PROLOGO 1:3
Ratko (Guerrino in italiano) vive a Sarajevo dal 1951, la sua famiglia viene da Mostar, dove ha vissuto per secoli vicino alla chiesa ortodossa. Nelle parte vecchia della città.
“Sono sempre stato un comunista, penso che Milosevic sia un grande politico e che i serbi non ne hanno mai avuto uno migliore. Lui ha salvato la Jugoslavia, ora é piccola, ma l'ha salvata. Lui per me é un uomo di pace.

Questa tragedia é stata causata dal revanscismo tedesco e dal Vaticano. I musulmani
sono un popolo senza identità, prima che venissero i turchi erano serbi, serbi erano!
No, non possiamo vivere con i mussulmani. Ma perché questi disgraziati del mondo
non danno ai serbi la loro autonomia?”

La città di Sarajevo si sviluppa in lunghezza, da est a ovest, lungo la valle della Milijacka che l’attraversa per intero. I primi insediamenti turchi appaiono intorno al XV secolo, con la comparsa del bazar, centro della vita commerciale e sociale, che ha il suo centro nella piazza di Bascarsija. In seguito, viene eretta la grande moschea "Begova Dzamija", la più antica della città, attorno alla quale il bazaar sviluppa nuovi spazi. Intorno a questo primo nucleo, sorgono le case dei fedeli musulmani e dei commercianti, che si arrampicano sempre più numerose sulle colline circostanti, affacciandosi sulla fertile vallata.

Nel XIX secolo, Sarajevo diviene parte dell'Impero Austroungarico, la città si arricchisce di connotazioni europee, vengono costruiti grandi palazzi monumentali e le strade lastricate sono percorse da eleganti carrozze, in un'atmosfera che porta Sarajevo in seno alla ricca Europa. La città si sviluppa e prospera lungo il fiume Miliacka e intorno alla sua via principale, dove nasce l'attuale centro storico, che finisce nel quartiere di Marindvor.

Con la fine della seconda guerra mondiale, la via principale viene intitolata al Maresciallo Tito, liberatore di Sarajevo, e la vecchia città europea si avvia a diventare una grande metropoli socialista, con i suoi palazzoni a venti piani che costeggiano il fiume, affacciandosi sul grande viale che corre per oltre dieci kilometri fino all'aeroporto, all'estremità occidentale della città.


Moschea Begova Dzamija


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A suo tempo, la presidenza collegiale della Federazione Jugoslava, desiderando evitare che gli stati federati entrassero in conflitto di rivalità fra di loro, e nonostante l’assenza di buona parte dei membri del collegio, ripose nelle mani dei serbi la responsabilità della difesa della Federazione e la completa gestione dell'Armata Popolare Jugoslava (JNA).

Con l'avvento di Milosevic alla leadership del partito e nelle stanze del potere di Belgrado, cominciano a fuoriuscire e ad essere espulsi dagli apparati di governo, tutti coloro che non simpatizzano per la causa serba. Fin da allora si presagivano eventi che avrebbero sconvolto la vita del paese, ma nessuno poteva immaginare che un giorno l'esercito nazionale (JNA) avrebbe sparato sul popolo che aveva il dovere di difendere.

La maggioranza degli jugoslavi avrebbe preferito una Jugoslavia unita, piuttosto di dover partecipare alla sua distruzione. Ma nel momento in cui il paese viene sopraffatto dai separatismi, ognuno si rifugia nella nazione in cui riconosce la propria identità e la propria patria. Così, in breve, la Federazione si sgretola e le nazioni ad essa federate pretendono la dignità di stati indipendenti.

