LA BATTAGLIA DI SARAJEVO 1:17
Il 1° maggio il comandante della polizia militare, viene informato da un uomo della Liga che nel palazzo di vetro dell'UPI (sede dell'omonima compagnia), accanto al Teatro Nazionale dell'Opera, si possono osservare strani movimenti all'interno di alcuni uffici all'ultimo piano, che dovrebbero essere chiusi. In breve tempo una squadra della polizia militare, guidata dallo stesso comandante, entra nel palazzo per controllare l'ultimo piano. Sono 27, tutti equipaggiati con giubbetti antiproiettile e fucili di precisione, vengono da Nis, fanno parte dell'elite delle truppe d'assalto dell'JNA. Si erano nascosti in quel palazzo con il probabile scopo di sostenere l'offensiva che si sarebbe scatenata l'indomani. Infatti da quella posizione, i franchi tiratori potevano controllare il ponte dei Due Pescatori e il pezzo di strada che dal ponte porta sulla via Marsala Tita, proprio all'angolo con la Banca Nazionale.

E' il 2 maggio, le ore prima dell'alba sono quelle in cui l'attenzione e le difese naturali sono più deboli, ma é anche il momento migliore per partire inosservati. A Bistrikt, nel QG JNA, il gen. Kukanjac con il suo stato maggiore è ormai in gravi difficoltà, stanno perdendo il controllo dei 14 comandi strategici sparsi in Bosnia, così come della situazione in città. Uscire dalle caserme é sempre più pericoloso. Inoltre il QG custodisce documenti inoppugnabili sulla complicità e sulla responsabilità dell'esercito popolare nazionale nell'aggressione alla BiH, anche per questa ragione viene considerato un obbiettivo strategico di primaria importanza per i patrioti bosniaci. Nelle due settimane precedenti, per ben tre volte, sia pure senza successo, i difensori di Sarajevo hanno attaccato la caserma di Bistrikt. Il comando della Patriotska Liga non ha mai una sede fissa, ma cambia di continuo la sua dislocazione. Tuttavia, durante la notte, un informatore dall'interno del QG, riesce a far sapere al comando che, prima dell'alba, alcuni veicoli sarebbero usciti da una certa porta laterale. Verso le H.03.00 molti uomini della Liga raggiungono Bistrikt alla spicciolata, riunendosi poi con i loro gruppi d'azione. L'obbiettivo é ambizioso: penetrare nel QG nemico. Tre manipoli prendono posizione nelle tenebre davanti alla porta laterale, segnalata dall'informatore. L'attesa nel buio é muta, non si fuma. La gerarchia e il comando dei manipoli sono affidate alla capacità di imporsi con successo sui compagni. Nessuno é militare di carriera, sono tutti volontari senza esperienza in azioni di guerra, uomini che combattono solo da pochi giorni. - Alle H.05.00, i tre veicoli stanno uscendo dalla caserma e quando l'ultimo ha varcato la soglia del portone, abbiamo cominciato a sparare - racconta uno dei combattenti - Ho sparato insieme ai miei compagni, con un fucile a retrocarica fabbricato nel 1948, molto pesante ma anche molto preciso. Le guardie sono cadute per prime. Così il portone sarebbe rimasto aperto. Poi gli autisti e gli ufficiali sulla piccola jeep che precedeva un camion carico di documenti militari e un veicolo con la scorta, sui quali abbiamo avuto la meglio. Nel frattempo gli altri gruppi della Liga avevano preso posizione, accerchiando completamente il Qg dell'JNA.

Sono le H.07.00 quando, dagli ultimi piani dell'ospedale Militare, i franchi tiratori aprono il fuoco su di un gruppo di persone riunite davanti al palazzo del Parlamento. Il comandante della stazione di polizia di Marindvor, che sorge proprio dietro alla chiesa di San Giuseppe, chiama con il megafono i cecchini intimando loro di non sparare e minacciandoli di rispondere al fuoco. Dai piani alti dell'ospedale la risposta non si fà attendere, - se sparerete contro di noi, risponderemo - dopo alcuni minuti di scambi verbali, nuove intimidazioni e minacce, quattro proiettili di grosso calibro colpiscono il palazzo del parlamento. La polizia bosniaca apre immediatamente il fuoco sull'11° piano dell'ospedale, da dove sono partiti i colpi. Di lì a poco inizia un intenso bombardamento del blocco di edifici intorno alla stazione di polizia e alla chiesa. Più di 50 granate cadono, quella mattina, in poche centinaia di metri quadrati, nessuno si azzarda ad uscire in strada, chi ne ha la possibilità corre a rifugiarsi in cantina.

- Sono rimasto bloccato nella canonica - racconta Don Luca - e non potevo neppure andare in chiesa, che dista solo cinque metri dalla porta della canonica. Mentre in chiesa erano rimaste le suore, bloccate dal bombardamento durante il rosario. Nelle strade, le auto erano in fiamme, tutti i vetri degli edifici vicini stavano andando in frantumi, anche in chiesa le vetrate colorate si erano infrante a causa delle esplosioni, solo la vetrata di S.Andrea, allo scoppio di una granata, spalancandosi di colpo per la spinta della detonazione, rimase intatta. Da allora si mormora, scherzando, che S.Andrea, essendo un santo caro alla chiesa ortodossa, non andò in frantumi perché simpatizzante della causa serba. Poco dopo, l'ennesima esplosione sfonda il muro della chiesa, proprio sopra l'altare. Le suore all'interno dovevano essere terrorizzate. Allora, non sapendo che fare, telefonai al mio vescovo Mons. Pulic. -


2:17
Nella caserma di Lukavica, a sud-ovest di Sarajevo, che é in quel momento il centro di comando e controllo dell'assedio, il gen. Ratko Mladic prende il comando esecutivo dell'esercito della Repubblica Serba. Sollevando di fatto il gen. Kukanjac da una responsabilità che non é più in grado di gestire. Quella mattina il gen. Mladic ordina un'offensiva su tre direzioni, con lo scopo di conquistare tre obbiettivi strategici e ottenere la capitolazione della città. Gli obbiettivi sono: liberare il QG JNA a Bistrikt, conquistare il QG bosniaco e occupare il palazzo della televisione. Escono dalla caserma una dozzina di carriarmati, seguiti da alcuni blindati carichi di truppe d'assalto. I primi quattro mezzi corazzati usciti dalla caserma di Lukavica, attraversano indisturbati il quartiere di Alipasno Polije per poi svoltare a destra ed immettersi sull'arteria principale che li conduce verso il palazzo della televisione. Alto, massiccio, monumentale, la sede della TV di stato si presenta come un enorme bunker di cemento armato agli occhi dei carristi serbi che si avvicinano da ovest. Ma, prima che possano raggiungerlo, i territoriali in agguato, lanciano un missile anticarro sul primo della colonna. Mentre il carroarmato brucia, solo, in mezzo al grande viale deserto, i carristi che lo seguono, impressionati dal rogo e dai colpi che arrivano da tutte le parti, si ritirano frettolosamente verso la collina di Moimilo, a sud, che rimarrà per oltre due mesi un odiato bastione dei serbi i quali, da quella posizione, possono cannoneggiare un ampio territorio sottostante, e colpire facilmente chiunque si avventuri

sulla strada possono cannoneggiare un ampio territorio sottostante, e colpire facilmente chiunque si avventuri sulla strada che congiunge Dobrinja con Alipasno Polije. Dalla stessa posizione, inoltre, anche i quartieri di Moimilo e Alipasno Polije, così come lo stesso edificio della televisione sono nel raggio d'azione dei carristi e degli artiglieri serbo-bosniaci.

Cinque carri scendono dalla collina di Vraca verso Grbavica, seguiti dai blindati pieni di incursori. Escono da Grbavica proseguendo in direzione est, presso il ponte di Skenderja si dividono; due carri proseguono sulla via Dobrovolijacka (della Buona Volontà), che costeggia la riva sinistra della Milijacka. Mentre gli altri tre carri si apprestano ad attraversare il ponte di Skenderja, alla volta del vicino palazzo Presidenziale. Obbiettivo dell'azione é il quadrato tra i due ponti, quello di Skenderja e quello di Dva Ribara (dei Due Pescatori). Quadrato che contiene la Presidenza, il palazzo del Comune, il Comando delle Forze Speciali Antiterrorismo, il palazzo delle Poste e Telefoni e la Banca Nazionale. Superando i due ponti, i carri chiuderebbero in una manovra a tenaglia l'obbiettivo, bloccando la strada principale e occupando, con le truppe d'assalto, le centrali di comando della resistenza.

