LA FESTA DELLA LIBERAZIONE 1:9
Sabato 4 aprile, essendo il fine settimana, l'equipe della redazione di Oslobodzenje é ridotta al minimo. Dalle finestre i redattori osservano i cetnici intenti a scavare trincee ad un centinaio di metri dal loro edificio. Verso mezzogiorno, Adil Hajric, decano dei redattori, si avvia verso casa. Abita in un quartiere confinante con Grbavica. Quando arriva al ponte che lo separa dalla via di casa, lo trova sbarrato da una barricata sorta nella notte, insieme ad un piccolo bunker. Una seconda barricata é comparsa sulla via che passa accanto allo stadio di Grbavica, anche sui ponti di Vrbanja e della Fratellanza sono ricomparse le barricate. Il quartiere é nuovamente presidiato dai cetnici, Adil dovrà fare un lungo giro per raggiungere il suo appartamento. Le barricate sono state erette anche negli altri punti della città, dove avevano fatto la loro prima apparizione all'inizio di marzo. Sulla linea dell'assedio si possono sentire lontane esplosioni, alternate da brevi raffiche e da lunghi silenzi.
Domenica 5 aprile, alla Scuola di Polizia sulla collina di Vraca, i cadetti festeggiano la fine del sesto mese di corso. Sono tutti giovani, non ancora ventenni, riuniti insieme con i loro istruttori. Durante la celebrazione, si presenta il comandante delle forze speciali della polizia serba, gen. Karicik, il quale pretende di prendere possesso della scuola. Il direttore, Hussein Balic, comandante della polizia di stato, si rifiuta di consegnare la scuola ai serbi. Il gen. Karicik esce e ordina ai suoi uomini di circondare l'edificio. All'interno i cadetti si armano e approntano la difesa, ingaggiando con le forze speciali della polizia serba la prima battaglia della guerra. Sono i cadetti a mietere le prime due vittime tra gli assedianti. Immediatamente scatta l'allarme al Ministero degli Interni, viene informato anche il gen. Kukanjac che invia due carriarmati alla scuola. La battaglia continua impari, mentre i carristi controllano, passivi, la scuola assediata. Intanto dalla Presidenza, alcuni membri del Collegio esercitano pressioni sui serbi perché tolgano l'assedio e rilascino i cadetti.

Cala la notte, all'interno gli assediati sono consapevoli di non potere resistere a lungo, così il direttore decide di tentare una sortita e, insieme a sei cadetti esce nel buio, ma vengono fermati proprio mentre passano accanto ad uno dei carriarmati inviati a "difenderli". Arrestati e trasferiti a Pale, saranno trattenuti per 12 giorni prima di essere scambiati. Ci vorranno oltre 24 ore di intense trattativa prima di porre fine all'assedio della Scuola di Polizia. I cadetti verranno poi liberati, ma la scuola, con tutte le armi in dotazione, diventerà un bastione serbo. Lunedì, 6 aprile, é la festa della liberazione di Sarajevo da parte delle brigate partigiane del Maresciallo Tito che marciarono sulla via principale, che gli verrà intitolata, per accendere idealmente e per sempre il fuoco eterno della Patria. Oggi però é un giorno gravido di attese, a causa degli eventi che vanno precipitando la Bosnia in un vortice di drammatiche incertezze. Le informazioni che circolano sono contraddittorie, faziose e poco attendibili. Il caos regna sovrano. In parlamento tutti i membri dell'SDS insieme a quattro membri del partito dei riformatori hanno abbandonato i loro seggi. Nell'aula rimangono i partiti fedeli al governo della Repubblica; SDA, HDZ (Unione Croata Democratica) e SDP (Partito Socialdemocratico).

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Lo stress causato dalla tensione e dall'incertezza per l’aspettativa di un colpo di stato orchestrato da Milosevic, eseguito dall'SDS e appoggiato dall'JNA é palpabile nell'aria stessa che la città va respirando; le barricate, la scissione all'interno della polizia, il massacro di Bijelina, l'atteggiamento dell'esercito nazionale, l'assedio della Scuola di Polizia, … inoltre le prime province serbe si autoproclamano autonome: Bijelina, Krajna, Banja ... neppure la Polizia Federale riuscirà più ad entrare in quelle province.

