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June 6, 2014

Comprendere l'influenza corrosiva di Israele sulla democrazia occidentale
da John Chuckman

Qualcosa di inquietante è tranquillamente in atto nel mondo occidentale, quella parte dei governi di tutto il mondo che riconoscono se stessi come democrazie liberali e società libere. Attraverso una serie di assunzioni indotte nelle persone, circa il ruolo dei loro governi, quei governi sono compromessi da una evoluzione che conduce ad un modello stabilito negli Stati Uniti. No, non mi riferisco alla costruzione neo-romana di un tempio di marmo depositario della fondazione sacra e dell'adozione di tre rami continuamente disputati e svuotati dal loro contenuto di libertà e giustizia per tutti. Io intendo nel modo in cui governi, comunque eletti e organizzati, considerano le loro responsabilità nei confronti dei cittadini e della comunità mondiale.
Naturalmente, gli Stati Uniti in molte questioni, spesso pungolano, blandiscono, o minacciano altri Stati a seguirli dove conducono, come ad esempio con utili voti alle Nazioni Unite, o se un paese deve inviare forze per almeno una delle guerre coloniali americane, di prestarsi all’apparenza di uno sforzo internazionale. Nonostante la povera economia americana sia in calo come le relative prospettive future, ha ancora molte risorse per spingere gli altri, proprio come il nipote dissoluto di un magnate la cui fortuna di famiglia una volta grande è oggi in declino, ma ancora grande. Comunque, una buona dose di ciò che sta accadendo proviene da nuove forze che potenziano solo le tendenze imperiali dell'America.
Le persone in Occidente spesso eleggono governi che girano intorno al fare cose che gli elettori non volevano fare, e si rendono conto di venire ingannati dai loro governi e dalla stampa aziendale, ma si sentono praticamente impotenti a porre rimedio alla situazione. Londra ha visto la più grande marcia per la pace della storia poco prima che Tony Blair, segretamente si gettasse nel sacco con i criminali che hanno colpito l'Iraq, causando l'equivalente di morti e distruzione di una bomba termonucleare in una grande città. Interessi particolari dominano sempre più, gli interessi del governo, perché sempre più pagano i costi delle campagne estendendosi ad altri importanti favori. I cittadini in molti luoghi sentono che il significato di mettere una scheda elettorale nell’urna è stato diminuito, mentre guardano i loro governi ignorare l’estrema ingiustizia, ascoltano i loro governi fare richieste e minacce su questioni che non giustificano tali minacce, vedono e diventano essi stessi intrappolati nelle guerre e nelle violenze, che non hanno mai voluto, e in generale sentono che i loro governi si occupano di questioni di scarso interesse per loro. Che, se c’è bisogno di dirlo, non è ciò per cui esiste la democrazia. E dove vediamo i governi fare le riforme per porre rimedio alla situazione che minaccia la democrazia? Quasi da nessuna parte.
Potrebbe sembrare a prima vista una cosa strana da scrivere, considerando l'influenza che Israele esercita sul mondo occidentale, quale altro paese di 7 milioni di abitanti è sulla stampa praticamente ogni giorno? E tutta la stampa è favorevole a sostenerlo, tutti i principali giornali e broadcaster hanno diversi scrittori o commentatori che vedono come loro dovere influenzare l'opinione pubblica in favore di Israele. Il New York Times sottopone tutte le storie su Israele ai censori israeliani prima della pubblicazione. Ma Israele è uno stato intrinsecamente instabile. Non importa quanto denaro viene versato in esso per armi e per alimentare forzatamente lo sviluppo economico, non può essere altrimenti. La sua popolazione è ostile al popolo da cui è circondata e mescolata, vivendo una sorta di fantasia che condivide in parti uguali miti e superstizioni antiche e nozioni da steccato bianco, di comunità senza vicini che non si assomigliano l'un l'altro. Le sue narrazioni fondative hanno anch’esse una qualità fiabesca, eroica, con una divisione mitica del bene e del male, ignorando sempre la violenza e la brutalità che non può essere dimenticata così facilmente dalle sue vittime, come la manipolazione delle potenze imperiali che truffano altri, come sicuramente ogni falsa estrazione di azioni promozionali. La sua posizione ufficiale e il linguaggio stesso in cui vengono espresse sono costrutti artificiali che non descrivono esattamente ciò che chiamano "militante" o "terrorista" o "esistenziale". La sua politica ufficiale verso i vicini e le persone sfollate è uno stato di ostilità implacabile. I suoi leader nel mondo degli affari e del governo, hanno quasi tutti il doppio passaporto, per proteggere i loro investimenti. I suoi cittadini medi affrontano un momento economicamente difficile, non per opportunità o libertà economica, ma per la guerra e la politica di milioni di prigionieri e residenti indesiderati. Niente di tutto questo è indefinitamente sostenibile e il moderno Israele è un costrutto fortemente artificiale, non adatto al suo ambiente regionale, né sensibile a tutte le potenti tendenze che plasmano il mondo moderno: la globalizzazione, la libera circolazione dei popoli, multiculturalità in materia di immigrazione, e dei principi democratici genuini, nemmeno all'ossimoro di democrazia per un solo gruppo.
