SOLO UN POPOLO SCOMPARIRA' DA QUESTO PAESE 1:3
Il primo marzo, dopo lo spoglio delle schede, il responso del referendum popolare che esce dalle urne é al 65,6% favorevole all'indipendenza della nuova Repubblica di Bosnia i Herzegovina, entro i confini già riconosciuti dalla ex Federazione Jugoslava che diventano, per decisione popolare, confini internazionali.

I serbi di Bosnia, che nel paese sono la minoranza, non accettano la scissione da Belgrado, disertano in massa le urne. L'SDS, il partito che li rappresenta e li guida, organizza una consultazione interna, riservata solamente ai serbi. Naturalmente é un plebiscito. Il dr. Karadzic, presidente del partito, batte i pugni sul suo banco in parlamento, gridando “Solo un popolo scomparirà da questo paese!”

Il 2 marzo vengono erette, a sorpresa, alcune barricate nei punti nevralgici di Sarajevo, finalizzate alla difesa dei quartieri dove i serbi sono più numerosi. I cetnici (i più estremisti, tra i nazionalisti serbi), armati di Kalashnikov e mascherati con passamontagna, presidiano le barricate negando arbitrariamente il transito a coloro che non sono graditi. La prima barricata viene eretta sul ponte di Kosiacuprija, all'estremità est di Sarajevo, sotto la vecchia fortezza austroungarica che domina il centro storico e chiude l'accesso alla strada statale che porta a Pale, cittadina a pochi kilometri da Sarajevo che diventerà la capitale della futura Repubblica Serba. Oltre il centro storico, sul ponte di Vrbanja e su quello di Bratsva i Jedintsva (della Fratellanza e dell'Unità), i cetnici bloccano l'accesso al quartiere di Grbavica, abitato da numerosi ufficiali serbi dell'JNA. Sotto al grattacielo dell'Energoinvest (una delle maggiori compagnie della ex Jugoslavia), l'ennesima barricata impedisce l'ingresso al quartiere di Pofalici, abitato al 40% da serbi. Più a nord, nel quartiere di Kobilja Glava viene sbarrata la statale che porta fuori città, verso il sobborgo di Vogosca. Nel quartiere di Marindvor, ai limiti del centro cittadino, il traffico viene interrotto davanti alla caserma M.Tito, proprio di fronte a Grbavica, sull'arteria principale che congiunge il centro storico con l'aeroporto e con la statale che esce all'estremità ovest di Sarajevo passando per il sobborgo di Ilidza, altra località a maggioranza serba. Viene così tagliata fuori la parte più popolosa della città, quella nuova, con i suoi palazzoni moderni costruiti nel dopoguerra.


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Quelle barricate rimarranno solo un paio di giorni ma, dopo la loro repentina scomparsa, lo sconcerto si trasforma in tensione etnica che viene ampiamente sfruttata a favore della propaganda di ambo le parti. Mentre i cittadini, sconcertati, sgomenti e inermi leggono sulla stampa locale che l'JNA ha armato e aiutato i cetnici a innalzare le barricate. Il gen Kukanjac rigetta le accuse, smentendo catego-ricamente che l'JNA abbia sostenuto l'azione dei cetnici. “Nessuno ha ragione di temere l'JNA - garantisce il generale - perché i soldati dell'armata non calpesteranno neppure uno scarafaggio”. Dopo queste affermazioni gli abitanti di Sarajevo affibbiano al generale il nomignolo di "piccolo scarafaggio".

Inizia così l'allestimento della linea dell'assedio. I cetnici, indisturbati e supportati dall'esercito regolare, scavano trincee e fortificano posizioni creando un anello sulle colline intorno alla città. Tutti i civili che abitano nelle case lungo il fronte dell'assedio vengono evacuati. Costoro sono i primi profughi di Sarajevo, costretti ad abbandonare le loro abitazioni portando con sé solo i pochi effetti personale.