Tutti questi eventi, accrescono all'inverosimile lo stato di tensione e di preoccupazione della comunità bosniaca, la quale, quella stessa mattina, é spinta emotivamente a ritrovarsi insieme: i minatori della Bosnia centrale con i cittadini di Sarajevo, i lavoratori con i sindacati, i movimenti pacifisti con gli studenti. Ritrovarsi insieme per reclamare la pace. Quella che il Maresciallo Tito, lo stesso giorno di tanti anni prima, seppe donare a Sarajevo e alla Bosnia, rispettando la convivenza secolare tra i gruppi etnico-religiosi.

Il parroco di San Giuseppe in Marindvor, Don Luca, insegna marxismo-leninismo alla facoltà di scienze politiche dell'Università di Sarajevo. Quella mattina, come al solito, si é alzato presto per dire la messa delle sette. La chiesa sorge di fronte al piazzale sul quale domina il Palazzo del Parlamento della BiH. Verso le H.09.00, accompagnato da una pioggia leggera ed insistente, inizia il flusso dei partecipanti alla manifestazione che continuerà per tutta la mattinata. Don Luca, in ansia come ogni bosniaco, per le sorti del paese, riflette sulle cause e sugli effetti del palese fallimento della dottrina comunista. Seduto di fronte alla televisione, segue gli eventi che prendono corpo sul sacrato della sua chiesa. I sindacati hanno organizzato molti pullmans da tutta la Bosnia e tanta, tanta gente, si unisce spontaneamente alla manifestazione popolare, per celebrare il giorno della Liberazione e per manifestare contro la guerra, per fare pressione sul Parlamento e per fare sapere al mondo che il popolo e i lavoratori vogliono la pace.

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Quel giorno il dr. Karadzic scompare dalla città, sicuramente non é rientrato nel suo appartamento, il suo vice, Nikola Koljevic, é a Pale. Biljana Plausic, la moglie, viene vista passeggiare nel quartiere di Grbavica. Probabilmente il Presidente dell'SDS é presente alla riunione di partito che si tiene nella suite olimpica al quinto piano dell'hotel Holliday Inn, indetta per quel giorno dai deputati serbi che hanno abbandonato le camere, ma nessuno dei giornalisti presenti in albergo riesce a vederlo, ne ad averne notizia. La riunione é in corso a porte chiuse e il servizio di sicurezza all'erta. Nel frattempo alcuni orchestrali, con le custodie dei loro strumenti musicali, attraversano la hall dell'albergo per salire nelle loro camere al secondo piano. L'hotel Holiday Inn si affaccia sul piazzale, dove si sta radunando la folla per la manifestazione. Il suo direttore, da sempre grande simpatizzante della causa serba, ospita la centrale direttiva del partito fin dal 1990. La leggenda racconta che, a suo tempo, l'JNA predispose un corridoio sotterraneo per collegare i magazzini dell'albergo alla caserma M.Tito, distante poche centinaia di metri.
Nella tarda mattinata, la manifestazione é ormai in pieno svolgimento, sono circa 40.000 le persone che affollano il piazzale sotto il palazzo del Parlamento, invadendo il largo viale Voivoda Putnika, dalla chiesa di San Giuseppe fino all'Holliday Inn. Alle H.13.15, nelle loro camere, gli orchestrali aprono le custodie dei loro strumenti e cominciano a montare i fucili di precisione, sono cecchini cetnici. All'ultimo piano della casa accanto alla chiesa, dove abita anche il parroco, ce ne sono altri. La riunione dell'SDS é terminata, il dr. Karadzic se ne va per sempre da Sarajevo scomparendo in un'ascensore. Sono le H.13.30, il rappresentante dei minatori stà parlando alla folla quando, all'improvviso, i cecchini cetnici entrano in azione aprendo il fuoco sui manifestanti. La folla ondeggia in preda al panico, sparpagliandosi in tutte le direzioni in cerca di un riparo. Alcuni rimangono a terra feriti. Una parte della folla, sospinta dalla pressione degli spari, sfonda isterica, il cordone di sicurezza all'entrata del palazzo del Parlamento, travolgendo i commessi del servizio d'ordine e riversandosi nel Parlamento dove, nell’aula occupata, viene imposto il Parlamento del Popolo di tutta la Bosnia, un forum cittadino permanente dove tutti possano parlare, perché bisogna ascoltare la voce del popolo. Così, sventolando bandiere della ex Jugoslavia, innalzando ritratti di Tito e inneggiando alla rivoluzione francese, inizia il forum popolare. Uno degli striscioni, preparati in tutta fretta, recita: abbasso i nazionalisti, gli sciovinisti, i nazisti e i fascisti. In questa occupazione passionale ed emotiva, messa in atto da semplici e ammirabili cittadini disarmati, si sfoga l’esasperazione e la frustrazione che, dopo le fucilate dei cecchini, rompe gli argini spingendoli a riappropriarsi dell’organo che li rappresenta. Il forum continuerà per oltre venti ore senza sosta, saranno circa duecento i cittadini che prenderanno la parola; da quei semplici, che non hanno mai avuto l'opportunità di far sentire la loro voce, agli intelettuali, dai professori universitari ai giornalisti, dai sindacalisti agli stessi deputati, in un clima infuocato di accuse ai partiti nazionalisti e ai loro leaders (... che ci portano solo morte, quale capolavoro delle loro stesse mani. ) Chiara e forte risuona la rivendicazione della Patria jugoslava unita e la negazione di ogni diversità etnico-religiosa. Inoltre, viene decretato che, entro l'indomani a mezzogiorno, i membri del parlamento formino un governo di salvezza nazionale che indìca elezioni straordinarie.