Nel 1989 iniziano i primi pensionamenti anticipati all'interno dell'JNA, in particolare degli ufficiali che non sono di etnia serba, mentre, nell'estate del 1990, dopo la ritirata dalla Slovenia, inizia una vera e propria metamorfosi etnica all'interno dell'armata. Scrive il gen. Kadjevic, capo di stato maggiore dell'JNA nel 1991 durante la guerra in Croazia, che la trasformazione dell'esercito si compie nel mese di giugno del 1992, dopo che la sua armata approda in Bosnia con un potenziale bellico impressionante, sottratto alle neonate Repubbliche di Slovenia e di Croazia. E' allora che l'esercito popolare viene riunificato in tre corpi d'armata, appartenenti rispettivamente: alla nuova Federazione Jugoslava, e alle autoproclamate Repubbliche di Krajna e di Serbia.

La Bosnia Hezegovina (BiH) é identificata, nel quadro della difesa nazionale, come seconda zona. Il gen. Kukanjac é il capo di stato maggiore della seconda zona e risiede nel suo quartier generale (QG) a Bistrikt, nella città vecchia di Sarajevo. Dopo il rientro a Belgrado del gen. Kadjevic, reduce dalla campagna di Croazia, il potenziale offensivo della seconda zona sarà fortemente accresciuto. Il gen. Kukanjac aggiungerà all’arsenale bellico già esistente; 400 carriarmati, 300 veicoli blindati per il trasporto delle truppe, 3.000 cannoni di vario calibro, 100 aerei da caccia, 50 elicotteri da combattimento e, naturalmente, munizioni ed esplosivi in grande quantità. Il QG di Sarajevo controlla inoltre 14 comandi strategici sparsi su tutto il territorio della seconda zona, 11 dei quali al comando di ufficiali serbi, uno degli alleati montenegrini, uno dei croati e uno dei musulmani.

Verso la fine del 1991, il gen. Dzurdzevac, che comanda il quarto corpo della seconda zona e controlla la piazza di Sarajevo, viene incaricato dallo stato maggiore di disporre l'artiglieria pesante sulle colline circostanti la città.
Di lì a poco, la stampa, allarmata, chiede spiegazioni al gen. Kukanjac, il quale giustifica le manovre dell'artiglieria come routine, nel quadro di normali esercitazioni.

Dopo qualche mese, nell'aprile del 1992, quando le "esercitazioni" saranno terminate, il numero delle bocche da fuoco puntate sulla città di Sarajevo, supererà le 1.100 unità; cannoni, mortai, antiaeree, carriarmati, unità lanciamissili e quant'altro, di tutti i calibri compresi tra i 12,7 e i 145 mm.


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Nello stesso inverno, l'JNA, attraverso il Partito Democratico Serbo (SDS), distribuisce pistole automatiche, fucili di precisione, kalashnikov, munizioni e cibo a lunga conservazione, ai più fidati tra gli appartenenti al partito e a tutti coloro che desiderano lottare per la causa del popolo serbo. Tutto ciò avviene in gran segreto, solo i patrioti serbi ne sono al corrente. Gli abitanti di Sarajevo scopriranno solo in seguito che i loro migliori amici serbi si preparavano da mesi alla guerra, pur continuando a frequentare, come se niente fosse, coloro che sarebbero diventati i loro nemici giurati.

Il 9 gennaio 1992, il governo della BiH dichiara la volontà di staccarsi dalla Federazione Jugoslava e diventare uno stato indipendente. In seguito a questa dichiarazione viene indetto, nei giorni 28 febbraio e 1 marzo, un referendum per chiedere il consenso della popolazione.

Al censimento del 1991, gli abitanti della BiH risultano essere 4.365.000 di cui: il 43,7% musulmani, il 31,3% serbi, il 17,3% croati, mentre il restante 7,7% é composto dalle minoranze; montenegrini, ebrei, rom e da coloro che si dichiarano jugoslavi. La capitale della BiH é Sarajevo, che conta 415.000 abitanti. A Sarajevo risiede il governo, Alija Izetbegovic, eletto nel 1990, é il capo dello stato nella sua qualità di Presidente della Presidenza Collegiale, formata da sette membri, due musulmani, due serbi e due croati, più il Presidente. Il potere legislativo é affidato al Parlamento Bicamerale, composto da 240 membri.
(I dati del censimento sono stati estratti da l'Espresso n°31 del 4 agosto 1995)


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