3:17
Mentre i carristi si stanno avvicinando al loro obbiettivo, alcuni veicoli da trasporto giungono alla Dom JNA (casa dell'esercito), in pieno centro, con l'ordine di prelevare del materiale. All'improvviso, dal camion in sosta nella piazzetta, i soldati aprono il fuoco su alcuni civili che sostano alla fermata dell'autobus. La risposta dei bosniaci é immediata e la colonna diventata bersaglio dei territoriali va a fuoco. Dall'altra parte del fiume due blindati si aprono verso il ponte Gavrilo Prinz, famoso per lo storico attentato all'Arciduca Ferdinando, e si dirigono verso la casa dell'esercito dove é in corso la battaglia. All'altezza del ponte di legno un manipolo di difensori, per sfuggire alle raffiche dei blindati, saltano nel fiume poi, protetti dalla murata che argina la Milijacka mandano a segno un proiettile anticarro, incendiando uno dei blindati, che sbanda contro il muro di un liceo. In quel momento, poche centinaia di metri più a ovest, i due carri che percorrevano la via della Buona Volontà, raggiungono il ponte dei Due Pescatori e si apprestano ad attraversarlo in fila indiana. Di fronte a loro il palazzo delle Poste é in fiamme, dal monte Trebevic l'artiglieria dell'JNA copre l'offensiva con un intenso bombardamento. Le forze speciali antiterrorismo, giunte dal vicino comando bosniaco, impegnano i carri che avanzano sul ponte cannoneggiando gli edifici, infine una granata anticarro centra il primo della fila, mentre sta uscendo sulla riva destra del fiume. Il carroarmato in fiamme si ferma, bloccando il passaggio sul ponte ai due che lo seguono i quali, non potendo proseguire sono costretti a ripiegare sulla via della Buona Volontà.
Sul ponte di Skenderja é iniziata la battaglia per la conquista della Presidenza, tre blindati hanno attraversato il ponte sparando all'impazzata, mentre i carri che li coprono hanno aperto il fuoco su due tram, che stazionano alla fermata oltre il ponte, incendiandoli. Subito, dal palazzo dei sindacati, dove hanno preso posizione, i governativi rispondono al fuoco mentre i cannoni dei carristi aggrediscono il palazzo devastandolo. A poche centinaia di metri, altri bosniaci sparano dal palazzo "Valter Peric" alla volta dei blindati che, raggiunti da un violento fuoco incrociato e da proiettili incendiari, vengono fermati e distrutti. Il palazzo "Valter Peric" viene subito preso di mira dall'artiglieria serba, e dato alle fiamme. Tutt'intorno le auto sono in fiamme come i palazzi, vetri in frantumi e macerie fumanti soffocano il paesaggio. Quando il primo dei carristi sta superando il ponte, l'ennesimo proiettile anticarro lo colpisce, bloccandolo e sbarrando il passo agli altri carri che lo seguono, costretti a ritirarsi.

All'interno della Presidenza, Kemal Muftic, preoccupato dal precipitare degli eventi, cerca di mettersi in contatto con Lisbona da dove, quel giorno, il presidente avrebbe dovuto fare ritorno. - Volevo pregare il Presidente di rinviare il suo rientro - racconta il consigliere - perché la situazione in città era molto pericolosa. Quando finalmente riuscii a prendere la linea con l'albergo di Lisbona in cui era alloggiato, mi dissero che era già partito. Allora provai a chiamare l'aeroporto di Roma, dove la delegazione avrebbe fatto scalo, ma neanche lì riuscii a comunicare con il Presidente. Il piccolo aereo della Comunità Europea che lo avrebbe ricondotto in patria, era già decollato e non potevo raggiungerlo in volo con il telefono, perché l'aereo era privo della tecnologia adeguata. -
A Bistrikt, nelle stesse ore, i tre mezzi corazzati destinati a liberare il QG stanno transitando sotto il cimitero degli ebrei, quando vengono attaccati e costretti a ripiegare dai territoriali in agguato. Il cimitero degli ebrei, amato come un parco romantico dai giovani di Sarajevo, diventerà poi un bastione degli assedianti, tristemente noto per l'accanirsi dei cecchini sugli abitanti della zona. L’assedio del QG JNA e la battaglia davanti all'uscita laterale continuano ferocemente da circa nove ore. Molti giovani soldati di leva dell'JNA, vengono sacrificati per coprire la ritirata del personale dagli uffici sui quali, i bosniaci, ormai entrati nel cortile della caserma, premono furiosamente. Sono circa le H.14.00 quando i patrioti della Liga hanno la meglio sui serbi e penetrano nell'edificio. I cadaveri ingombrano il corridoio sul quale si affacciano gli uffici abbandonati, nelle camere sono ammucchiate alla rinfusa casse semiaperte di documenti e materiale militare. I combattenti si muovono in quel silenzio saturo di morte con tutti i sensi all'erta, uno di loro apre un cassetto, il detonatore attiva una carica nascosta e l'uomo esplode insieme all'ufficio. Tutti i locali sono stati minati prima della ritirata, le trappole sono nei bagni, dentro gli archivi, dietro le porte, sotto le sedie, ogni passo é una sfida con la morte. Un secondo uomo, non vede il filo teso attraverso una porta a pochi centimetri dal pavimento, il filo si tende e il detonatore attiva la carica che esplode. Alcuni audaci inseguono, lungo uno stretto corridoio, i nemici in ritirata, ma vengono bloccati da un intenso fuoco di sbarramento, in quel momento un terzo combattente viene colpito a morte. Un quarto cadavere viene trovato in uno degli uffici, riverso sulla scrivania, ha il volto sfigurato, ma non si sono uditi ne spari ne detonazioni. In camera, ammucchiate in un angolo, giacciono dozzine di scatole nuove contenenti ognuna un revolver Magnum 457, corredato da proiettili e garanzia.

4:17
- Stavamo ancora guardandoci intorno - racconta uno degli incursori - in cerca di ordigni nascosti da disinnescare, quando arriva qualcuno da fuori che ci ordina di ripiegare immediatamente. Noi non volevamo uscire, perché potevamo tenere quel corridoio e usarlo come testa di ponte per penetrare nel QG nemico. Ma evidentemente non era una buona idea. E poi c'erano tutte quelle Magnum 457 e i documenti, non potevamo abbandonare tutto così, di colpo. Per due volte ci furono violente discussioni tra di noi, perché alcuni volevano uscire mentre altri volevano restare. La confusione era provocata dai molti che volevano comandare, pretendendo di essere in grado di farlo meglio degli altri. Ma non eravamo neppure capaci di distinguere, tra il materiale e i documenti, cosa fosse importante e cosa no. -

Alle H.15.40, l'offensiva per conquistare la Presidenza é ormai in pieno svolgimento quando, per la prima volta dopo 47 anni di pace, il sordo boato delle granate e il suono lacerante delle sirene che annunciano il pericolo di un attacco aereo, aggrediscono la città, risvegliando in molti anziani un terribile passato che si era da tempo sopito nella loro memoria. Sarajevo giace inerme, come nel palmo di una mano, circondata da colline irte di bocche da fuoco, travolta da un intenso bombardamento.

Mentre dalla Stazione di Polizia il bombardamento si é ormai allargato a tutto il quartiere. Le torri gemelle dell'UNIS (compagnia commerciale) che s'innalzano alle spalle dell'Holliday Inn, sono in preda alle fiamme. Anche il grattacielo dell'Energoinvest, più a ovest, subisce i colpi incendiari degli assedianti. Nel quartiere di Novo Sarajevo, di fronte a Grbavica, il palazzo dell'Azienda per l'Energia Elettrica stà bruciando, rimarrà in piedi solo la struttura in ferro. Il pronto soccorso cittadino viene ripetutamente colpito dalle granate, così come il Ministero degli Interni, dove il Ministro viene leggermente ferito. Le fiamme avvolgono la scuola di Dzela, il supermercato di Otoka viene distrutto, la via Marsala Tita sfigurata dalle rovine. A Vratnik e Bistrikt, sui lati opposti della città vecchia, cadono migliaia di granate. (Tratto dalla prima pagina di Oslobodzenje del 03 maggio 1992)
Il gen. Kukanjac asserragliato nel suo QG, subisce insieme alle sue vittime le drammatiche conseguenze dei suoi stessi ordini. A Grbavica viene arso da un incendio lo shopping centre e completamente distrutto il grande magazzino Zema, mentre gli scontri a fuoco per le strade s'intensificano in tutto il quartiere. La battaglia di Sarajevo infuria e i suoi cittadini, malamente armati, vendono a caro prezzo la loro libertà.

Nel tardo pomeriggio, i carristi ripiegati sulla collina di Moimilo, insieme a diverse altre postazioni d'artiglieria, iniziano un intenso bombardamento che colpisce incessante il palazzo della televisione, contemporaneamente sul monte Hum, il ripetitore televisivo viene aggredito da dozzine di traccianti e va a fuoco, compromettendo le trasmissioni solo per un breve periodo. Il bombardamento proseguirà con accanimento per ore, ma le trasmissioni continueranno caparbie ad occupare l'etere e a mostrare le immagini della tragedia che si stà consumando a Sarajevo.


Il Presidente Alija Izetbegovic
E' appena iniziato il bombardamento sulla televisione, quando l'aereo con a bordo il presidente Izetbegovic, accompagnato dalla figlia Sabina in veste di interprete e da un membro dell'SDP, il prof. Zlatko Lagoumdzja, si trova sulla rotta di avvicinamento all'aeroporto di Sarajevo. Il comandante contatta la torre di controllo per chiedere il permesso all'atterraggio. Dalla torre i controllori di volo chiedono di parlare con il Presidente per informarlo che il suo rientro a Sarajevo é incerto e rischioso. Izetbegovic accetta il rischio, si prende con coraggio la responsabilità di rientrare nella capitale a condividere, con il suo popolo, la pericolosa situazione di Sarajevo che brucia, preda della morte e della distruzione, ma non soccombe davanti all'offensiva serba. Sono da poco passate le H.18.00 quando l'aereo del Presidente ottiene il permesso all'atterraggio, il piccolo jet si ferma sotto la torre di controllo, viene aperto il portellone, avvicinata la scaletta e subito alcuni soldati dell'JNA salgono a bordo e prelevano il Presidente e i suoi accompagnatori, scortandoli in un ufficio dell'aeroporto, dove vengono trattenuti in attesa di ordini. Pare, che durante l'attesa sia suonato un telefono al quale risponde un funzionario di quell'ufficio, all'altro capo del filo, una madre in ansia, vuole sapere se il volo con suo figlio a bordo é arrivato, mentre il funzionario stà faticando a convincerla dell'impossibilità di quell'arrivo, Izetbegovic vede in quella linea telefonica aperta una possibilità, vitale per lui in quel momento, di comunicare con Sarajevo.