Fuori intanto, dopo i primi spari, una parte della folla si é ricomposta e marcia sul ponte di Vrbanja, accanto al palazzo del parlamento. Il ponte é sbarrato dalla barricata che blocca l'accesso a Grbavica, quando la folla dei dimostranti avanza sul ponte, un cecchino apre il fuoco. Suada Dilberovic, 23 anni, venuta da Dubrovnik per studiare e vivere a Sarajevo, cade a terra senza vita. La folla terrorizzata si disperde nuovamente. Restano ancora poche migliaia di persone sparse nel piazzale, alcune piangono in preda allo shock, altre soccorrono i feriti, altri ancora, sgomenti e indignati, corrono verso casa. Le sirene delle ambulanze fanno da colonna sonora alla tragedia collettiva che si stà consumando sotto gli obbiettivi delle telecamere di mezzo mondo Sono passate da poco le H.14.00, quando alcuni veicoli delle forze speciali della Polizia di Stato giungono sul posto. Da uno di questi scende il comandante Dragan Vikic, il quale si rivolge ai dimostranti, - Dobbiamo fare qualcosa di concreto - dice nel megafono - non solo parlare, la guerra é cominciata, la BiH é stata aggredita, per chi vuole difenderla ecco, ho quì dei fucili e ve li darò. - Così, molti uomini si mettono in fila, al riparo dai cecchini, davanti ad un negozio di mobili nella parte commerciale del palazzo e prendono i fucili insieme ad una fascia rossa che identifica il servizio di sicurezza del palazzo del Parlamento. Appena terminata la distribuzione dei pochi fucili, Vikic viene chiamato per radio e riparte immedia-tamente verso est. Sul ponte di Kosiaceprija é scoppiato uno scontro a fuoco con i cetnici che si stà trasformando in una vera e propria battaglia.