Si tratta di tanti sforzi disperati per lavorare contro queste difficili realtà, quasi come se qualcuno urlasse contro una tempesta, che hanno scatenato le forze ora al lavoro sul mondo occidentale. Ad Israele, come unico esempio, e contro il miglior giudizio di molti statisti, era permesso e persino aiutato a diventare una potenza nucleare. Il pensiero è che solo con queste armi Israele può sentirsi al sicuro ed essere pronto a difendere gli ebrei all'estero da un nuovo Götterdämmerung. La verità è, come per tutte le armi nucleari, l'arsenale di Israele è praticamente inutilizzabile, se non, cioè, come un potente strumento di ricatto. Israele ha ricattato gli Stati Uniti più volte, l'ultima è sul programma nucleare iraniano, un programma che ogni fonte di intelligence affidabile e impegnata sa non essere finalizzato a produrre armi. Più di una fonte israeliana ha suggerito che le armi nucleari a basso potenziale sono il modo migliore di distruggere la tecnologia iraniana, sepolta profondamente sotto terra, un sussurro suggestivo nelle orecchie americane di fare ciò che vuole Israele, oppure ...
L’analisi suggerisce che Israele vuole veramente la soppressione dell'Iran come potenza regionale fiorente in modo da poter continuare a svolgere il potente e redditizio ruolo di surrogato degli Stati Uniti in Asia occidentale, con i suoi numerosi rapporti, sempre tenuti tranquilli, con l'altra grande baluardo della democrazia e dei diritti umani, l'Arabia Saudita.
Ci sono stati molti risultati imprevisti, ed estremamente spiacevoli, con la sola questione delle armi nucleari di Israele. Prendiamo i rapporti di Israele con il precedente governo sudafricano e la volontà di quel paese ha avuto per decenni di raggiungere lo status di potenza nucleare. Non conosciamo tutti i dettagli, ma sappiamo da documenti ormai pubblicati che Israele una volta ha letteralmente offerto di vendere testate nucleari e missili compatibili per l'apartheid in Sud Africa. Sappiamo inoltre che il Sud Africa ha raggiunto il suo obiettivo, e che vi è stata una corsa segreta per eliminare le sue armi quando il governo dell'apartheid è caduto. L’esperto britannico di armi moderne, il dottor Kelly, probabilmente è stato assassinato per le informazioni dettagliate che possedeva sulla disposizione di materiale fissile del Sud Africa. Sappiamo inoltre che c’è stato un ordigno nucleare testato in mare, probabilmente un test congiunto israelo-sudafricano, il suo lampo inconfondibile è stato registrato da un satellite americano. Proprio questo aspetto del comportamento di Israele si contrappone direttamente agli obiettivi e ai desideri di molti in Occidente, sostenendo sia l'apartheid che la proliferazione delle armi nucleari. Inoltre, al fine di realizzare queste cose, grandi sforzi dovevano essere fatti, con frodi e di negoziazioni segrete con un certo numero di governi i cui servizi segreti avrebbero certamente incontrato percorsi di prova. Queste sono questioni piuttosto pesanti per i governi su cui decidere senza la conoscenza degli elettori.
Il possesso di armi nucleari da parte di Israele, agisce sia come una minaccia che come uno stimolo per gli altri Stati della regione, di ottenere il loro proprio armamento nucleare. L’Iraq cercò di farlo e venne fermato due volte. Infine, l'America ha usato come pretesto per una sanguinosa invasione che ha ucciso almeno mezzo milione di persone, le armi nucleari dell'Iraq, quando era chiaro a tutti gli esperti di quel momento che l'Iraq non aveva più le strutture di lavoro per la loro produzione. E così l’Iraq è stato violentemente spazzato via, fuori dalla regione per compiacere Israele, proprio come oggi, Israele vuole che si faccia con l'Iran. I paesi che hanno seriamente preso in considerazione, ed effettivamente iniziato i lavori per costruire le proprie armi nucleari sono: Arabia Saudita, Iraq, Egitto e Libia e in tutti i casi le loro motivazioni coinvolgono, almeno in parte, l'arsenale di Israele.