5:17
Si alza di scatto, strappa la cornetta dalle mani del funzionario e lancia il suo appello, - Pronto? Signora mi ascolti, sono il presidente Alija Izetbegovic, la prego di informare subito la presidenza o la televisione che sono trattenuto all'aeroporto, non sò se e quando potrò entrare in città. -poi la comunicazione viene interrotta da una delle guardie armate. Dopo circa un'ora, intorno alle H.19.15, si presenta il colonnello Magazin dell'JNA e informa il presidente che, per ordine del gen. Kukanjac, deve scortarli a Lukavica.
A Marindvor, intanto, Don Luca vive momenti di disperazione per la chiesa distrutta e soprattutto per le suore che sono rimaste imprigionate all'interno dalla furia dei bombardamenti, così pensa di telefonare alla TV nella speranza, dettata dalla disperazione, di riuscire almeno a salvare le suore. Dalla redazione del TG lo pregano di richiamare per ripetere in diretta il suo appello, durante il notiziario delle H.19.00: - Così, dopo la grande tristezza per la distruzione della chiesa e la preoccupazione per la sorte delle suore, mi assalirono i dubbi e i sospetti, per quell'invito che mi sembrava un tranello. Tuttavia alle H.19.06 richiamai la redazione del telegiornale e quelli mandarono in diretta le mie parole, “Oggi alle H.11.20 la bella chiesa in pietra di San Giuseppe é stata bombardata proprio sopra l'altare ...” Non feci in tempo a finire di parlare che partì l'ordine di bombardare ancora la chiesa! Gli artiglieri colpirono la torre campanaria e l'orologio. Si aggiunse così al mio stato d'animo colmo di dolore e di tristezza anche il senso di colpa per avere osato quella denuncia, causando così nuova distruzione alla mia chiesa. Ricordo che lo speaker di allora ha continuato a lavorare ancora per molti mesi alla TV di stato dopo quel giorno. Poi d'un tratto scomparve e nessuno seppe più nulla, fino a quando non lo si vide apparire nella sua vera veste di speaker della SRNA (agenzia serba d'informazione). -
Stjepan Kljuic, croato e repubblicano, leader dell'HDZ e membro del Collegio di Presidenza, fa parte dell'esecutivo a capo del QG bosniaco. Quella sera, all'interno della presidenza, Kljuic si sente soddisfatto. - Ho organizzato la difesa di questo palazzo con dei ragazzi che avevano messo sù una brigata privata. Erano tutti dilettanti, ma quando i carriarmati serbi sono arrivati a 50 metri dalla Presidenza li hanno fermati. - racconta fiero - Dei dilettanti capisce? Noi amateurs abbiamo vinto un'unità d'elite dell'esercito serbo! Questa é la dimostrazione che l'JNA era incapace di contrastarci. Per cinquant'anni si sono preparati per fare la guerra a dei nemici stranieri, era la quarta armata del mondo, ma per conquistare Sarajevo hanno pensato di entrare in città da due o tre direzioni e prendere la Presidenza. Io sarei entrato da dieci direzioni diverse. Inoltre i serbi non conoscevano la nostra capacità di reazione, ignoravano in quale condizione fosse lo stato della nostra difesa. Per confonderli simulavo per radio dozzine di chiamate ad altrettanti reparti inesistenti, un bluff che ha funzionato. Avevano paura di affrontare un combattimento per strada, corpo a corpo, perché gli attaccanti corrono il rischio di subire molte perdite, dieci volte più dei difensori.

Noi avevamo solo armi leggere e qualche missile anticarro. Abbiamo avuto più fortuna che cervello. Devo dire che questa città si é difesa grazie alla resistenza spontanea dei suoi cittadini. E' stato un miracolo come siamo riusciti a resistere. Il progetto di bombardare la città era finalizzato a terrorizzare gli abitanti, mentre sullo schermo della TV di stato si poteva vedere Fikret Abdic che supportava la causa serba, dichiarando che bisognava rimanere nella struttura jugoslava. Ambizioso e ricco, Abdic era anch'egli membro del Collegio di Presidenza. In passato era stato imprigionato per malversazioni economiche e, all'epoca, era l'uomo di paglia dell'SDS. Volevano liquidare Izetbegovic, Ganic e me, per mettere Abdic sulla poltrona di Presidente, così tutto il potere esecutivo sarebbe passato sotto il controllo dell'esercito. E l'occidente se ne sarebbe lavato le mani, non avrebbe reagito. L’Europa sarebbe rimasta indifferente, mentre Sarajevo avrebbe subito lo stesso destino dell'Ungheria nel 1956, o di Praga qualche anno dopo. Lui voleva rimanere in Jugoslavia, lui era l'uomo chiave del colpo di stato, colui che avrebbe preso il potere. Ma noi non lo temevamo, poco prima che iniziasse la diretta telefonica con il Presidente, trattenuto agli arresti a Lukavica, mandai un mio uomo alla televisione con l'ordine di sorvegliare Abdic. Dissi a Jerko che se fosse stato necessario doveva liquidarlo. -
Più tardi, poco prima delle H.20.00, Izetbegovic viene raggiunto telefonicamente a Lukavica da un redattore del notiziario televisivo, Senad Hadzifejzovic: - la sua drammatica telefonata dall'aeroporto ha avuto successo. – disse al Presidente. La TV ha organizzato uno speciale in cui verrà trasmessa in diretta la conversazione telefonica tra Lei, il suo vice e altri membri del governo. Fuori dallo studio dove ha luogo la trasmissione, alcuni governativi presidiano l'entrata. Dentro l'attività é febbrile finché arriva l'ok dalla regia, Senad Hadzifejzovic comincia a parlare in diretta. (Dialogo tratto dalla registrazione originale della trasmissione televisiva. Per gentile concessione della Sig.ra Omersoftic. Direttrice della TV BIH nel 1996.)

6:17
Senad Hadzifejzovic: - Dalla regia mi comunicano che sulla linea telefonica abbiamo il Presidente della Presidenza Collegiale di BiH, Alija Izetbegovic, mi sente Presidente? -
Alija Izetbegovic: - Si, la sento. –
Senad Hadzifejzovic: - L'JNA dice che vuole evacuare il QG a Bistrikt e andare a Lukavica, per questo sono pronti ad un cessate il fuoco. Vogliono parlare con qualcuno della Presidenza per dirgli di contattare la Difesa Territoriale, perché cessino il fuoco. Con chi ha parlato lei, sig. Presidente? -
Alija Izetbegovic: - Ho parlato con il gen. Kukanjac e con il gen. Dzurdzevac pochi minuti fà. Il gen. Dzurdzevac ha detto che l'JNA vuole ritirarsi a Lukavica e noi vogliamo lasciarglielo fare. -
Senad Hadzifejzovic: - C'é Ejup Ganic della Presidenza al telefono. –
Ejup Ganic: - Pronto? Stò chiamando dalla presidenza. -
Alija Izetbegovic: - Sono a Lukavica, nella caserma, sono arrivato all’aeroporto circa un’ora fà, l'JNA mi ha portato quì. Ejup, dimmi, cosa stà succedendo là, qual'é la tua opinione su tutti questi eventi? -
Ejup Ganic: - Dalle H.12.00 di oggi, l'JNA stà duramente attaccando la città. Il centro di Sarajevo é distrutto, ci sono molte vittime. E stanno continuando, ci sono carriarmati a Skenderja e vicino Vraca. -
Alija Izetbegovic: - Con chi sei in questo momento? -
Ejup Ganic: - Dei membri della presidenza c'é solo Stjepan Kljuic con me ora, Fikret Abdic é da qualche parte alla televisione. Vorrei chiamare i rappresentanti dell'ex JNA per negoziare la fine di questa follia. Vorrei anche manifestare il mio cordoglio alla Comunità Europea per la Morte dei loro osservatori. Molti edifici sono stati incendiati e sono tutt'ora in fiamme; il palazzo del Parlamento, la Banca Nazionale, la Centrale di Polizia, la Casa dei Sindacati. Carriarmati, cannoni e lanciamissili sono operativi. Voglio anche dire che l'intera città é con le truppe della nostra Difesa Territoriale, che stanno combattendo coraggiosamente. Questa é un'aggressione, é una follia! -
Alija Izetbegovic: - Rivendicano lo stesso anche quì, non sò più cosa pensare. -
Ejup Ganic: - Per l'amor di Dio Alija, quì ci sono tutti i giornalisti, c'é la comunità internazionale e il pubblico. -
Alija Izetbegovic: - La difesa territoriale é disposta a lasciare andare l'JNA a Lukavica? -
Ejup Ganic: - Si, sono pronti. In questo momento la Difesa Territoriale stà solo cercando di impedire che l'JNA entri in città. -
Alija Izetbegovic: - Qual'é la strada migliore per loro, per lasciare Sarajevo? -
Ejup Ganic: - Sarebbe meglio che partissero dalla stessa strada da cui sono venuti, possono passare da Vraca. -
Alija Izetbegovic: - Mi stanno dicendo che dal QG JNA vogliono passare accanto alla Dom JNA fino in fondo alla strada, per poi attraversare il ponte di Vrbanja e raggiungere Vraca. Devi dire alla difesa territoriale che possono lasciarli passare, solo se vanno dalla città a Vraca e non se vanno dal posto in cui sono ora verso il centro della città. Ho chiesto al gen. Dzurdzevac come sono arrivati quì e mi ha risposto che sono stati fermati vicino alla Dom JNA, dove hanno dovuto forzare il blocco. –
Ejup Ganic: - Alija dimmi, perché non vieni quì? -
Alija Izetbegovic: - Perché non mi lasciano venire. –
Ejup Ganic: - Ma così non può essere! -
Alija Izetbegovic: - Mi hanno forzato a venire quì, l'JNA era all'aeroporto. Come é stato possibile per te telefonare, sò che tutte le linee sono state tagliate? -
Stjepan Kljuic: entra nella conversazione. - Presidente, la prima condizione che deve porre al gen. Dzurdzevac é che deve fermare il bombardamento di Sarajevo. Un'altra condizione é di riportarla in città, solo allora li lasceremo andare a Lukavica. Ci accorderemo con l'UNPROFOR per venirla a prendere a Lukavica e accompagnarla alla Presidenza, sono circa le H.20.30, gli daremo trenta minuti per riportarla quì. Devono cessare il fuoco ora. -
Ejup Ganic: - L'abbiamo fatto con l'aiuto della TV e della radio di BiH. -

