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Il 5 giugno viene raggiunto un'accordo per l'evacuazione della caserma M.Tito, assediata da alcune settimane, le truppe JNA vengono autorizzate a partire con le armi. Concessione data in sintonia con la risoluzione ONU per il ritiro dell'JNA dal paese e anche per evitare nuove e più pesanti rappresaglie dell'artiglieria serba. Lo stesso giorno, l'UNPROFOR raggiunge un accordo con i serbo-bosniaci per il passaggio dell'aeroporto sotto il controllo dei caschi blu. Seguiranno all'accordo intense trattative per concordare le modalità di adempimento della consegna dello scalo aereo.

Il 6 giugno l'evacuazione della caserma diventa operativa. Quando la colonna comincia ad uscire dalla caserma, si dirige verso ovest, mentre una delle auto esce dalla colonna dirigendosi a tutta velocità nella direzione opposta, verso il centro di Sarajevo, dove viene fermata in prossimità dell'ex centro commerciale sulla via Marsala Tita. A bordo c'é un ufficiale dell'JNA di origine croata in servizio presso il corpo che si occupava della sicurezza, chiede di essere condotto alla Centrale di Polizia, da dove, sette giorni dopo uscirà indossando l'uniforme dell'Armija.
Liberando la caserma M.Tito, i bosniaci hanno spezzato lo sbarramento serbo, le caserme che restano in mano all'JNA cadono tutte una dopo l'altra, nei giorni successivi, ormai facile preda della furiosa resistenza dell'Armija bosniaca. Dopo qualche giorno dall'evacuazione della caserma M.Tito, vengono ritrovate nei due livelli sotterranei, le armi abbandonate dall'esercito serbo in rotta. Corre voce che siano stati scoperti anche due tunnel che, passando sotto la Milijacka, portano a Grbavica, ma sono stati completamente allagati. Anche nelle altre caserme viene recuperato del materiale bellico, che và a rafforzare le scarse risorse della neonata Armija.

Quartiere Aeroporto
- I cetnici entrarono nel nostro quartiere il 17 giugno. Venivano dall'aeroporto, che era stato occupato il primo maggio. Da oltre un mese eravamo bloccati e non potevamo andare in città, non avevamo pane fresco la mattina, nessun giornale, ne sigarette e tutto ciò era inconcepibile. Ad ogni modo, in maggio iniziarono i bombardamenti e tutte le granate venivano dall'aeroporto, tutti i cannoni erano girati verso il nostro quartiere. Il 17 giugno entrarono 300 cetnici, arrivarono davanti alla mia casa con i blindati e i carriarmati. Si presentarono davanti alla mia porta in sette, "Arkanovci e Seseljevci" (milizie dei comandanti Arkan e Seselj). Urlavano e battevano forte la porta bestemmiando. Entrarono in tre, mi presero i documenti e dissero subito che mi avrebbero sgozzato per prima. Io chiesi perché, “sono rimasta come una cittadina leale nella mia casa” Lui vide sulla mia carta d'identità che ero di Gacko e lì c'é una fossa comune chiamata Kuric, lui mi accusava dicendo che i miei parenti ci buttavano dentro i serbi. - La mia famiglia non si é mai sporcata le mani in nessuna guerra. Io non ho marito e mio fratello l'hanno ucciso in un bar, a Chicago.” Lo dissi apertamente “me l'hanno ucciso i cetnici.” Avevo detto la verità. Rimasero nel mio appartamento. La mattina preparavo la colazione per loro, per me e per una vicina, uno di loro trovò del whisky e un binocolo, bestemmiava, io gli versai da bere e spalmai le fette di pane, mentre lui diceva di versare da bere agli altri due. Credevo che mi avrebbero uccisa, erano tutti tra i 20 e i 25 anni, uno di loro mise della musica Gusle, lo fece per provocarmi, é una loro musica popolare. Io rimanevo in silenzio, mi sentivo umiliata, terrorizzata, povera. Lui estrasse due coltelli, uno più lungo dell'altro, me li metteva sotto la gola dicendo “Vuoi che ti sgozzi con questo o con quest'altro?” Io ero ormai indifferente e risposi “Uccidimi” tanto mi sentivo inerme nelle sue mani. Lui cambiò opinione e disse che sarei stata una buona cuoca solo dopo che assaggiò il pane che avevo cotto nel forno di casa, mi chiese se volevo accettare di essere la cuoca della loro cucina. Risposi di si, e lui disse “Non ti uccido” e mise via i coltelli ...