Gli Stati Uniti oggi sono nel bel mezzo di una lunga e massiccia campagna per ripulire il Medio Oriente, da ciò che i suoi governanti considerano elementi indesiderabili. Che cosa determina questi elementi indesiderabili? La caratteristica principale è se rispettano gli obiettivi generali di politica estera degli Stati Uniti, tra cui, soprattutto, il concetto di Israele come figlio prediletto degli Stati Uniti nella regione, con tutti i privilegi e i poteri riconosciuti da tale status.
Certo, la selezione non ha nulla a che fare con il fatto che i paesi siano democrazie, e certamente non aveva niente a che fare con il fatto che i paesi riconoscessero e rispettassero i diritti umani, al contrario di quanto affermano quel ruffiano di John Kerry o l’istrionismo di Hillary Clinton. L'America non presta attenzione a queste sottigliezze quando si tratta di Arabia Saudita, Bahrain, Yemen, Egitto, e molti altri luoghi di interesse strategico, compreso Israele. I valori indicati formalmente a parole nella Costituzione americana e al picnic del quattro luglio, hanno tanto a che fare con la politica estera Usa, come le urla soffocate di Guantanamo e dal resto dei gulag di tortura della CIA o con la terribile invasione dell'Iraq e con l'uso sistematico, su larga scala, di uccisioni extragiudiziali.
C'è un elaborato meccanismo che è cresciuto attorno al rapporto tra l'America e Israele dal 1948, quando il presidente Truman prese la fatidica decisione, secondo quanto riferito, contro il proprio miglior giudizio privato, di riconoscere rapidamente il governo di Israele ed estendere ad esso l'allora immenso prestigio degli Stati Uniti nel dopoguerra. Le caratteristiche principali dell’apparato, in particolare le campagne elettorali, erano altamente organizzate e ben finanziate, ogni funzionario americano veniva eletto o nominato per la sua simpatia per Israele, come con le regolari scampagnate per i nuovi membri del Congresso, e l'accesso più intimo e regolare da parte di lobbisti e funzionari israeliani ai più alti funzionari di Washington è ora parte del panorama politico degli Stati Uniti, dato per scontato, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Ma non è naturale, e, nel lungo periodo, non è neppure in linea con gli interessi degli Stati Uniti.
Essere invischiati in quel meccanismo decisionale distorto, piuttosto che semplicemente chiedere a Israele di tornare dietro la Linea Verde e sostenere una soluzione ragionevole, è ciò che in definitiva ha prodotto l'11/9, la guerra al terrorismo, l'invasione dell'Iraq, la sistematica uccisione extragiudiziale, la consegna di decine di milioni di persone alla tirannia, tra cui i popoli d'Egitto e Palestina, gli affari sporchi della progettata guerra civile inflitto alla Siria, e le molte volte in cui l’orgoglio nazionale dell'America è stato inghiottito, con l'attacco israeliano ad una nave spia americana, sequestro di terre ai vicini da parte di Israele e l’incessante spionaggio contro il suo più grande benefattore. E alcuni di questi evitabili disastri hanno avuto ulteriori effetti interni nel razionalizzare la creazione di molti elementi di uno stato di polizia americano.
La natura di questo rapporto dimostra qualcosa sulla natura instabile di Israele. L'America ha molti alleati e amici che non si comportano in questo modo solo perché non è necessario, ma Israele cerca costantemente di migliorare o consolidare la propria situazione, cercando un maggior vantaggio. Si assume nei suoi affari esterni ciò che appare completamente amorale, l’approccio dei risultati ad ogni costo, dal rubare fattorie e case e acqua al rubare i segreti, riproducendo una lunga serie di sporchi trucchi lungo la strada, come ha fatto ad Entebbe o nella Guerra dei Sei Giorni o per aiutare il Sud Africa o nel rilascio dell’orribile virus come Stuxnet o nell’abusare di passaporti di altre nazioni per effettuare brutali omicidi, tutti con la certezza che la nazione più influente del mondo è vincolata al meccanismo, incapace di criticare o punire. Il guaio è che tali atti all'infinito generano nuove ostilità in ogni luogo che toccano. Non potrebbe essere altrimenti, ma Israele e i suoi apologeti parlano solo in termini di crescente antisemitismo, di zittire i critici, una pratica che genera ancora più ostilità, poiché alla maggior parte delle persone non piace essere offeso e l'atto di farlo aumenta solo la consapevolezza delle tante disonestà impiegate per mantenere Israele a galla.