Izetbegovic si rivolge a Dzurdzevac, - Generale dica ai suoi uomini di cessare il fuoco, i nostri l'hanno cessato pochi minuti fà - poi prosegue con la Presidenza - Ho un messaggio per tutti i nostri cittadini. Non disturbate le truppe JNA, lasciateli passare. -

Ejup Ganic: - Nessuno andrà da nessuna parte fino a quando non sarai liberato. Tu sei il nostro Presidente e loro ti hanno arrestato. Dì al gen. Dzurdzevac che questa é un'occasione unica per cessare il fuoco. E anche che deve lasciarti andare. Noi assicureremo il trasporto dell'UNPROFOR per te. Coloro con cui stai parlando, porteranno a termine la loro parte dell'affare? -
Senad Hadzifejzovic: - Sig. presidente può descrivere al pubblico, qual'é la sua posizione? -
Alija Izetbegovic: - Sono in ostaggio quì, il gen. Dzurdzevac dice che non é vero, dice che sono quì per la mia sicurezza. Secondo me stanno sparando proprio da quì, da Lukavica. -
Senad Hadzifejzovic: - Posso parlare con il gen. Dzurdzevac, generale può descriverci cosa stà succedendo? -

7:17
gen. Dzurdzevac - Ci stanno bombardando dal monte Hum e da Dobrinja. -
Stjepan Kljuic: - Noi abbiamo cessato il fuoco, perché non lo cessate anche voi? -
gen. Dzurdzevac: - L'abbiamo fatto. -
Stjepan Kljuic: - Lei stà dicendo che avete cessato il fuoco, ma nello stesso tempo ci sono granate che cadono sulla città? -
gen. Dzurdzevac: - Sono un vecchio umanista, abbi un poco di fiducia in noi. Tutto ciò che vogliamo é di lasciare la caserma di Bistrikt, quella di Tito e la Dom JNA. Sembra che nessuno abbia l'autorità di fermare questa gente della Difesa Territoriale. -
Stjepan Kljuic: - Vi invieremo il blindato UNPROFOR adesso, lei e il Presidente vi monterete sopra e verrete quì entrambi. Lei ed io insieme ci assicureremo che i vostri soldati lascino salvi le caserme. -
gen. Dzurdzevac: - Non voglio accettare questo ultimatum. -
Stjepan Kljuic: - Gli ufficiali comandanti della difesa territoriale sono quì alla TV, dicono che faranno le cose che sono state appena dette. Ora, abbiamo solo bisogno del vostro consenso gen. Dzuedzevac. E' semplice. -
gen. Dzurdzevac: - Le nostre richieste sono: primo, fermare ogni attacco agli edifici dove sono le nostre truppe. Secondo, lasciateci raccogliere tutti i nostri soldati morti e feriti. Terzo, lasciateci uscire da Sarajevo per andare a Lukavica. Non succederà nulla al Presidente, ne a sua figlia, ne al prof. Lagoumdzija, che adesso sono quì al sicuro. –
Stjepan Kljuic: - Qual'é lo status del Presidente là? -
gen. Dzurdzevac: - E' quello di un uomo che stà aiutando il nostro esercito a lasciare la città. Tuttavia non é stata una mia idea, chiami il gen. Kukanjac e tutto sarà chiaro. Le nostre richieste sono: primo, fermare ogni attacco agli edifici dove sono le nostre truppe. Secondo, lasciateci raccogliere tutti i nostri soldati morti e feriti. Terzo, lasciateci uscire da Sarajevo per andare a Lukavica. Non succederà nulla al Presidente, ne a sua figlia, ne al prof. Lagoumdzija, che adesso sono quì al sicuro. –
Stjepan Kljuic: - Qual'é lo status del Presidente là? -
gen. Dzurdzevac: - E' quello di un uomo che stà aiutando il nostro esercito a lasciare la città. Tuttavia non é stata una mia idea, chiami il gen. Kukanjac e tutto sarà chiaro. -
Interviene Fikret Abdic, dallo studio televisivo. - Tutto ciò che posso dire é che il cessate il fuoco non é in atto. -
Alija Izetbegovic: - Da quì posso sentire che stanno sparando, posso anche sentire la terza parte che stà sparando. –
Interviene Senad Hadzifejzovic: - Chi é la terza parte? -
Alija Izetbegovic: - Penso che siano le forze illegali dell'SDS, stanno sparando da Vraca e da Trebevic. Ma da quì é difficile dire chi spara a chi. -
Stjepan Kljuic: - Per favore sig. Hdzifejzovic, trovi qualcuno che parli inglese e gli faccia descrivere questa situazione, a proposito del nostro Presidente e del resto. Perché abbiamo bisogno che la comunità internazionale ci aiuti adesso. -
Ejup Ganic: - Mi rivolgo a tutti coloro che fanno parte della missione UNPROFOR, per informarvi che il nostro Presidente Alija Izetbegovic é agli arresti nella caserma di Lukavica, catturato dal gen. Dzurdzevac. Abbiamo già raggiunto un accordo, secondo il quale voi scorterete il Presidente. Dovete prendere un blindato e andare a Lukavica, mentre noi, membri della Presidenza, organizzeremo il trasporto di tutti i soldati dell'JNA da Sarajevo a Vraca. Grazie molte a nome di tutti i cittadini di Sarajevo. -
gen. Dzurdzevac: - Ho ordinato che tutte le forze JNA sospendano ogni azione difensiva, a meno ché la Difesa Territoriale non ricominci a sparare.
Ejup Ganic riprende - Alija stò facendo il tuo lavoro, fino a quando non sarai in grado di farlo tu. Come tuo vice voglio dirti, in nome dei cittadini di BiH, non lasciare che ti spezzino, rimani con le tue decisioni. -
Alija Izetbegovic: - Non preoccuparti per questo, sai che ho i nervi molto saldi, per questo non devi temere che possa fare qualcosa che sia contro il nostro popolo. E voglio anche dirti che sono quì contro la mia volontà e non penso di essere al sicuro. Sarei molto più al sicuro nel mio ufficio, al mio posto di lavoro. Voglio essere chiaro con te, sono prigioniero. -

Ejup Ganic: - Verremo lì con un'auto segnata, e chiederemo ai cittadini, a chi vorrà, di proteggere la strada con la loro presenza. E' anche molto importante che tu sappia che quì c'é un comandante della Difesa Territoriale che può confermarti che ha ordinato ai soldati il completo cessate il fuoco. - Interviene il comandante, - Dal Ministero della Difesa e da quello degli Interni é stato ordinato il cessate il fuoco e nessuno sparerà a meno ché ci siano movimenti, il cessate il fuoco continuerà fino alle H.21.30 in punto. -
Ejup Ganic: - Da ora nessuno aprirà il fuoco. La garanzia per voi é che noi, membri della Presidenza, andremo insieme ai soldati JNA verso Vraca, attraversando la città. -

8:17
Prende la parola il colonnello Gagovic dell'JNA, - In questo momento il cessate il fuoco é rispettato da ambo le parti. Ora, la cosa che vogliamo é di raccogliere i nostri soldati morti e feriti dalla linea del fronte. Poi vogliamo che il gen. Kukanjac lasci il QG di Bistrikt, dove é stato bombardato dalle forze della difesa territoriale per tutto il giorno, e raggiunga la caserma di Lukavica. Dopo di ché, giuro sulla mia vita che il Presidente Izetbegovic verrà rilasciato. Non c'é altro modo di poter garantire la sicurezza di nessuno, perché ho già visto abbastanza sangue per oggi. -
Prende la parola il rappresentante del Ministro degli Interni, Zoran Milanovic: - Sono appena arrivato, ma ho potuto sentire l'intervento del col. Gagovic, ne lei ne nessun altro ci convincerà che le vostre forze armate non spareranno. Nello stesso tempo, ho un'informazione, due uomini del ministero sono appena stati uccisi dal fuoco dei cecchini che sparano dal monte Trebevic. Cessate il fuoco dal Trebevic e anche da Butmir, così potremo fare le cose che chiedete. -
Senad Hadzifejzovic: - A causa dell'assenza di fiducia che avete in noi, credo sia meglio se chiediamo all'UNPROFOR di raccogliere i morti e i feriti e di portarli oltre le linee. –
col. Gagovic - Siamo d'accordo. -
Alija Izetbegovic: - Ejup, voglio dirti che fin d'ora hai il mio permesso di prendere tutte le decisioni necessarie. In mia assenza i tuoi ordini saranno i miei. -
Ejup Ganic: - Suggerisco che sarebbe molto più semplice se Izetbegovic e Kukanjac lasciassero Lukavica e Bistrikt nello stesso momento e che entrambi si dirigessero verso il PTT (palazzo delle telecomu-nicazioni), perché quella é una zona neutrale controllata dall'UNPROFOR. -
Interviene il giornalista Senad Hadzifejzovic in inglese: - Colonnello Doyle, o chiunque stia monitorando questa trasmissione, vogliamo informarvi di ciò che stà accadendo. -
Il colonnello Doyle, dell'UNPROFOR, telefona alla TV ed entra nella discussione in diretta, - Proverò ad organizzare il trasporto del presidente Izetbegovic e del gen. Kukanjac dovunque decidiate. Ma voglio aggiungere che non rischierò la vita di nessuno. Ognuno deve prima di tutto cooperare. Andrò a prendere il generale e il presidente adesso. Ora però, spero che qualcuno dell'JNA mi contatti, perché voglio conoscere anche le loro intenzioni. -
Zoran Milanovic: - Circa 15 minuti fà, quando l'JNA diceva di rispettare il cessate il fuoco, nello stesso momento, dalle colline i serbi dell'SDS hanno cominciato a bombardare il centro della città, potete sentire che stanno continuando anche ora. Per questo noi del ministero invitiamo l'JNA a smettere di dire che non hanno nulla a che fare con i serbi sulle colline, perché é ovviamente falso. Ho ancora una notizia, voglio informare i cittadini di Grbavica che in questo momento circa 500 uomini, delle cosiddette “Aquile Bianche”, stanno scendendo nel quartiere. Cittadini, preparatevi a sparare, non lasciate che compiano massacri. Il nostro Ministro é leggermente ferito, ma penso che riuscirà a raggiungerci quì. Ancora una volta, cittadini, difendete le vostre strade e le vostre case! -
In questo momento cade la linea che viene presto ripristinata.
Senad Hadzifejzovic: - Mi sente sig. Presidente? -
Alija Izetbegovic: - Si si la sento, volevo comunicare al prof. Ganic che abbiamo dato l'ordine di non sparare, quì l'esercito afferma che, come si dice, presso il comando in città, qualcuno che si trova nelle vicinanze spara sul comando. Ho avvertito il col. Gagovic che é possibile che siano i gruppi paramilitari dell'SDS, i quali approfittano di questa confusione e sparano sul comando. Loro affermano che non é così. Nel frattempo voi avete delle notizie riguardo a questo? Vlado mi ha riferito che, come si dice, gli abitanti di Vratnik fanno sapere che stanno sparando da Lapisnica. -
Senad Hadzifejzovic: - Si da Lapisnica, sparano su tutta la città vecchia. -
Alija Izetbegovic: - Si sulla città vecchia. -
Senad Hadzifejzovic: - Le granate cadono anche quì da noi sul palazzo della televisione, anche adesso, durante la diretta telefonica sono continuate a cadere. Ne ho una quì davanti a me sul tavolo. E' una granata da mortaio. -
Alija Izetbegovic: - Cadono sul palazzo della televisione? -