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Ricevute le armi, alcuni dei nuovi volontari seguono il comandante, altri prendono posizione alle finestre dei piani bassi del palazzo, per rispondere al fuoco. mentre dieci di loro, seguiti da numerosi dimostranti disarmati, si dirigono, sotto il fuoco dei cetnici, verso l'Holiday Inn per stanare i franchi tiratori. La porta di vetro dell'albergo é sbarrata, ma viene sfondata facilmente dagli uomini in fascia rossa che fanno irruzione nell'albergo, seguiti dai civili inferociti. Nello stesso momento, dalle barricate che contrastano i cetnici nei pressi della caserma M.Tito, gli uomini di Juka, comandante della difesa territoriale, aprono il fuoco sulla facciata ovest dell'albergo, che sovrasta le loro posizioni insidiandone la sicurezza. Intanto i dieci armati, seguiti da un'orda di civili furibondi, salgono al secondo piano facendo irruzione in tutte le camere che si affacciano sul piazzale. Tutti coloro che vi si trovano vengono denudati e perquisiti, così come le stanze. Sono otto i cecchini che vengono scoperti con il giubbetto antiproiettile sotto la camicia, naturalmente vengono alla luce anche i fucili di precisione e i bossoli sparsi sotto le finestre. Le camere da cui sparavano sui manifestanti sono quattro, una ogni due, nel corridoio del secondo piano uno dei minatori venuto da Tuzla, si avventa su di un cetnico, scoppia così il pestaggio che, per alcuni minuti, sfugge al controllo dei volontari dalla fascia rossa. Comunque, di lì a poco, i dieci arrestano i cetnici e li trasfe-riscono al comando, dove vengono interrogati e poi rinchiusi. Gli otto arrestati verranno scambiati pochi giorni dopo.

Il Presidente Alija Izetbegovich

La serata lascia il campo alla notte. Il Consigliere del Presidente Izetbegovic, Kemal Muftic, riflette da solo nel suo studio, allarmato e indignato per la violazione dell'aula parlamentare. Riconoscendo nell'evento parte del piano destabilizzante di Milosevic, realizzato dalle forze di Karadzic per rovesciare il governo. Osserva inoltre che la TV di stato é tutt'ora concentrata in diretta su ciò che sta avvenendo all'interno del Parlamento, nonostante i cetnici abbiano sparato sui civili indifesi e nonostante ci siano barricate pressoché invalicabili in molti punti della città. Nonostante tutto ciò, le telecamere della TV di stato rimangono concentrate sul Parlamento, trasformato in forum cittadino, dove alcuni sedicenti rappresentanti del popolo realizzano una vera e propria diversione accentrando su di sé l'attenzione, mentre fuori la guerra é già cominciata. In seguito a queste e ad altre considerazioni, ritenendo la situazione politica altamente pericolosa, il Consigliere suggerisce al Presidente di presentarsi davanti all'Assemblea. Sono circa le H.02.00 quando Alija Izetbegovic, entra nell'aula occupata dal popolo in rivolta. L'incontro con l'Assemblea é drammatico, le bandiere jugoslave sventolano provocatorie accanto ai ritratti di Tito. Poi, dopo un attimo di silenzio, risuonano i fischi e le grida. Nel tumulto generale é con molta difficoltà che il Presidente prende la parola: - Non si può cedere al colpo di stato, perché esiste un Parlamento legalmente eletto, comunque si possono indìre nuove elezioni, ma non c'é nessuna ragione per creare degli spargimenti di sangue. Non abbiamo mandato nessun bosniaco a combattere in Croazia, l'anno scorso, anche se é stata una decisione difficile e pericolosa. Non l'abbiamo fatto perché questo governo crede fortemente nella pace e nella democrazia. -
Dopo il presidente, il comandante Vikic, ricevuto dall'assemblea con un'ovazione di benvenuto, prende la parola e viene riconosciuto come l'unico uomo in grado di infondere speranza nella gente comune e di garantire, che ancora un poco di protezione sia possibile in questo Stato.

Contemporaneamente, Starigrad, la città vecchia, viene attaccata su tutti i suoi confini, formazioni paramilitari provenienti da Pale premono per entrare in città. Per tutta la notte il vecchio Comune viene fatto segno da un costante fuoco d'artiglieria. Alcune granate raggiungono la parte centrale del quartiere, colpendo la vecchia piazza del bazaar e l'antica moschea Begova Dzamija. Da sud, gli artiglieri serbi bombardano le abitazioni civili appostati sul vicino monte Trebevic e anche da est dalla direzione Hrid-Jacerdoli-Lapisnica. Più cruenta é la battaglia che esplode sulle colline di sud-est, sopra le quali passano i cavi della funivia che congiunge Bistrikt ai vicini campi da sci. Ma, ancora una volta, gli aggressori vengono respinti. Anche a nord-est, sull'opposto lato della valle, i confini di Starigrad subiscono l'assalto dei miliziani serbi che cercano di sfondare il fronte, ma vengono fermati.