La natura dell’apparato di relazioni americano si è dimostrato così efficace nella definizione della politica nei confronti di Israele che è stato replicato con altri paesi occidentali. Solo di recente, leggiamo le parole di un ex Primo Ministro australiano che avverte il suo popolo che l’apparato è lì adesso e sta influenzando indebitamente il governo. In Canada, tradizionalmente uno dei paesi con la più bella mentalità il Medio Oriente, il nostra attuale primo ministro estremista, uno sfortunato deficit democratico ha permesso di eleggere un governo di maggioranza con il 39% dei voti, ha cestinato la tradizionale posizione di tutto rispetto del Canada e ha lavorato costantemente per istituire gli stessi meccanismi di influenza dietro le quinte. Così ora noi sperimentiamo tali eventi bizzarri come un ministro federale che, all'improvviso, colpito proprio come Saul sulla via di Damasco, blatera qualche frase su Israele, estranea a qualsiasi altra cosa che stava dicendo o che gli fosse stato chiesto dai giornalisti presenti. Il nostro primo ministro aal 39% si è assunto l’esaltante ruolo del Canada Don Chisciotte nella lotta contro l'antisemitismo, nonostante il fatto che il vero anti-semitismo quasi non esiste nel nostro tollerante paese. Ma apologeti importanti per Israele hanno in passato lamentato politiche equilibrate che non favorivano abbastanza Israele, e il nostro Don Chisciotte ha cavalcato in loro soccorso. Naturalmente, lungo la strada, il suo partito potrà godere di una nuova fonte di finanziamento della campagna, aggiungendo ancora un nuovo onere al deficit democratico esistente in Canada.
Nessuno penso che abbia previsto fin dall'inizio questa serie di risultati. E’ davvero stata una questione di innumerevoli regolazioni, aggiustamenti, e manovre opportunistiche che nessuno avrebbe potuto prevedere nel 1948, quei giorni che erano, allo stesso tempo, gioiosi per molti ebrei che guardavano indietro nel buio totale della Shoah e alla tragedia di un popolo che non ha nulla a che fare con quegli eventi delittuosi, che hanno spogliato dei beni e dei diritti e della dignità, la situazione di un popolo che è solo peggiorata da quando, comprensibilmente, la chiamano Nakba. Ma la corrosione della democrazia nei governi occidentali è la paura di dire di no a Israele e la grande disposizione ad aggiungerlo alla festa delle casse dei politici in cambio di parole favorevoli e atti reali e palpabili, e sta andando a peggiorare. La situazione è ben caratterizzata come una corsa verso il fondo.


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June 6, 2014

Understanding Israel’s corrosive influence on Western democracy
By John Chuckman

Something troubling is quietly underway in the Western world, that portion of the world’s governments that style themselves as liberal democracies and free societies. Through a number of avenues, people’s assumptions about the role of government are being undermined as their governments evolve towards a pattern established in the United States. No, I do not mean in building a neo-Roman marble repository of sacred founding writ and adopting three wrangling branches of government with empty slogans about freedom and justice for all. I do mean in the way governments, however elected and organized, regard their responsibilities towards their citizens and the world community.
Of course, the United States in many matters often prods, cajoles, or threatens other states to follow where it leads, such as with votes at the U. N. or whether a country should send at least token forces for one of America’s colonial wars to lend appearances of international effort. Despite America’s poor economy and declining relative future prospects, it still has many resources for pushing others, much like the profligate grandson of a magnate whose once great family fortune is in decline but still large. Still, a good deal of what is happening results from new forces which only reinforce America’s imperial tendencies.
People in the West often elect governments that turn around to do things voters did not want done, and they realize they being lied to by their governments and corporate press, but they pretty much feel helpless to remedy the situation. London saw the largest peace march in history just before Tony Blair secretly threw in his lot with the criminals who hit Iraq with the equivalent in deaths and destruction of a thermonuclear bomb on a large city. Special interests increasingly dominate the interests of government because they increasingly pay its campaign costs and extend other important favors. Citizens in many places feel the meaning of casting a ballot has been diminished as they watch their governments ignore extreme injustice, hear their governments make demands and threats over matters which do not warrant threats, see themselves become ensnared in wars and violence they never wanted, and generally feel their governments are concerned with matters of little concern to them. That, if it needs to be said, is not what democracy is about. And where do we see governments making reforms to remedy the situation threatening democracy? Almost nowhere.