Senad Hadzifejzovic: - Per tutto il tempo della trasmissione le granate sono cadute sulla nostra sede. In città alcuni grandi palazzi stanno bruciando, ci sono combattimenti, sparano da Lapisnica. Avevamo la garanzia che avevano dato l'ordine di non sparare, ma evidentemente a Lapisnica si trovano dei miliziani serbi che continuano a sparare senza diminuire d'intensità. -
Alija Izetbegovic: - Si si, si tratta di assicurare i militari di quì che le cose stanno veramente così, loro affermano che ... -
A causa dei bombardamenti c'é una nuova interruzione della linea.
Alija Izetbegovic: - Pronto? Ejup Ejup, pronto? Quì parla Alija. –
Ejup Ganic: - Si ti ascolto. -

9:17
Alija Izetbegovic: - Io vorrei chiederti un favore, più o meno sò cosa stà accadendo, a me é chiaro cosa succede, ma i militari non ci credono. Sono sicuro che é qualcun'altro a sparare, ma sarebbe bene che tu controllassi questo, é facile controllare, qualcuno può andare vicino a Bistrikt e vedere. Qualcuno può andare al ponte Gavrilo Princip o all'hotel Europa e vedere, così saremo sicuri se qualcuno spara sul comando. Qualcuno deve andare a vedere, così potremo verificare i fatti. Io quì stò avvertendo i militari che é molto probabile che si spari, che ci sia qualcuno che approfitta di questa situazione e che si spari all'esercito per provocarli e che loro stessi si vendichino sulla città. E' una cosa possibile in questo momento, nello stesso tempo è difficile rassicurarli su questo. -
Senad Hadzifejzovic: - Sig. presidente abbiamo notizie che sparano da Butmir, dalla caserma Victor Buban, e anche da Vraca sparano su Sarajevo. Ci siamo messi in contatto con il ministero degli Interni di BiH e ci hanno confermato che tutti gli ordini dei quali abbiamo parlato questa sera, riguardanti le persone che difendono Sarajevo, sono stati messi in vigore. -
Ejup Ganic: - Ascolta Alija, Kljuic é nell'altra stanza con tutti i comandanti della difesa territoriale e con le persone del Ministero degli Interni. Tutto é sotto controllo, nessun'uomo della Difesa Territoriale spara e nessun'uomo del Ministero degli Interni spara -
Alija Izetbegovic: - Noi non possiamo assicurare gli uni agli altri queste cose. L'importante é che i cittadini siano informati che la difesa bosniaca non spara. Se non siete sicuri di questo controllate. Non c'é bisogno di sparare e noi certamente non possiamo impedire all'SDS di sparare. Il col. Gagovic dice che si spara dalle caserme di Jaice e Babic Basta, sparano su Lapisnica e Lapisnica risponde su Bistrikt e ... -
Il collegamento s'interrompe di nuovo.
Senad Hadzifejzovic: - sig. presidente, sig. presidente, abbiamo perso il contatto con lei per un pò di tempo ma, nel mentre il sig. Ganic ha parlato con il col. Doyle. Lei si é messo in contatto con il comando dell'UNPROFOR? Vi hanno chiamato o ... -
Alija Izetbegovic: - Mi sono in contatto con la missione a Ilidza, con il sig. Ferrero, ma non sono riuscito a parlare con il col. Doyle. -
Senad Hadzifejzovic: - Abbiamo dato in diretta la notizia per i soldati di Lukavica e per i loro superiori. Il gen. Mac Kanzey ci riferisce che questo programma viene trasmesso via satellite in America e in tutto il mondo, molte stazioni radio mandano in onda solo il sonoro. Se il gen. Dzurdzevac si mette in contatto con il gen. Mac Kanzey a questo numero; ecco, ora é in sovraimpressione il numero telefonico che devono fare le persone di Lukavica. Avete la televisione? –
Alija Izetbegovic: - No, non l'abbiamo. -
Senad Hadzifejzovic: - Non l'avete? Dite a qualcuno che scriva, 460611. -
Alija Izetbegovic: - Solo un momento, ... 460611 ... di chi é questo numero? -
Senad Hadzifejzovic: - Del gen. Mac Kanzey. –
Alija Izetbegovic: - Chiede che gli telefoni? -
Senad Hadzifejzovic: - La prego di scrivere anche i due numeri interni, sono due ... -
Alija Izetbegovic: - Ci sono due numeri interni? -
Senad Hadzifejzovic: - Si, uno é 2073 e l'altro 2033. Il gen. Dzurdzevac dovrebbe contattare il comando UNPROFOR e chiamare il gen. Mac Kanzey. Abbiamo avuto una conversazione con lui, mentre la linea era interrotta, il col. Doyle si é fatto vivo durante il programma. -
Alija Izetbegovic: - Si, e cosa ha detto -
Senad Hadzifejzovic: - Lui pretende esplicitamente che si fermi la sparatoria, lui é pronto a venirla a prendere a Lukavica. Questa é l'informazione, ora bisogna che il comando di Lukavica senta il comando UNPROFOR per i particolari tecnici. Bisogna che vi mettiate d'accordo con il gen. Mac Kanzey. -
Alija Izetbegovic: - Proverò a informare il gen. Kukanjac, che lo chiami lui. In questo momento non é presente in questa stanza, quì c'é solo il col. Gagovic. -
Senad Hadzifejzovic: - Mi scuso ma devo ripetere l'informazione che ho già riferito, questo programma stà andando in onda in tutto il mondo tramite i satelliti. Lei ha parlato con il gen. Dzurdzevac? Ha altre informazioni o dati? -
Alija Izetbegovic: - Non ho più niente da riferire, tranne la mia attuale situazione che voi già conoscete. Il prof. Ganic é autorizzato a dare gli ordini come se fossero i miei. Io naturalmente mi trovo in una situazione particolare. -
Ejup Ganic: - Sig. presidente si comportano correttamente con lei? -
Alija Izetbegovic: - Si sono corretti, in questo senso non ho proteste da fare, tranne per il fatto che mi trovo quì, contro la mia volontà. -
Senad Hadzifejzovic: - Mi vuole spiegare come é arrivato all'aeroporto di Sarajevo e chi ha dato il permesso? -

10:17
Alija Izetbegovic: - Sono arrivato con un aereo della Comunità Europea. Penso che ora sia tornato indietro. Non sono proprio sicuro, ma quando ci trovavamo in aria, ci é stato riferito che non si poteva atterrare quì all'aeroporto, così eravamo incerti se sorvolare la città per proseguire verso Belgrado. Allora é arrivata la notizia da Sarajevo che potevamo atterrare assumendoci le nostre responsabilità. Io ho accettato e siamo atterrati all'aeroporto. Dopo di ché i soldati ci hanno ricevuto e ci hanno portato in una stanza ad aspettare che qualcuno ci venisse a prendere. Dopo circa un'ora é arrivato il col. Magazin e ci ha comunicato che dietro ordine del gen. Kukanjac doveva scortarci a Lukavica. Dove sono ora. -
Senad Hadzifejzovic: - Sig. presidente il col. Doyle, ci informa che ha ricevuto l'informazione verificata che il permesso per il vostro atterraggio nell'aeroporto di Sarajevo é arrivato direttamente da Belgrado. -
Alija Izetbegovic: - Si, sarebbe stato meglio che non avessi accettato questo rischio, se andavo da qualche altra parte per me personalmente sarebbe stato meglio che non questa situazione nella quale mi trovo ora. Fà lo stesso, la situazione é così, non dovete preoccuparvi per me. Io saluto i cittadini di Sarajevo, loro devono difendere la città se sarà attaccata, certamente non devono attaccare nessuno. Penso che bisognerebbe lasciare che i soldati se ne vadano, se lo desiderano e se annunciano il loro passaggio, bisognerebbe lasciarli passare in pace, senza attaccarli. Come abbiamo stabilito nella nostra risoluzione, se vi ricordate. “Da lunedì si permetterà il ritiro dell'esercito da qualsiasi parte desiderino andare, ma preavvisandoci.” Bisogna rispettare questo. Certamente se la città sarà attaccata si difenderà. E' del tutto normale. -
Senad Hadzifejzovic: - Sig. Presidente, per ora la cosa più importante é che il gen. Dzurdzevac si metta in contatto con il comando dell'UNPROFOR e che si accordino sui particolari. Il col. Doyle verrà sicuramente a prenderla, quando sarà assicurato il cessate il fuoco. -
Alija Izetbegovic: - Dzurdzevac non é quì, c'é solo il col. Gagovic. La chiamano dalla TV se vuole dire qualche parola? -
Senad Hadzifejzovic: - Compagno colonnello, la TV, Hadzifejzovic in linea. Abbiamo parlato con il col. Doyle, é stata una lunga conversazione, dopo che si é interrotta la linea. Lui, in nome della Comunità Europea, chiede esplicitamente il cessate il fuoco e ha chiesto di mettersi in contatto con voi e con il comando di zona. Solo un momento, mi scuso ... Si, si parlo con la regia. -
Interviene la regia, - Il numero di telefono é 011/645655, é il numero del sig. Zimmermann, il sig. Izetbegovic lo può chiamare subito. Ripeto: 011/645655. -
Senad Hadzifejzovic: - Pronto colonnello é ancora in linea? In questo momento apprendiamo che l'ambasciatore degli Stati Uniti, il sig. Zimmermann, é informato di dove si trova il Presidente della Repubblica di BiH, Alija Izetbegovic. E io le chiedo un favore, che gli permettiate di mettersi in contatto con l'ambasciatore Zimmermann. Dietro sua richiesta, a questo numero di telefono. Volete essere così gentile da prender nota? –
col. Gagovic: - Si -
Senad Hadzifejzovic: - 011/645655. -
col. Gagovic: - 011/645655. -
Senad Hadzifejzovic: - Vede sig. colonnello, questo programma va in onda in tutto il mondo tramite i programmi satellitari, lo trasmettono in tutte le repubbliche slave o stati, come preferisce. Dunque lei ha una grande responsabilità. -
col. Gagovic: - Ce l'abbiamo tutti, su tutti noi c'é una grande responsabilità. Il sig. Presidente vuole dirvi qualcosa. -Alija Izetbegovic: - Pronto? Vi dico solo che io sono quì. -

