La nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.
Del capitalismo o dell'umanità, questo è il dilemma.

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Martedì, 17 Giugno 2014 11:51

La scienza del conflitto. Secondo il Pentagono...
di Dante Barontini    
                

Si fa presto a straparlare di “conflitto”. Se uno si accontenta di nuotare – sempre meno liberamente – nelle “tonnare” predisposte in piazza dalla polizia italiana, meglio che non si avventuri in questa lettura. Se invece non sopporta proprio di sentirsi come un insetto sotto la lente dell'entomologo, è bene che vada avanti.

Il conflitto sociale è materia che può e deve essere analizzata in maniera scientifica, tenendo conto dei precedenti storici come delle tecnologie esistenti, della “qualità” del nemico come di quella degli “amici”. Altrimenti ci si inoltra in un terreno sconosciuto, irto ovviamente di rischi imprevedibili, dotati soltanto delle proprie buone intenzioni e di una dose di incoscienza sopra la soglia.

Un'inchiesta eccellente apparsa sul giornale inglese The Guardian nei giorni scorsi aiuta a rimettere con i piedi per terra sia l'idea che la pratica reale del conflitto sociale. Come fa? Semplice: guarda a quel che il Pentagono sta facendo da alcuni anni a questa parte per “implementare” la sua già immensa conoscenza.

Da prima ancora che l'11 settembre rendesse concreto il concetto di “guerra asimmetrica”, ai piani alti della Difesa statunitense si era capito che “il nemico” dei futuri scenari bellici sarebbe stata la popolazione civile. Quella di altri paesi, in primo luogo di quelli che per vari motivi economici e politici gli Stati Uniti avrebbero considerato degni di essere attaccati. Ma anche la propria; e hanno fatto esperienza sia con Occupy Wall Street che con il controllo delle Ong.

L'inchiesta condotta da Nafeez Ahmed – nome pachistano, ma cittadinanza inglese e ruolo accademico oltre che giornalistico – mette in luce soprattutto l'arruolamento delle “scienze sociali” nelle fila dell'esercito degli Stati Uniti. Si parla di un buon numero di professori universitari, beneficiati di finanziamenti mirati.

L'articolo lo abbiamo tradotto e ve lo proponiamo qui sotto. Ma ci sembra utile sottolineare alcuni temi, visto che la prospettiva di Nafeez Ahmed – limpidamente liberal – non corrisponde alla nostra.

Prima questione. Il Pentagono ha chiesto l'intervento degli scienziati sociali per modellizzare le modalità con cui agiscono, si sviluppano e prendono consistenza sociale i movimenti politici che puntano a un cambiamento radicale del sistema economico e politico. Dei movimenti “rivoluzionari”, si potrebbe dire, se questo termine non assumesse contenuti assai diversi – praticamente opposti – se accostato ai conflitti per una “società socialista” oppure a quelli miranti a un califfato islamico o altro integralismo religioso. Per brevità, allora, diciamo che si tengono sotto tiro tutti quei movimenti che contrastano con “l'equilibrio desiderato dagli Stati Uniti”, senza riguardi agli obiettivi finali. Modellizzare significa cercare le ricorrenze stabili in flussi di movimento altamente variabili. Significa puntare alla conoscenza dell'essenza semplice del movimento in quanto tale per predisporre gli strumenti – comunicativi, di intelligence e infiltrazione o specificamente militari – per costrastarlo e distruggerlo. Per quanta fantasia conflittuale ritengano di avere i protagonisti dei diversi movimenti, infatti, le modalità di diffusione (del discorso, organizzative, di mobilitazione o di “contagio”) sono sostanzialmente riconducibili ad alcuni schemi principali; con alcune variazioni sul tema che dipendono dalle “culture” in campo avverso o anche dal livello di sviluppo dell'area interessata (una cosa sono i movimenti metropolitani altro quelli delle bande nel deserto, per schematizzare).

Restringere questa variabilità a pochi “modelli” consente dunque di predisporre contromosse e strategie replicabili in diverse situazioni, sia pure con le necessarie differenze. E quindi anche di formare un personale militare e/o di intelligence in grado di affrontare più situazioni specifiche, con alle spalle un addestramento standard da implementare ad hoc. Nessuna “originalità assoluta” è infatti ipotizzabile quando si prenda in considerazione il comportamento umano rispetto a contesti “simili”. Il “rivoltoso” che crede di essere totalmente imprevedibile è insomma un illuso, un insetto che si muove inconsapevole sotto la lente dell'entomologo che lo sta studiando per sopprimerlo.