Una mattina mi dissero di uscire, avevo addosso solo una tuta e le pantofole, allora li pregai di lasciarmi scendere in cantina, dove avevo abitato quella primavera, per prendere almeno la mia giacca. Uno di loro mi accompagnò giù, tenendo il fucile puntato alla mia schiena, ma quando aprii l'armadio per prendere i vestiti, lui me lo impedì, lo pregai di lasciarmi prendere almeno le scarpe e le ottenni. Così mi fecero uscire dalla mia casa senza praticamente niente. Venivano tutti scacciati, una famiglia musulmana, una croata e una serba che abitavano in quella casa. Ci dissero di attraversare la pista dell'aeroporto, dove vidi molti morti, ci camminavamo sopra, erano almeno 80 persone. Madri e figli, vecchi e bambini. Non avevano risparmiato nessuno. Ci salutavano con le tre dita alzate, bestemmiando Alija, il nostro Presidente, ci chiamavano Balija ecc ... Ad ogni modo sulla pista ci ricontrollarono di nuovo, cercavano armi e ci rapinarono di tutto, presero l'oro e i soldi. Infine ci sistemarono negli hangars, separando le donne dagli uomini. Eravamo stati scacciati tutti dalla mia via, nel quartiere dell'aeroporto, serbi, croati e musulmani.

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Fecero un elenco, durò due ore e mezzo, fù orribile, ci provocavano, volevano fucilarci ed erano molto brutali. Separarono prima le musulmane, eravamo circa 180 e i bambini che avevano dai 20 giorni ai 12 anni. Salimmo su di un mezzo militare, ma non potevamo starci tutti, allora portarono un autobus e ci trasportarono verso un campo di concentramento chiamato Kula, poco distante dall'aeroporto. Lì ci accolsero dicendo “Volete uno stato sovrano? Adesso sarete sovrani!” Ci misero una paura tale che con orrore, attendevamo le ore a seguire. Rifecero l'elenco quella sera stessa. Le nostre condizioni di vita erano pessime, eravamo troppe in una camera e c'erano cinque camere in tutto, in quella in cui dormivo eravamo in trenta; senza lenzuola ne coperte, solo dei materassi sporchi e umidi che facevano semplicemente schifo. Ci davano mezza fetta di pane e una tazzina di té al giorno. Ed ogni giorno ci portavano della carne di maiale, proprio perché eravamo musulmane. Anche se ci vietavano di guardare dalla finestra, avevamo visto un paio di volte venire il blindato dell'UNPROFOR, forse ci volevano impedire di vederlo. C'erano tra noi situazioni molto gravi; donne anziane con problemi respiratori, epilessia, malati di cuore, bambini senza genitori, anche molto piccoli. I cui padri erano stati portati a Pale, o a Ilidza, o in altre stanze della Kula. Gli uomini venivano molto maltrattati. Le madri non sapevano più niente dei loro figli, ne le mogli dei loro mariti. Un orrore.

Il 19 giugno venne il loro medico a visitare una donna che era stata ferita alla coscia da una granata ed era rimasta per due giorni nel terrore di confessarlo, temendone le conseguenze. Era ormai in una pessima condizione sia fisica che nervosa.