It might at first seem an odd thing to write—considering the influence Israel exerts in the Western world (what other country of 7 million is in the press virtually each day?) and all the favorable press it receives (every major newspaper and broadcaster having several writers or commentators who see their duty as influencing public opinion on Israel’s behalf, and The New York Times submits all stories about Israel to Israeli censors before publishing)—but Israel is an inherently unstable state. No matter how much money is poured into it for arms and force-fed economic development, it cannot be otherwise. Its population is hostile to the people with whom it is surrounded and intermixed, living something of a fantasy which shares in equal parts ancient myths and superstitions and white-picket-fence notions of community with no neighbors who do not resemble each other. Its founding stories also have a fairy tale quality, heroic with a mythical division of good and evil, always ignoring the violence and brutality which cannot be forgotten so easily by its victims, and the manipulation of imperial powers which defrauded others as surely as any phony mining stock promotion. Its official views and the very language in which they are expressed are artificial constructs which do not accurately describe what they name, words like “militant” or “terrorist” or “existential.” Its official policy towards neighbors and the people it displaced has been one of unrelenting hostility. Its leaders in business and government almost all securely hold dual passports, hedging their bets. Its average citizens face a hard time in an economy shaped, not for opportunity and economic freedom, but for war and the policing of millions of captives and unwelcome residents. None of this is indefinitely sustainable, and modern Israel is a highly artificial construct, one neither suited to its regional environment nor amenable to all the powerful trends shaping the modern world: globalization, free movement of peoples, multiculturalism in immigration, and genuine democratic principles, not the oxymoron of democracy for one group only.
It is the many desperate efforts to work against these hard realities, almost like someone screaming against a storm, which have unleashed the forces now at work on the Western world. Israel, as just one example, against the best judgment of many statesmen, was permitted and even assisted to become a nuclear power. The thinking being that only with such weapons can Israel feel secure and be ready to defend Jews abroad from a new Gotterdammerung. The truth is, as is the case with all nuclear weapons, Israel’s arsenal is virtually unusable, except, that is, as a powerful tool for blackmail. Israel has blackmailed the United States several times, the latest instance being over Iran’s nuclear program, a program which every reliable intelligence source agrees is not aimed at producing weapons. More than one Israeli source has suggested that low-yield nuclear weapons are the best way of destroying Iran’s technology, buried deeply underground, a suggestive whisper in American ears to do what Israel wants, or else.
Analysis suggests that what Israel truly wants is the suppression of Iran as a burgeoning regional power so that Israel can continue to perform the powerful and lucrative role as the United States’ surrogate in Western Asia, along with its always-held-quiet, numerous dealings with that other great bastion of democracy and human rights, Saudi Arabia.
There have been many unanticipated, and extremely unpleasant, results from just this one matter of Israel’s nuclear weapons. Take Israel’s relationship with the former South African government and that country’s own drive decades ago to achieve status as a nuclear power. We do not know all the details, but we know from now-published documents that Israel once offered literally to sell nuclear warheads and compatible missiles to apartheid South Africa. We know further that South Africa did achieve its goal, there having been a rush, secret program to remove its weapons when the apartheid government fell; Britain’s late weapons expert, Dr. Kelly, possibly having been murdered for the detailed information he possessed on the disposition of South Africa’s fissile material. We know further that there was a nuclear device tested at sea, likely a joint Israeli-South African test, its unmistakable flash having been recorded by an American satellite. Just this one aspect of Israel’s behavior worked directly against the aims and wishes of many in the West, supporting both apartheid and proliferation of nuclear weapons. Further, in order to accomplish these things, large efforts had to be made at deception and secret dealing with a number of governments whose intelligence services would certainly have come across trails of evidence. Those are rather weighty matters for governments to decide without the knowledge of voters.
Israel’s possession of nuclear weapons acts both as a threat and a stimulus to other states in the region to obtain their own. Iraq tried to do so and was stopped, twice. Finally, America used, as a pretext for a bloody invasion which killed at least half a million, Iraq’s nuclear weapons when it was clear to all experts by that time that Iraq no longer had any working facilities for producing them. It violently swept Iraq off the region’s chess board to please Israel, much as today Israel wants it to do with Iran. Countries which have seriously considered, or once actually started, working towards nuclear weapons in the region include Saudi Arabia, Iraq, Egypt, and Libya, and in all cases their motives involved, at least in part, Israel’s arsenal.