Destino certo, dunque? Assolutamente no. Ma, sembra banale dirlo, bisogna elevare la propria conoscenza al livello della scienza del conflitto. In modo da capire come ragiona l'entomologo e contrastarne le mosse. Meno (molta meno) “spontaneità”, più scienza, insomma.

Seconda questione. Tutti i social network – come già illustrato dalla vicenda di Eward Snowden – sono da tempo utlizzati dalle diverse “agenzie della sicurezza” statunitensi per mettere a punto non soltanto la conoscenza “nominale e individuale” degli oppositori alla politica degli Stati Uniti, in qualsaisi paese risiedano, ma anche e soprattutto i comportamenti che questi mettono in atto. Il tutto per arrivare a prevedere le modalità di concentrazione di questa/e opposizione/i in rivolte o rivoluzioni vere e proprie (c'è una differenza drastica tra i due termini, ma non ci sembra il caso di ricordarla in questa sede).Cosa significa? Che le uniche “rivoluzioni via internet” possibili sono quelle promosse, finanziate, appoggiate dagli Stati Uniti; mentre ogni movimento contrario sarà monitorato e contrastato proprio a partire (anche) dal controllo della Rete.

Non è una sorpresa, almeno a livello concettuale. Ogni strumento, in mano a un militare, è sempre “double use”; può servire per attaccare o difendersi, come qualsiasi altra arma.

Terzo. La visione strategica del Pentagono – e quindi anche della Casa Bianca e del Congresso degli Stati Uniti - si pone decisamente oltre e fuori i confini della democrazia politica. Non soltanto perché le popolazioni dei paesi diversi dagli Usa sono programmaticamente escluse dalla possibilità di decidere autonomamente del proprio destino – nella misura in cui queste decisioni vengano ad limitare o danneggiare “gli interessi degli Stati Uniti” (nazionalizzando il petrolo o altre materie prime, per esempio). Anche la polazione interna al centro dell'imperialismo “gode” ormai dello stesso trattamento (“gli scenari di formazione HTS 'adattavano i COIN [scenari di controinsurrezione] pensati per l'Afghanistan o l'Iraq' a situazioni interne 'degli Stati Uniti, dove la popolazione locale è stata vista dalla prospettiva militare come una minaccia per il normale equilibrio di potere e influenza, e come una sfida alla legge e l'ordine'"). Ci sembra di poter dire che si tratti ormai di una svolta epocale nel capitalismo occidentale, peraltro attuata con destrezza nella costruzione dell'Unione Europea (trattati intergovernativi, centralizzazione dei poteri nell'esecutivo e assenza di un'assemblea elettiva dotata di potere legislativo). E programmata nelle “riforme costituzionali” messe nero su banco dal governo Renzi, in Italia.

Un corollario necessario, ammesso indirettamente anche dal Pentagono, è il controllo diretto dei mezzi di informazione e comunicazione (dalla stampa alle tv), incaricate di "piegare" le coscienze limitandone si la natura che la disponibilità di informazione libera. Un tema che da solo distrugge il mito dell'"opinione pubblica" e del "consenso informato".

Quarto. Di conseguenza, non c'è più distinzione tra “nemico combattente” e “oppositore politico”. Anzi, proprio i “non combattenti” sono al centro dell'analisi affidata agli scienziati sociali sotto contratto. Una eco minore di questa nuova “cultura del conflitto” è arrivata anche in Italia. Basti guardare all'aggravante di “terrorismo” elevata contro un numero crescente di esponenti del movimento No Tav. Questo passaggio è quello che preoccupa di più Ahmed, il Guardian e i liberal anglosassoni, perché mette in discussione radicalmente il loro ruolo e la stessa loro esistenza. Quasi un'eutanasia.

Quinto ed ultimo. Non ci sembra un caso - anzi vi vediamo l'operare di una forza superiore e incontrollabile condizionante persino l'agire militaresco dell'imperialismo – che il programma di ricerca finanziato dal Pentagono sia stato avviato all'esplodere della crisi finanziaria del 2007, che (giunta ormai alla conclusione del settimo anno consecutivo) sta mettendo a nudo i limiti insuperabili del presente modo di produzione e vita. Né che il nome immaginato per il programma sia Minerva. Non sappiamo se al Pentagono attualmente sia in servizio anche qualche filosofo fallito – è più che probabile – ma di sicuro la scelta invera ancora una volta la tragedia della conoscenza:

La nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.
Del capitalismo o dell'umanità, questo è il dilemma.

p.s. Siamo convinti che indubbiamente i nostri lettori sapranno trovare altri spunti di notevole interesse nell'inchiesta di Ahmed. Non avrete che da segnalarceli...

 

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