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Il sindaco, Selim Hadzibojric, interpellato telefonicamente, da un redattore di Oslobodzenje, assicura che i cetnici non riusciranno ad entrare a Starigrad fino a quando ci sarà un solo volontario della difesa territoriale o un solo cittadino vivo nella città vecchia.

L'alba si avvicina, nel forum i cittadini abbassano i toni, i giornalisti sono tutti scappati in redazione a scrivere i loro articoli, nell'aula sono ancora in molti, ma sono stanchi e frastornati, la battaglia per la liberazione di Sarajevo sarà ancora lunga. Dopo qualche giorno, quando fù stanca, quella gente tornò a casa, portando con sé una sensazione di irrilevanza e inadeguatezza disperante. Nonostante i provocatori dell'SDS, moltissimi tra di loro erano degli autentici patrioti, quasi nessuno faceva parte dell'apparato partitocratico. Per Adil Hajric, decano dei redattori di Oslobodzenje, é difficile dire che tutto é parte di un piano di Milosevic per destabilizzare la Bosnia. Mentre per Kemal Muftic, tutto é in sintonia con un tentativo di colpo di stato che fatica a realizzarsi. Due opinioni che riflettono le facce della stessa medaglia, così come la folla, che inizialmente reclama la pace a gran voce e poi, dopo i primi spari, acclama il comandante Vikic che li arringa alla resistenza armata. La giornata appena trascorsa é stata uno shock, un trauma, uno psicodramma collettivo che, preparato ad arte e poi lasciato sviluppare spontaneamente, ha prodotto i suoi isterici frutti di caos e terrore, ammutinamento e rivolta. Di positivo rimane solo un fatto, Sarajevo resiste, la domanda che viene spontanea é, fino a quando?

A Pale, il dr. Karadzic, riunito l'esecutivo, dichiara la nascita della Repubblica Serba, alla quale aderiscono numerose province autonome, la capitale sarà Pale dove, nell'ala di una fabbrica di ricambi per auto, viene insediato il nuovo Parlamento. Non é ancora chiaro quali siano i confini dell'autoproclamata Repubblica Serba, ma il principio dei padri fondatori é sicuramente in sintonia con il memorandum dell'Accademia delle Arti e delle Scienze di Belgrado che teorizza e pianifica, sia pure tra le righe, una completa pulizia etnica.

A sinistra: Il Presidente Radovan Karadzic


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Il timido sole del 7 aprile illumina la notte insonne di Sarajevo, sopraffatta dal delirio della ragione e straziata dalla logica del razzismo votato allo sterminio, senza riguardi per nessuno; serbi, croati, musulmani o ebrei. Con l’obbiettivo di distruggere la libera convivenza. Scrive Kemal Kurspahic, nell'editoriale su Oslobodzenje di quel giorno: - Chi non sta dalla parte giusta in queste ore, non sarà mai più in grado di ritornare alla ragione. Chi si ritrova sulle posizioni da cui si spara ai bambini, condanna se stesso e non dovrà attendere il giudizio del tempo. Questo é il tempo in cui ognuno di noi ha una breve opportunità di incontrare la propria coscienza e di fare una scelta, in questo momento sono il diritto alla vita e alla dignità che vanno difesi. Ecco perché le vittime innocenti vivranno molto più a lungo dei loro assassini. Dio benedica le loro anime. -

Lo stesso giorno, la Comunità Europea e gli Stati Uniti riconoscono la sovranità della Repubblica di Bosnia Herzegovina entro i confini assegnati dall'ex Federazione Jugoslava. A New York, il consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite decreta l'invio nella ex Jugoslavia, di un corpo di spedizione composto da 14.000 caschi blu e denominato UNPROFOR (forza di protezione delle Nazioni Unite). I volontari, provenienti da 19 nazioni membre dell'ONU, vanno nei Balcani a proteggere i convogli umanitari e a presidiare con postazioni di interposizione le linee di confrontazione tra le parti in conflitto. Il principio fondamentale della loro missione, si basa sulla necessità politica di non imporre la pace con la forza delle armi. Le condizioni di base per l'invio del contingente e per la sua operatività sul territorio sono tre:
1°) Il consenso delle parti in causa.
2°) L'instaurazione di una tregua.
3°) L'uso delle armi limitato all'autodifesa.

