ladro della sera prima. Stava venendo dalla casa degli studenti e parlava a voce alta. Presi subito i bidoni, volevo scappare a casa, ma lui mi raggiunse e quando alzai lo sguardo, era già lì, davanti a me. Mi disse di posare i bidoni, poi cominciò a provocarmi, gridava come se fossi un animale. - Hai paura di noi?- Diceva, e io - Di chi?- - Di noi cetnici.- - Perché dovrei avere paura, nella mia vita non ho mai fatto male a nessuno, perché dovrei avere paura? E' vero che tu hai il potere perché hai il fucile e puoi uccidermi, ma allora uccidimi se vuoi, puoi farlo una volta sola, non di più.- Non mi voleva lasciare tornare a casa con l'acqua, allora gli dissi che dovevo andare a lavare la biancheria dal mio vicino, il vecchio Ivanko. Mentivo, ma non sapevo più come fare per tornare a casa. Lui disse che il vecchio Ivanko era andato a Belgrado, allora risposi che mi aveva lasciato le chiavi e che dovevo tenergli pulita la casa. La sera successiva tornò nuovamente a tormentarmi sotto le finestre e urlava di fottermi Ivanko. E io gridavo e chiamavo Brano, il mio vicino. Ma lui continuava - Fotti tua madre per cento volte, musulmanaaa!- E poi gridava ancora che mi avrebbe ammazzata. Quando non sapeva che fare, veniva sotto casa a sparare, oppure cercava di entrare. Una volta sono uscita sul terrazzo del piano superiore, volevo tirargli addosso dei vetri, ma non lo feci, perché gli animali sono più pericolosi se si arrabbiano. Quando mi ha visto sul terrazzo, ha sparato una raffica sul muro della balaustra, se fossi rimasta là fuori mi avrebbe uccisa. Sono scappata dentro e mi sono seduta nell'altra stanza, avevo ancora i vetri in mano e mescolavo quei vetri tra le dita, che mi sanguinavano. Poi lui, dalla rabbia, é andato nella mia cantina dove ha defecato come un cavallo. Dopo due ore é tornato fuori e ha ricominciato a sparare. Mi portava alla pazzia.

2:2
Una donna sola, non può sopportare tutto questo, ogni giorno era la stessa musica, era come un film dell'orrore. Davvero. Per me faceva lo stesso ormai, se voleva uccidermi, meglio, mi sarei liberata da quell'incubo. Ormai ero piena di tutto. La mattina dopo, quando uscii di casa per andare a lavorare da loro, sulla prima linea, dove lavavo e facevo le pulizie, mi sono sentita mancare e sono svenuta sulla porta di casa. Allora la vicina, vedendo che, da sola, non riusciva ad alzarmi, andò a chiamare Brano, che mi riportò a casa e più tardi mi accompagnò all'ambulatorio. Un giorno arrivò la notizia da mio marito, che Dobrica, mio suocero, voleva cambiare la sua casa con la nostra e raggiungere sua moglie che viveva con me. Mentre io avrei raggiunto mio marito e mio figlio dall'altra parte del fiume, nella casa di mio suocero. Il vecchio Dobrica aveva fatto tanti sacrifici per costruire la sua casa e anche noi lo stesso per la nostra. E ora dovevamo abbandonarle per sempre. Mio marito avrebbe scambiato suo padre in cambio di sua moglie. Pagò per questo più di trentamila marchi. Io comunque ero contenta, perché finalmente sarei uscita da quell'incubo orribile. Quando il mio aguzzino seppe che volevo partire, venne a cercarmi al lavoro, in prima linea. E mi chiedeva - Quando vai dai tuoi?- e io, - Quali miei?- - Il tuo popolo.- - Anche questo é il mio popolo.- poi mi prese per mano e mi trascinò vicino alla riva del fiume Milijacka e voleva gettarmi dall'altra parte e io, - Cosa vuoi da me?- - Vai dal tuo popolo- - Non voglio andare, qui c'é la mia casa, lasciami in pace.- ma lui continuava ad insistere - Perché vuoi cacciarmi? Mio suocero deve venire da questa parte, tra poco verrà e allora me ne andrò via-

Quando, l'anno seguente, il vecchio Dobrica arrivò a casa mia, io pesavo 48Kg. Dobrica mi disse che dall'altra parte gli avevano permesso di portare tutto ciò che poteva trasportare. Ma in seguito, quando toccò a me, i poliziotti non volevano che io portassi più di una borsa, - Puoi scegliere quale borsa portare, quella di cui hai più bisogno.- Io li pregavo di lasciarmi portare tutti i miei vestiti, non avrei potuto mettermi i vestiti di altri. Lasciavo a Grbavica tre appartamenti più l'officina di mio marito, perché non potevo portare almeno i vestiti. Mi sembrava tutto così assurdo, inverosimile. Anche i miei vicini, che erano venuti a salutarmi, pregavano i poliziotti di lasciarmi prendere le due valigie con i vestiti. Alla fine il vecchio Dobrica li convinse. Oltrepassai il ponte frastornata, felice, impaurita, confusa, con il cuore che mi batteva forte nel petto. Facevo fatica a camminare e il casco blu che mi accompagnava sul ponte, se ne accorse e mi prese sotto il braccio, portandomi una valigia con l'altra mano. Non avevo più le forze nemmeno per camminare. Quando sono arrivata dall'altra parte, sono caduta sulla schiena, come una candela, priva di sensi. Poi é arrivato un poliziotto bosniaco insieme a mio marito che mi ha portato a casa. In seguito per due o tre mesi ho avuto gli incubi, la notte mi svegliavo di soprassalto, tutta sudata e non riuscivo a capire dove mi trovavo, ne perché ero lì con mio marito. Tutto mi sembrava strano. Quella non era la mia casa.-


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