La trasmissione termina, il presidente rimane solo, piantonato dal col. Gagovic nella caserma di Lukavica. Intanto il QG bosniaco ha avviato febbrili consultazioni con il QG serbo a Lukavica, con il gen. Kukanjac a Bistrikt e con il gen. Mac Kanzey, il generale canadese a capo delle forze di protezione delle Nazioni Unite in BiH. L'obbiettivo é di pianificare lo scambio del presidente con il capo di stato maggiore dell'JNA. Il gen. Mac Kanzey rivestirà il ruolo di garante tra le parti.

Sono le H.23.00 circa, quando alcuni ufficiali dei Berretti Verdi rilevano il comando della Patriotska Liga, prendendo il controllo dell'assedio al QG JNA, a Bistrikt. Gli ordini sono di sospendere le ostilità facendo rispettare il cessate il fuoco, in modo che si possa organizzare lo scambio e l'evacuazione dello stato maggiore assediato. Intanto, in serata diversi civili sfollati, dalle cittadine di Gorazde e Rogatica, nella Bosnia orientale, raggiungono Sarajevo, dove sperano di trovare un angolo tranquillo in cui rifugiarsi. Mentre al contrario trovano l'inferno in fiamme. Il portavoce dei servizi di sicurezza informa che, durante la battaglia di Sarajevo, la Difesa Territoriale ha distrutto quattro carriarmati e sette blindati nemici, facendo prigionieri 19 soldati serbi. (Tratto dalla prima pagina di Oslobodzenje del 03 maggio 1992)

11:17
Le trattative si protraggono per tutta la notte, il gen. Kukanjac é disponibile allo scambio, ma fa sapere che abbandonerà il suo QG solo a condizione che tutto il suo stato maggiore, i soldati in armi, i documenti e il materiale militare, lo seguano a Grbavica, dove si ricongiungerà con la sua armata, permettendo al pres. Izetbegovic di raggiungere il palazzo della Presidenza. Più tardi lo scambio viene perfezionato con l'UNPROFOR, che si rende garante dell'operazione mettendo a disposizione i blindati per il trasporto, così gli ostaggi saranno posti sotto la protezione dei caschi blu. Il ministro degli Interni, Alideli Mustafic, insieme con il capo della polizia, Jusuf Pusina, e con il comandante della Difesa Territoriale, col. Efendic, devono individuare un comandante bosniaco in grado di seguire le fasi dello scambio e di portarlo a buon fine. La scelta cade sul colonnello Jovan Divjak, serbo. Ex ufficiale dell'JNA di stanza al comando di Kiseljak. Il quale ha scelto la legalità del governo di BiH, la voce popolare racconta, portando in dote numerose armi già in dotazione alla difesa territoriale di Kiseljak, sottraendole così al controllo dell'JNA. E’ il colonnello Efendic, comandante della difesa territoriale bosniaca che incarica il suo vice di seguire l'operazione. -
- E' il 3 maggio, quando vengo informato che il presidente deve andare a Bistrikt per essere scambiato con il gen. Kukanjac, - racconta il col. Divjak, oggi generale di stato maggiore - il mio incarico consiste nel controllare che il presidente sia in buone condizioni di salute e verificare che lo scambio proceda correttamente. MI informano inoltre che solo tre blindati dell'UNPROFOR sono autorizzati ad andare da Lukavica a Bistrikt e ritorno. - Verso le H.15.00 il col. Divjak arriva sulla via della Buona Volontà, tra il ponte di Legno e quello dei Due Pescatori, dove una colonna di 15 camions dell'JNA carichi di soldati e materiale é già in attesa di procedere verso Grbavica.
- Verso le H.15.30 - continua Divjak - viene il ministro degli Interni, Alideli Mustafic, il quale m'informa che il Presidente é già arrivato in caserma a Bistrikt, “ abbiamo parlato - mi dice - sta bene e uscirà senza problemi” una volta partito il ministro, i territoriali hanno iniziato a premere per assalire la colonna. - Un serbo che gestisce lo scambio, irrita, innervosisce e indispone i patrioti bosniaci. Ad alcuni spari, inizialmente isolati, se ne aggiungono altri, la tensione intorno al convoglio, fermo sulla strada e pieno di truppe, aumenta rapidamente.
- Allora presi il megafono e parlai ai territoriali, ordinando di non sparare, poi parlai anche ai serbi, chiedendo loro di passare dalla nostra parte, ma nessuno scese dai camions. - Così, per evitare che la tensione degenerasse in un massacro, la prima metà della colonna viene fatta muovere lentamente verso il ponte dei Due Pescatori mentre, in caserma, i soldati finivano di caricare i camions che avrebbero formato la seconda parte del convoglio. La truppa é composta in gran parte da giovani di leva, arrivati nel settembre del 1991. Vi sono tra loro dei musulmani che vengono dal Sandzjak, una regione del Montenegro settentrionale e altri dal Kosovo e dalla Macedonia, naturalmente sono solo una minoranza, la maggioranza é formata da serbi ortodossi provenienti dalla Serbia e dalla Voivodina. Altri ancora sono croati dell'Herzegovina.

Il gen. Jovan Diviak

- E' stato molto duro per noi musulmani, - racconta uno di loro, albanese del Kosovo - venivamo provocati in continuazione, fin da gennaio ci tenevano sotto pressione, ci maltrattavano e non potevamo avere armi. Io lavoravo nei sotterranei, alle cucine, non potevo uscire. Poi il 15 aprile fui arrestato e rinchiuso con altri sette compagni, anche loro albanesi del Kosovo. Dal 30 di aprile non venne più nessuno nella nostra cella, così non mangiammo ne bevemmo più nulla. Poi il terzo giorno di maggio, verso le H.17.00, vennero a prenderci dicendo che andavamo a Lukavica. Ci fecero uscire nel piazzale, dove ci allineammo in fila con gli altri musulmani, anch'essi agli arresti. Poi ci fecero salire sui camions, io ero su quello dietro l'ultimo blindato dell'UNPROFOR. Non c'erano serbi con noi, erano saliti su altri camions in fondo alla colonna. -

12:17
Verso le H.17.15 la seconda parte del convoglio scende la riva sinistra della Milijacka, lungo la via della Buona Volontà, tre blindati bianchi dell'UNPROFOR aprono la fila dei camions. Il primo guida la colonna, nel secondo siedono il gen. Mac Kanzey, il prof. Lagoumdzija e la figlia del Presidente, Sabina. Nel terzo, un pò più grande degli altri siedono, uno di fronte all'altro, il pres. Izetbegovic e il gen. Kukanjac. Il col. Divjak ha mantenuto, per circa due ore, il controllo della prima parte del convoglio, che é stato nuovamente fermato nei pressi del ponte dei Due Pescatori, quando i blindati lo raggiungono si fermano. E' in quel momento che ai territoriali bosniaci sale di nuovo la tensione e ricominciano a sparare per liberare il loro presidente. Allora il col. Divjak prende il megafono e sale in piedi sul tetto del blindato più grande con dentro i due ostaggi. - Non sparate, non sparate gridai nel megafono, poi chiesi di vedere il Presidente e da dentro mi aprirono il portellone sul tetto del veicolo. Dovevo assicurarmi che il presidente si trovasse all'interno e che non fosse stato torturato. Ero in contatto con il QG alla Presidenza tramite la mia radio portatile. Mentre stavo parlando con il Presidente, sentii nella radio una voce che mi diceva di lasciar proseguire il Presidente per Grbavica. Immediatamente dopo, un'altra voce allarmata chiedeva che venissi sollevato dal comando. “Lasciate Divjak - diceva - ha tradito il suo popolo e tradirà anche i musulmani.” Io continuai a parlare con il Presidente, il quale mi disse che c'era un accordo con l'UNPROPFOR, lui doveva essere accompagnato alla Presidenza mentre il gen. Kukanjac avrebbe proseguito per Lukavica. Richiusi il portellone, saltai giù dal blindato e feci proseguire la colonna. -
I primi 15 camions attraversano il quartiere di Skenderja, raggiungono il ponte di Vrbanja ed entrano in Grbavica, da dove proseguono indisturbati fino alla caserma di Lukavica. I tre blindati seguiti dalla seconda parte della colonna si fermano più avanti, nella piazza di Skenderja, dove il gen. Kukanjac scende dal terzo blindato per salire sul primo e proseguire verso Grbavica, mentre gli altri due svoltano sul ponte di Skenderja e seguono l'auto del col. Divjak che li guida alla Presidenza. La seconda metà del convoglio rimane bloccata prima del ponte dai bosniaci che non intendono farla proseguire. Alcuni territoriali si avvicinano alla cabina del primo camion, intimando all'ufficiale serbo di scendere, questi scende e, una volta a terra, cerca di estrarre la pistola, ma viene subito colpito e cade sull'asfalto. Altri aprono il fuoco sull'ultima parte della colonna, facendo nove vittime e diversi feriti. Non c'é una grande reazione da parte dei giovani di leva seduti sui camions, spaventati e confusi da tutti quegli eventi che li stanno travolgendo. Inoltre sui primi veicoli si trovano i musulmani disarmati che erano agli arresti. Per i territoriali, a quel punto, é abbastanza facile prendere il controllo della colonna che viene dirottata verso il vicino centro sportivo di Skenderja, dove i giovani vengono fatti scendere, disarmati e condotti all'interno della palestra.