L'8 aprile a Zvornik, cittadina sul fiume Drina, viene ucciso un corrispondente di Oslobodzenje. I cetnici, entrati nel suo appartamento, lo trovano seduto alla macchina da scrivere e lo trascinano fuori dove, insieme ad altri undici civili, viene condotto al cimitero locale e trucidato.

A Sarajevo, unità speciali dell'JNA venute da Nis, una cittadina della Serbia orientale, si presentano all'ospedale Militare. Il maggiore che li comanda ordina al colonnello medico, direttore dell'ospedale, l'evacuazione di due dei piani alti dell'edificio. Nonostante sia superiore di grado, le armi non concedono replica al colonnello Bakir Nakas, che lascia l'ospedale scegliendo la strada della dignità umana e professionale.

Tutti i pazienti ricoverati all'11° e al 12° piano vengono evacuati ai piani inferiori, al loro posto si insediano gli specialisti dell'JNA, equipaggiati con fucili di precisione, giubbetti antiproiettile, radio ricetrasmittenti e anche due cannoni di piccolo calibro. Dalle finestre di quei piani si ha un controllo completo del quartiere di Marindvor, con vista sul palazzo del Parlamento, inoltre si può facilmente comunicare con le postazioni dell'artiglieria serba, poste sulle colline di fronte, e aggiustarne il tiro. In poche ore i franchi tiratori sono operativi ed iniziano il loro macabro lavoro, che consiste nell'abbattimento indiscriminato di esseri umani anonimi e indifesi.

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In tutta la Bosnia la pulizia etnica é ormai avviata a pieno ritmo. I rastrellamenti, i maltrattamenti, le deportazioni di massa nei lager serbi, sono iniziate da giorni. A Sarajevo ogni quartiere é isolato. E' pericoloso andare per strada, i cecchini sparano dai tetti dei palazzi e la morte falcia a caso le sue vittime che, spesso, restano sul selciato per ore, sorvegliate da un binocolo nascosto che non le lascia avvicinare da nessuno. Nel parco di fronte al quartiere di Ciglane, un vecchio apostrofa una bambina che gioca nel prato, invitandola a rientrare in casa perché i cecchini potrebbero ucciderla, ma la bambina innocente risponde che non c'é problema, perché il suo papà sta dormendo.

La popolazione é terrorizzata e incredula. Chi può scappa in Dalmazia, pensando che in breve tempo tutto passerà, che presto tutto si dissolverà, come un brutto incubo. Ma nel susseguirsi dei giorni l'esodo aumenta. Sono migliaia le famiglie che fuggono, con i vecchi e i bambini, con le poche cose che riescono a portarsi dietro e con la speranza di poter ritornare in poche settimane al massimo. Partono sugli ultimi aerei passeggeri, sulle auto stracariche, sui treni e con le corriere; le compagnie commerciali organizzano pullmans e voli charter per le famiglie dei loro dipendenti. Almeno 10.000 studenti lasciano l’Università. Il flusso continua per tutto il mese di aprile, alla fine saranno oltre 100.000 i bosniaci che abbandonano Sarajevo riversandosi su Zagabria, Mostar, Tuzla, Belgrado, il Montenegro e all'estero, soprattutto in Germania. Nei lunghi mesi che seguono, almeno altre 100.000 persone partiranno dalla città assediata e più di 100.000 profughi, sfollati dalle campagne circostanti, vi troveranno rifugio.