Il 20 giugno venne la loro polizia e la TV, portarono fragole e altro, noi eravamo felici, perché pensavamo che avrebbero dato le fragole a tutti, invece le diedero solo ai bambini. La TV filmò quelle immagini per poter mostrare al mondo come si stesse bene lì, come era vero che ci proteggevano, perché eravamo stati scacciati dalle nostre case dai Berretti Verdi. E ci volevano intervistare, io dissi che erano stati i cetnici, la loro armata. Subito cominciarono a minacciare che ci avrebbero ucciso. Uno di loro era un Voivoda (duce) conosciuto, era lui che comandava, l'altro era il direttore del campo, un pò più corretto, ci diceva che non ci avrebbe ucciso, che potevamo tornare alle nostre case, ma nessuna di noi voleva andare. Con noi c'era anche una donna violentata di Kotorac, la tenevano lì ed era in gravidanza avanzata. Lei era sola in camera, un cetnico aveva rapporti regolari con lei. Non la voleva spartire con nessuno. L'hanno tenuta lì per nove mesi, finché non ha partorito, che cosa ne fù poi, non lo sò. Una signora, la moglie di un professore di teologia, fù messa al muro con i suoi tre bambini per essere fucilata, ma una sua vicina li salvò. C'erano anche 28 bambini nel campo, ma di loro non si curavano affatto, non davano cibo per loro, solo alle madri davano qualcosa. Il 20 giugno il direttore ci disse che andavamo via. Lo disse anche il 25, ma non partimmo. Il 27 giugno portarono gli autobus e ci ordinarono di prepararci, poi ci portarono a Lukavica e infine a Grbavica, sotto a Vraca. Gli autobus erano cinque e c'erano anche molti cetnici che ci provocavano “Bisogna fucilarvi tutti, ammazzarvi, Alija ci rende bambini massacrati.” In pratica, tutto quello che loro facevano a noi, lo imputavano al nostro Presidente. Allora cominciò un forte bombardamento e ci puntarono tutti i fucili contro, mentre il loro comandante li calmava. Attendevamo tutti il momento dello scambio, quando smisero di sparare, il comandante ci disse di andare. Attraversammo il ponte di Vrbanja, ci dissero di sventolare le bandiere bianche, di alzare in aria tutto il bianco che avevamo, perché i nostri potessero sapere che si trattava di profughi. C'era con noi una vecchia di 77 anni che cadde senza forza davanti al ponte. Noi non volevamo lasciarla lì e così alcune di noi donne, sebbene esauste, la trascinammo con noi dall'altra parte.
I territoriali ci accolsero tra le rovine del palazzo del Parlamento a Marindvor, eravamo tutti traumatizzati, ci offrirono da mangiare, era bello, venivano accompagnati i parenti a visitarci, nonostante ci fossero i bombardamenti. Poi, verso le H.22.00 la situazione si calmò e ci lasciarono andare. In seguito ho sofferto spesso di crisi depressive. Hotentato di suicidarmi due volte. Spero, col tempo, di dimenticare. -

Il 23 giugno viene organizzata un'azione per liberare la collina di Moimilo dalla postazione serba, che impedisce il ricongiungimento del quartiere a Sarajevo. L'offensiva é guidata dal comandante di Dobrinja, partecipano alla battaglia anche diversi ufficiali croati dell'HVO (esercito croato dell'Herzegovina), che risiedono nel quartiere assediato. Durante la notte precedente l'attacco, un manipolo di territoriali del quartiere di Moimilo, con alcuni mitragliatori e un paio di auto iniziano a sparare sulla postazione serba in cima alla collina, spostandosi in continuazione da un posto all'altro. Sparano e si spostano di nuovo, creando l'illusione di un attacco in forze da est, mentre l'offensiva si scatena da ovest nelle prime ore dell'alba. La battaglia é durissima e sono molti i morti che rimangono sul terreno, ma alla fine la collina viene conquistata dalla 155° brigata di montagna di Dobrinja.
Dopo 72 giorni di isolamento, finalmente il quartiere può comunicare con la città assediata. I feriti gravi possono essere trasferiti negli ospedali cittadini, le comunicazioni e i rifornimenti vengono ristabiliti.

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Dobrinja resta comunque un quartiere in prima linea, assediato ora, solamente da tre parti anziché da quattro. Poi con l'arrivo dei caschi blu all'aeroporto, arrivano i primi aiuti alimentari, e i fronti diventano solo due, quello di Dobrinja 4 a sud e quello di Nedzarici a nord. - Se non fosse stato ceduto l'aeroporto all'UNPROFOR, oggi Dobrinja sarebbe serba. - conclude Dzordzo.
Il 28 giugno, con un gesto politico coraggioso il Presidente francese Francois Mitterand, primo tra i capi di stato della comunità internazionale, visita Sarajevo. I caschi blu francesi organizzano l'atterraggio del loro Presidente, le truppe serbe, in seguito all'accordo del 5 giugno, si sono ritirate consegnando l'aeroporto all'UNPROFOR. Più tardi, lo scalo aereo verrà posto sotto il controllo del secondo battaglione francese, che in breve tempo ne consente l'apertura definitiva e l'avvio del ponte aereo che porterà nella città assediata gli aiuti umanitari di prima necessità.

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