- La polizia militare ci portò da mangiare, - racconta uno dei presenti - paté di carne, pane, sigarette e acqua da bere. Eravamo tutti insieme, musulmani e serbi, albanesi, macedoni e croati. Tutti della classe 1974, solo in pochi avevano 19 anni. Più tardi venne il gen. Dzurdzevac, il nostro comandante, il quale ci chiese chi voleva seguirlo a Lukavica, ma molti serbi scelsero di rimanere a Sarajevo, su 198 uomini, venne riempito solo un autobus con chi voleva andare con il generale. Verso le H.21.00 il gen. Dzurdzevac partì sulla sua jeep seguito dall'autobus. Tutti noi altri fummo liberati, la polizia militare ci accompagnò nei campi profughi. A noi del Kosovo dissero che in 10/15 giorni saremmo stati rimpatriati con un aereo, ma i giorni divennero mesi, e i mesi anni. In seguito molti di quei ragazzi andarono a lavorare per la protezione civile, altri ancora si unirono alla Difesa Territoriale. -

La città che il Presidente trova al suo rientro, é sfigurata. Nonostante sia rimasto in viaggio per non più di una settimana, l'assedio é calato su Sarajevo come un giogo. Tutte le strade di accesso sono bloccate. Il palazzo del Parlamento é stato reso inagibile dai bombardamenti, i grattacieli delle maggiori compagnie commerciali
sono stati incendiati. Anche la sede delle poste e dei telefoni é stata bombardata, le linee telefoniche sono fuori uso. Il gas, la cui centrale é occupata dalle forze serbo-bosniache, non viene più erogato. I cavi elettrici sono caduti sotto i bombardamenti e i tralicci che li sorreggono sono stati minati intorno ai basamenti, in modo che nessuno possa andare a ripararli, la città é al buio. In mancanza di energia elettrica, l'acqua non può essere pompata all'interno delle tubature idrauliche dei palazzi, che sono a secco, i cittadini vanno a fare acqua in alcuni punti della città, da una cisterna, o dov'é stata attivata una pompa d'emergenza. Si creano così lunghe file di persone cariche di taniche vuote che aspettano il loro turno per approvvigionarsi della poca acqua che riescono a trasportare. L'attesa é snervante e pericolosa. Le scuole sono chiuse. Le sirene squarciano la vita della popolazione assediata. I bombardamenti sono quotidiani e costringono la gente nei rifugi. I cecchini, attivi dovunque, mietono ogni giorno molte vittime. I feriti affollano il pronto soccorso dell'ospedale Kosevo. La situazione alimentare é sempre più drammatica.

13:17
A livello militare, il problema prioritario consiste nello spingere gli aggressori fuori dalla città, liberando i quartieri occupati. Le dieci caserme dell'JNA ancora piene di truppe ostili sono circondate, ma i patrioti bosniaci dispongono solo di armi leggere e le munizioni sono contate. Ma le armi e il materiale bellico, abbandonato dal nemico, vanno ad accrescere il potenziale offensivo della Difesa Territoriale. Quando i territoriali finiscono di bonificare l'ex QG dell’JNA, i documenti abbandonati dallo Stato Maggiore riempiranno nove camions.
Palazzo del Parlamento
Banca Nazionale
Palazzo dell'Energoinvest
Finalmente, dopo circa una settimana di intensi bombardamenti, le suore intrappolate nella chiesa di San Giuseppe riescono finalmente ad uscire e corrono a rifugiarsi nel loro convento, a Kosevsko brdo, una collina a nord-est della città, da dove non usciranno più fino al ferragosto successivo, ma solo in occasione della festa dell'Assunzione al cielo di

Palazzo delle Poste e Telecomunicazioni
Maria Vergine. Così, Don Luca e il suo cappellano tutte le mattine si mettono in cammino, sfidando la morte, per raggiungere il convento delle suore, dire la S. Messa e portar loro un poco di conforto. - Dei miei parrocchiani, la metà sono rimasti sull'altra riva della Milijacka, dove si estendevano i confini della parrocchia. Fin dalla prima metà d'aprile, nessuno poté più venire da questa parte del fiume, dove si trova la chiesa. I primi tempi mi telefonavano piangendo che non avevano neppure il pane da mangiare. Poi, da quando le linee telefoniche si sono interrotte non ho più avuto loro notizie, non sò che fine abbiano fatto. Prima della guerra, questa parrocchia contava circa 750 famiglie, la metà sono scomparse in territorio serbo, un centinaio circa sono fuggite durante l'esodo di aprile, ma ciò nonostante la popolazione parrocchiale é aumentata fino a 1.800 famiglie. Sono in gran parte profughi sfollati dalle periferie attraversate dalla prima linea del fronte. Moltissimi tra coloro che si professavano comunisti prima della guerra, sono venuti come cattolici a chiedere l'aiuto della Caritas per sopravvivere. -

14:17
In seguito ad un accordo intercorso tra le autorità di BiH e l'JNA, con l'appoggio dell'UNPROFOR e della Croce Rossa Internazionale, l'Ospedale Militare, occupato dalle forze speciali venute da Nis, viene evacuato e restituito al Ministero della Sanità, che vi istituisce il nuovo ospedale di Stato. Il 10 maggio, quando rientrano in possesso dell'ospedale, Bakir Nakas e parte del personale sanitario scoprono che sono rimaste in servizio solo 38 persone, che assistono 50 pazienti. La maggioranza del personale sanitario abbandonò il lavoro durante il mese di aprile, perché non volevano rimanere ad aiutare il nemico che aveva occupato la struttura.
Il 13 maggio, dalla collina di Vraca e dal cimitero degli ebrei, a poche centinaia di metri in linea d'aria, gli artiglieri serbi iniziano a bombardare la struttura ospedaliera che non é più occupata dai soldati dell'JNA. Quel giorno, tra le persone che sostano davanti all'ospedale, un uomo muore e sei vengono feriti dalle granate.
- Il nostro lavoro era molto difficile a causa dei bombardamenti - racconta il dr. Nakas - nei primi mesi l'ospedale fu colpito da circa 300 granate, obbligandoci a ricoverare i pazienti solo nei piani bassi. Per questa ragione
potevamo ricoverare solamente i casi con prognosi limitate nel tempo, a causa appunto delle poche camere disponibili, ma anche della scarsità di medicinali e materiale sanitario. Molte delle operazioni di pronto soccorso sono state compiute a lume di candela, usavamo anche noi le taniche per l'acqua in sala operatoria, come del resto tutti i cittadini di Sarajevo. Questo a causa della mancanza di elettricità, di acqua e di gas. Durante il primo inverno abbiamo operato a temperature inferiori allo zero, con le mani semicongelate. Le sale operatorie erano
operative 24 ore su 24 e nessuno si preoccupava dell'orario di lavora. Nella stessa sala dove nascevano i bambini, operavamo anche i feriti. Nei primi 66 giorni, abbiamo portato a termine 859 interventi. -
Fin dai primi giorni di maggio, la redazione di Oslobodzenje é costretta a traslocare nel rifugio antinucleare, interrato nei sotterranei dell'edificio. Il fronte é troppo vicino e spesso sono solo tre o quattro le persone che hanno il coraggio di rischiare la vita per andare a fare il giornale, perché quando il furgone li porta al lavoro, é visibile dalle trincee dei cetnici.

- Ogni volta é come essere su di una diligenza nel faar west, - racconta ridendo il sig. Halilovic, capo redattore - i proiettili fischiano da tutte le parti. Inoltre, la struttura distributiva é stata polverizzata dalla guerra e spesso sono gli stessi giornalisti a sfidare la morte, passando di nuovo davanti alle linee cetniche, per andare a vendere il giornale. Ci sono stati cinque morti e venti feriti tra i nostri colleghi. -

La notte tra il 13 e il 14 maggio, un proiettile da 120 mm, sparato da un carroarmato, squarcia i locali dove é situata la rotativa. Prima di allora non si erano ancora verificati attacchi diretti all'edificio. Pochi minuti dopo un altro colpo devasta i locali della mensa, dove nessuno potrà più andare, perché rimarranno esposti al tiro dei
Sopra: Entrata del Rifugio Antinucleare dove si era
trasferita la redazione di Oslobodzenje. A destra: quello che resta della sede del Quotidiano cittadino
cecchini, piazzati a poche decine di metri. La mattina seguente, poco prima dell'alba, alcuni bosniaci armati si avvicinano ad un chiosco dei tabacchi, posto su di un marciapiede che costeggia la recinzione del giornale, con l’intenzione di verificare se nel chiosco ci fossero ancora sigarette.