Dobrinja significa "buon posto", nel sottosuolo c'é molta acqua per questo la terra é buona, gli orti sono floridi e producono molta verdura. Quando fù costruita era un quartiere pilota, oggi, invece, durante la guerra ha assunto un'importanza vitale per Sarajevo, a causa della posizione strategica davanti all'aeroporto, con il quale confina. Dzordzo, un regista cinematografico residente nel quartiere racconta che: - Quando sono tornato da Vienna, ai primi di aprile, mi risuonarono nella memoria le parole del sindaco della capitale austriaca, il quale mi aveva detto che in pochi giorni avremmo avuto la guerra a Sarajevo, io non ci credevo, ma da Dobrinja era molto difficile andare in città, in quei giorni. Il 7 aprile morì mia madre, che abitava nel quartiere di Cengic Vila, di fronte a Novo Sarajevo, mi ci vollero diversi giorni per organizzare il funerale. Ma quando, il 13 aprile, tutto fù pronto non potei uscire da Dobrinja, perché nel frattempo era stata chiusa in una morsa dall'assedio dei serbi che sparavano sulla strada che passa sotto la collina di Moimilo, così non potei neppure seppellire mia madre. -

Oltre il 50% della popolazione di Dobrinja era composta da naziona-listi serbi e i cetnici, dicono che l'architettura del quartiere, riproduce il simbolo cetnico, delle quattro "C" (S) negli angoli di una croce. Moltissimi di costoro avevano ricevuto le armi durante l'inverno, con lo scopo di occupare il quartiere. Per primo cadde l'aeroporto sul fronte ovest, da dove i carriarmati iniziarono a bombardare il quartiere, poi Dobrinja quattro e Nedzarici, rispettivamente a sud e a nord, infine dalla collina di Moimilo a est, il fuoco dei serbi impediva a chiunque di transitare sulla strada che collega Dobrinja con il resto di Sarajevo. Mentre la realtà intorno cadeva in macerie sotto il martellare delle granate, la resistenza degli abitanti, tenace e caparbia, costringe molti serbi a ritirarsi nelle loro aree di quartiere.

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Così Sarajevo era assediata dentro un anello e Dobrinja, assediata a sua volta all’interno di quell’anello, come il rosso nell'uovo, subiva il fuoco incrociato dell'artiglieria serba. A causa della sua posizione strategica Dobrinja rappresentava la porta d’entrata alla città. Se fosse caduta, Sarajevo sarebbe stata facilmente invasa dai carriarmati provenienti dalla vicina caserma di Lukavica, in quanto l’aeroporto era circondato su tre lati, mentre il quarto lato, quello di Dobrinja era controllato dalla Difesa Territoriale Bosniaca. Nessuno da Dobrinja poteva andare a Sarajevo senza permesso, e comunque rischiando la propria vita. Questa circostanza costringeva gli abitanti a vivere in una gravissima condizione di inaccessibile isolamento, dove la presenza dei civili si era trasformata in uno strumento prioritario della difesa. La vita era durissima, il cibo e l'acqua scarsissimi, le armi e le munizioni erano un problema di difficile soluzione, inoltre i morti e i feriti si moltiplicavano ma non potendo essere trasportati in città, venivano assistiti in un ospedale d'emergenza allestito nei locali di un supermercato.
Sarajevo é spaccata in due, l'arteria principale che porta dal centro storico all'aeroporto é invasa dai cavalli di frisia che obbligano le auto a rallentare proprio davanti alle finestre della caserma M.Tito, da cui i franchi tiratori dell'esercito sparano su quasi tutto ciò che si muove. Anche dall'ospedale Militare gli specialisti venuti da Nis tengono sotto tiro il viale Voivoda Putnika, così come dai grattacieli di Grbavica, da dove i cecchini cetnici tirano sul quartiere di Novo Sarajevo così come sul viale, che verrà poi soprannominato “viale dei cecchini” o “snajper avenue”. Tutti gli abitanti della Sarajevo socialista e non allineata, sorta nel dopoguerra, sono isolati da coloro che abitano nel centro storico o nella vecchia città. L'aeroporto é controllato dall'JNA e i voli passeggeri sono stati soppressi. Percorrere la città, per andare a trovare i vecchi genitori o la fidanzata, é diventato pressoché impossibile e soprattutto pericolosissimo. Tentare di attraversare un posto di blocco, può significare l'arresto o la morte. In ogni palazzo, in ogni casa, gli inquilini organizzano la difesa delle proprie famiglie, montando la guardia armati davanti ai portoni, spesso solo con un fucile da caccia e una manciata di cartucce. La Difesa Territoriale coordina la tutela delle abitazioni. A volte, per telefono, arriva l'ordine di stanare un cecchino dal tetto. Molto spesso il cecchino vola di sotto senza processo
Dopo il riconoscimento della BiH, l'JNA avrebbe dovuto lasciare il paese, ma le trattative per l'evacuazione delle caserme non riescono neppure ad iniziare. Così il 15 aprile, la Presidenza Collegiale Bosniaca assume come sede del Governo il palazzo della Presidenza, sulla via principale del centro, la Marsala Tita, e proclama la mobilitazione generale di tutti i civili dai 18 ai 50 anni. L'JNA dispone di un apparato bellico sproporzionato nei confronti della resistenza bosniaca che, priva di un esercito nazionale, può contare solo su di un'unica formazione militare, i Berretti Verdi. La stragrande maggioranza dei difensori, sono semplici cittadini male armati che confluiscono nei corpi della Difesa Territoriale e della Patriotska Liga.