La linea guida del progetto consiste nello spaccare Sarajevo in due parti, separando la zona più popolosa dalla vecchia città e dal centro storico. Questa linea di separazione comincia a nord, nel quartiere di Kobilja Glava, e scende sul monte Hum dove, isolato, si erge il ripetitore televisivo. Più a sud, l'asse attraversa Pofalici fino al grattacielo dell'Energoinvest e alla caserma M.Tito, poi attraversa il largo viale Voivoda Putnika e si esaurisce nei quartieri di Grbavica e Vraca, all'estremo sud di Sarajevo.
Vengono evacuati anche i malati di mente dal manicomio statale che sorge sulla linea del fronte, costretti a scendere verso la città a piedi, in pigiama, scalzi e scarmigliati, portando con sé poche cose in un sacchetto di plastica. L'evacuazione é forzata ma pacifica, non si verificano incidenti, nessuno spara. Gli sfollati vengono accolti dal Comune di Stari Grad (Città Vecchia), nel quartiere di Vratnik. Tutti questi eventi creano un'atmosfera di forte tensione, piena d'interrogativi, dalla quale emerge prepotente lo spettro dell'assedio. I media sono in fibrillazione, intervistano gli sfollati, poi il Sindaco della Città Vecchia, Selim Hadzibojric, e anche il Ministro degli Interni. I discorsi, le dichiarazioni ufficiali e i commenti si sprecano, il Ministro, Alideli Mustafic, rassicura l'opinione pubblica che tutti gli sfollati potranno presto ritornare alle loro case.

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Tutti questi eventi creano un'atmosfera di forte tensione, piena d'interrogativi, dalla quale emerge prepotente lo spettro dell'assedio. I media sono in fibrillazione, intervistano gli sfollati, poi il Sindaco della Città Vecchia, Selim Hadzibojric, e anche il Ministro degli Interni. I discorsi, le dichiarazioni ufficiali e i commenti si sprecano, il Ministro, Alideli Mustafic, rassicura l'opinione pubblica che tutti gli sfollati potranno presto ritornare alle loro case.

Il 16 marzo, in seguito ad una richiesta ufficiale dell'SDS, viene costituito un corpo di polizia serbo che, per il momento, indossa la stessa divisa della polizia di stato, distinguendosi da essa per mezzo di una fascia bianca al braccio. Questo nuovo corpo di polizia, ottiene centrali di comando a Pale, Grbavica e Ilidza; rispettivamente a est, al centro e a ovest di Sarajevo. Un buon 25%, tra i poliziotti di origine serba, rimane comunque fedele al Governo. Consumata così la scissione, avvenuta senza vittime, il pres. Izetbegovic s'incontra, in una riunione notturna nella caserma M.Tito, con il gen. Kukanjac e con il dr. Karadzic, capi dell'opposizione armata, allo scopo di porre le basi per una risoluzione politica del problema nazionale e con l'intento di scongiurare incidenti armati e spargimenti di sangue, che precipiterebbero il paese nella guerra civile.

Purtroppo l'atmosfera é ormai satura di tensioni nazionaliste e separatiste, anche all'interno del Parlamento della neonata Repubblica di BiH si cercano inutilmente soluzioni pacifiche in grado di arginare il pericoloso degenerare degli eventi. Lo scontro é durissimo, l'opposizione minaccia di abbandonare i seggi, riecheggiano ancora i pugni battuti dal dr. Karadzic, insieme a quelle parole, che suonano oramai così definitive. “Solo un popolo scomparirà da questo paese”.

Alla fine di marzo, un inviato di Oslobodzenje, Vlado Mrkic, parte da Sarajevo per vedere cosa sta succedendo nel resto della Bosnia. A Bijelina, una cittadina a nord di Sarajevo, trova 600 musulmani uccisi dalle milizie del comandante Arkan. I cadaveri sono per le strade e nello stadio, la prima ad essere uccisa é stata una donna serba che si opponeva al massacro. Mirjana.


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