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Purtroppo i cetnici scorgono il movimento e aprono il fuoco sui bosniaci, i quali rispondono ingaggiando una piccola battaglia. Dal vicino presidio di Alipasno Polije giungono due veicoli carichi di territoriali, in supporto dei difensori del chiosco, la battaglia esplode violenta e, per oltre un'ora, la furia delle raffiche rompe il silenzio dell'alba. Un posto d'interposizione e osservazione dell'UNPROFOR, si trova nel bel mezzo del tiro incrociato dei combattenti. Poi, intorno alle H.06.00, inizia un intenso bombardamento della sede del giornale, che viene aggredita da una miriade di proiettili incendiari. Le due torri di dieci piani bruceranno per oltre dodici ore, per poi crollare entrambe, la sera stessa. Un enorme boato sgretola le torri, polverizzandole e facendo tremare le stesse fondamenta in cui é interrato il rifugio antinucleare. Superstite di quella giornata infernale, un mozzicone del palazzo si erge in solitudine, monumento alla libertà di stampa e alla resistenza umana. Solo quel giorno Oslobodzenje uscì in ritardo.
Il 15 maggio, con la risoluzione N° 752, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite dichiara, fra l'altro, che l'integrità territoriale della BiH deve essere rispettata e domanda ai paesi confinanti di porre immediatamente fine alle inaccettabili violazioni dei suoi confini, da parte di unità dell'JNA e dell'esercito croato (HV). (Tratto da Reference paper del 15 marzo 1994. The United Nations and the situation in the Former Yugoslavia.)

Il quartiere di Pofalici, popolato da una numerosa comunità serba, sorge in una posizione chiave, proprio al centro dello sbarramento che spacca in due Sarajevo. In quel quartiere moltissime famiglie sono state armate dall'SDS durante l'inverno, inoltre numerosi soldati lo presidiano con armi pesanti. Sono almeno 500 i miliziani serbi che difendono il quartiere. Il 16 maggio alle H.04.00 una brigata composta da circa 350 territoriali, armati di kalashnikov, con solo due mitragliatrici pesanti e qualche mortaio, attacca il bastione di Pofalici. La battaglia é feroce e continua per tutto il giorno, ma alla fine, confusi dall'attacco di sorpresa e sopraffatti dalla rabbia e dalla disperazione dei bosniaci, i serbi sono costretti a capitolare, ripiegando nella sottostante caserma M.Tito. In seguito a questa vittoria la neonata Armija di BiH (esercito nazionale bosniaco) prende forma, organizzando progressivamente i primi cinque corpi d'armata. Con la caduta di Pofalici, si apre un grosso varco nella linea di separazione che spaccava in due parti la città. Ora é possibile assediare la caserma M.Tito, che dopo la caduta del quartiere occupato é rimasta scoperta sul lato nord, privata dell'appoggio e della copertura fornita dal quartiere liberato. Le truppe dell'JNA vengono tenute sotto pressione dai combattenti calati vittoriosi da Pofalici, i quali si attestano tutt'intorno. Interrompono le comunicazioni con Grbavica, tagliano l'acqua, il gas e la luce, e sparano su tutto ciò che vedono muoversi dietro le finestre.

Durante la ritirata da Pofalici i serbi hanno rastrellato alcune famiglie di bosniaci che vengono tenute in ostaggio all'interno della caserma, come deterrente dissuasivo. Sono state poste sotto la responsabilità del servizio di sicurezza, Vlado un ufficiale croato, é il vice comandante del servizio.


16:17
Da molti giorni é in fibrillazione, la sua situazione si fà sempre più critica di giorno in giorno, la tensione con gli altri ufficiali serbi del servizio si taglia con il coltello, non c'é spazio per il minimo errore. Il cameratismo é morto, Vlado é concentrato unicamente a restare vivo. La notte dorme con un occhio solo e l'automatica sotto il cuscino, un rumore di passi nel corridoio spinge subito l'indice sul grilletto. Il comandante della caserma é cosciente che tutti, presto o tardi, dovranno essere evacuati, quindi si attiva per riallacciare i fili della trattativa, cercando di strappare il prezzo più alto.
- Il 19 maggio c'era l'ultimo convoglio dell'Ambasciata dei Bambini che usciva da Sarajevo, - racconta Milorad, un giornalista di radio Sarajevo - un amico venne a trovarci e disse “Ecco, i miei figli scappano con l'ultimo convoglio dell'Ambasciata dei Bambini.” Così anche noi siamo corsi subito all'autobus con i nostri figli, Ines di 17 anni e Goran di 12, erano senza documenti, senza niente, avevano solo una piccola borsa. Salirono sull'autobus e scapparono così, da soli, con il cuore gonfio, insieme agli altri bambini si avviarono verso il territorio nemico. - Quando l'autobus arriva a Ilidza, viene fermato e dirottato allo stadio, dove i bambini dell'Ambasciata vengono concentrati. Ce ne sono almeno 5.000, tra bambini piccoli, giovinetti e adolescenti, tutti minori. Tutti fuggiti da Sarajevo con l'Ambasciata dei Bambini. Purtroppo i serbi non danno l'autorizzazione al transito e li trattengono lì, senza dar loro ne cibo ne acqua. Alcuni cetnici entrano nello stadio per prelevare le giovinette più carine e trascinarle con loro al fronte. Dopo un incubo che dura due giorni arriva finalmente il permesso per proseguire, Ines e Goran, ancora salvi, montano su di un autobus che, passando per Kiseljak li porta a Travnik e poi a Spalato. - Abbiamo dei cugini a Spalato - prosegue Milorad - che mi telefonarono per farmi sapere che i miei figli erano riusciti a raggiungerli e che, inoltre, avevano trovato il comandante di una nave disposto a portarli ad Ancona, a condizione che qualcuno potesse andarli a prendere allo sbarco. Così, chiamai un mio caro amico di Lecce, spiegandogli come stavano le cose e pregandolo di accogliere i miei figli. Il mio amico informò la Capitaneria di porto di Ancona, chiedendo loro di prendere in consegna i bambini. E così fù, la polizia portuale prese in consegna Ines e Goran e li mise su di un treno per Bari, dove il mio amico li andò a prendere, ora vivono e studiano a Lecce, da quel mio carissimo amico. - Purtroppo non tutti furono così fortunati come Ines e Goran. Più tardi, uno scandalo investì la cosiddetta “Ambasciata dei Bambini”, portando alla luce loschi traffici di vendita di organi per l'acquisto di armi e altre cose turpi. I responsabili furono incriminati, ma molti di quei bambini scomparvero per sempre.
Il 20 maggio l'assemblea generale dell'ONU riconosce la legittimità della Repubblica di Bosnia i Herzegovina, accogliendola quale membro delle Nazioni Unite. Il 27 maggio il Consiglio di Sicurezza dell'ONU dichiara l'embargo sulle armi in tutta la ex Jugoslavia. Navi da guerra della NATO incrociano nel mare Adriatico per garantire che la risoluzione del Consiglio di Sicurezza venga rispettata.
Alla fila per il pane ci fu una delle prime stragi di Sarajevo, costò 23 morti e 50 feriti, oltre allo strazio dei famigliari delle vittime. Questo il racconto di uno dei sopravvissuti. - La mattina del 27 maggio sono andato a comprare il pane, che distribuivano nella via Vase Miskina. Ero in fila con gli altri, quando si é avvicinato un orfano che chiedeva la carità, nessuno gli dava niente, tutti erano molto poveri e affamati. Io avevo solo una banconota di grosso taglio e non potevo dargliela, perché dovevo comprare il pane per la mia famiglia. Così il bambino passò oltre, era già ad una ventina di metri da me, quando, mettendomi una mano in tasca trovai qualche monetina, allora uscii dalla fila per chiamarlo e dargli quei pochi spiccioli, ma nel momento in cui lo raggiunsi cadde la prima granata, mi salvai grazie a quell'orfano, allontanandomi di pochi metri dal centro del bersaglio che era la fila per il pane. Dopo pochi minuti arrivò la seconda, che mi trovò rifugiato in un sottoscala dentro un

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portone lì vicino. I cetnici sparano sempre due granate per fare un massacro, la seconda serve a colpire i soccorsi. C'erano decine di morti e di feriti, la gente si lamentava chiedendo aiuto, i corpi dei vivi e dei morti erano mutilati e i pezzi sparsi sull'asfalto, é stato orribile. Poi mi sono ricordato che la mia famiglia sapeva che ero anch'io in quella fila e così sono corso a casa per rassicurarli che ero ancora vivo.
Il 29 maggio i bombardamenti si intensificano a ritmo incessante, con picchi da collasso che superano le 300 esplosioni al minuto, sono migliaia le granate che cadono quel giorno. Il terrore e la morte inghiottono la popolazione, costretta da settimane a correre nei rifugi e nelle cantine, vecchi, donne e bambini vivono nel buio umido e sporco dei sotterranei, mentre le esplosioni devastano le loro abitazioni. Interi palazzi sono in preda alle fiamme, molti hanno salva la vita ma perdono la casa e conservano solo gli abiti che indossano. Quel giorno Sarajevo brucia, bruciano le moschee della vecchia città. Il nuovo ospedale di Stato viene evacuato a causa delle fiamme. I palazzi dell'Università che si affacciano sul fiume Milijacka, sono bersagliati dall'artiglieria. La clinica Ginecologica, che si trova vicina alla linea del fronte, viene evacuata negli uffici dell'amministrazione dell'ospedale Kosevo. E' uno dei giorni peggiori, la città viene messa in ginocchio, i cetnici sulle colline scommettono tra di loro sulla quantità di distruzione che può provocare ognuno dei loro colpi.

Brucia anche la Biblioteca Nazionale e con essa la testimonianza scritta di una cultura antica. Moltissimi volumi, vecchi di secoli, vanno in cenere.


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