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Nel quadro generale compaiono anche bande armate, organizzate da personaggi della malavita locale che, pur creando un certo imbarazzo al Governo, vengono comunque ritenute utili. Col tempo, i capi di queste bande acquisiranno autorevolezza, diventando dei veri e propri comandanti e quelle che erano solo delle bande si trasformeranno, grazie ai rastrellamenti indiscriminati di popolazione civile, in vere e proprie brigate, assumendo così un ruolo di primo piano per la resistenza e la difesa della città. Con l'aumento del loro potere, costoro si arricchiscono facilmente e, in nome della sicurezza dei quartieri che difendono, controllano e tassano tutti i traffici del mercato nero.

Nonostante la precaria condizione militare degli assediati, lo Stato Maggiore della resistenza organizza la difesa della neonata Repubblica di Bosnia i Herzegovina dall'aggressione serba. Ma il confronto armato è molto problematico, i serbi dispongono di un esercito formato da unità combattenti bene armate e bene addestrate, in molti casi, composte da veterani della campagna di Croazia. Mentre i bosniaci non hanno ancora un vero e proprio esercito, ma solo formazioni male armate che si limitano a contrastare il nemico senza riuscire a sopraffarlo, combattendo, tuttavia, con la caparbia determinazione di sopravvivere alla rabbia, alla disperazione, al furore, al delirio di un esercito nazionale che stermina la propria popolazione civile.

Il 27 aprile, prima di proseguire per Lisbona, il pres. Izetbegovic s’incontra con il pres. Milosevic in una località della Macedonia, per trovare una soluzione politica al conflitto che travolge la Bosnia. Ma, evidentemente la parola, ormai passata alle armi, fatica a rientrare sotto il controllo della politica. In quei giorni, quando l'esodo di coloro che si rifugiano all'estero va diminuendo, iniziano intensi bombardamenti su tutta la città e sulla sua popolazione. I soldati dell'JNA, che occupano ancora undici caserme all'interno dell'assedio, devono mantenere la città divisa e contrastare la difesa da parte degli assediati. Inoltre esiste la cosiddetta "quinta colonna" che ha il compito di terrorizzare gli abitanti. E' composta da quei patrioti serbi, già riforniti segretamente di armi e munizioni durante l'inverno precedente, che ora controllano le strade sparando dai tetti e trasmettendo, ai compagni sulle colline, le coordinate e i tempi per i bombardamenti.
E’ la fine di aprile quando alcuni convogli di automezzi dell'JNA, carichi di armi e munizioni escono dalle caserme in città per raggiungere le truppe sulle colline. Uno di questi esce dal QG JNA a Bistrikt, dirigendosi verso Grbavica, dove giunge non senza difficoltà per poi proseguire verso la caserma di Lukavica, importante centro di comando e controllo dell'JNA, pochi kilometri oltre l'aeroporto. Un altro convoglio, esce dalla caserma M.Tito, risalendo le colline attraverso il quartiere di Pofalici, per poi scendere di nuovo a valle attraversando il quartiere di Vratnik. Ma la Patriotska Liga viene informata del passaggio dei camions e organizza l'agguato a Vratnik. Mentre il convoglio inizia a scendere a valle, i patrioti formano il corteo di un falso funerale e attraversano la strada proprio nel momento in cui sta arrivando la colonna dell'JNA, bloccandola. Tutte le armi e gli automezzi passano così nelle mani dei bosniaci.


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