The United States today is in the midst of a massive, years-long campaign to cleanse the Middle East of what its rulers regard as undesirable elements. What determined these undesirable elements? The chief characteristic was whether they respect the general foreign policy aims of the United States, including, importantly, the concept of Israel as favored son of the United States in the region with all the privileges and powers accorded that status.
Certainly the selection had nothing to do with whether the countries were democracies, and certainly it had nothing to do with whether the countries recognized and respected human rights, John Kerry’s pandering or Hillary Clinton’s histrionics to the contrary. America pays no attention to such niceties when it comes to Saudi Arabia, Bahrain, Yemen, Egypt, and many other places of strategic interest to it, including Israel. The values given lip service in the American Constitution and at Fourth of July picnics have as much to do with foreign policy as they do with the muffled screams from Guantanamo and the rest of the CIA’s torture gulag or the horrific invasion of Iraq and the systematic, large-scale use of extrajudicial killing.
There is elaborate machinery which has grown up around the relationship between America and Israel since 1948, when President Truman made the fateful decision, reportedly against his own best private judgment, to quickly recognize the government of Israel and extend to it the then-immense prestige of the United States in the immediate postwar period. That machinery—its chief features being highly-organized and well-funded special interest campaign financing, assays of every elected or appointed American official for his or her friendliness to Israel as with regular junkets for new congressmen, and the most intimate and regular access by both lobbyists and Israeli officials to the highest officials in Washington—is now part of the political landscape of the United States, taken for granted as though it were the most natural thing in the world. But it is not natural, and, over the long term, it is not even in keeping with the interests of the United States.
Being enmeshed in that decision-distorting machinery, rather than simply demanding Israel return to the Green Line and support a reasonable settlement, is what ultimately produced 9/11, the war on terror, the invasion of Iraq, systematic extrajudicial killing, the consignment of tens of millions of people to tyranny, including the people of Egypt and Palestine, the dirty business of the engineered civil war inflicted upon Syria, and swallowing America’s national pride many times as with the Israeli attack on an American spy ship, Israel’s seizure of neighboring land, and Israel’s incessant espionage on its greatest benefactor. And some of these avoidable disasters had further internal effects in rationalizing the establishment of many elements of an American police state.
The nature of this relationship itself demonstrates something about the unstable nature of Israel. America has many allies and friends who do not behave in these ways because it is simply not necessary, but Israel is constantly reaching, trying to improve or enhance or consolidate its situation, trying to seek some greater advantage. It assumes in its external affairs what appears a completely amoral, results-at-any-cost approach, from stealing farms and homes and water to stealing secrets, playing a long series of dirty tricks on the world along the way, as it did at Entebbe or in the Six Day War or in helping South Africa or in releasing horrible malware like Stuxnet or in abusing the passports of other nations to carry out ugly assassinations—all secure in the knowledge that the world’s most influential nation is captive to the machinery, unable to criticise or punish. The trouble is that such acts endlessly generate new hostilities every place they touch. It cannot be otherwise, yet Israel and its apologists speak only in terms of rising anti-Semitism to shut critics up, a practice which generates still more hostilities since most people don’t like being called names and the act of doing so only increases awareness of the many dishonesties employed to keep Israel afloat.
The nature of the American-relationship machinery has proved so successful in shaping policy towards Israel that it has been replicated in other Western countries. Only recently, we read the words of a former Australian Prime Minister warning his people of the machinery there now influencing government unduly. In Canada, traditionally one of the fairest-minded of nations towards the Middle East, our current, extremist prime minister (an unfortunate democratic deficit in Canada making it possible to win a majority government with 39% of the vote) has trashed Canada’s traditional and respected position and worked steadily towards establishing the same backroom-influence machinery. So now we experience such bizarre events as a federal Minister suddenly, much like Saul struck along the road to Damascus, blurting out some sentence about Israel, unrelated to anything else he was saying or being asked by reporters present. Our 39% prime minister himself has assumed the exalted role of Canada’s Don Quixote in the fight against anti-Semitism, despite the fact that genuine anti-Semitism almost does not exist in our tolerant country. But prominent apologists for Israel have in the past complained of Canada’s balanced policies not favoring Israel enough, and our Don Quixote has ridden to their rescue. Of course, along the way, his party will enjoy a new source of campaign funding, adding yet a new burden to Canada’s existing democratic deficit.
No one I think entirely planned from the beginning this set of outcomes. It really has been a matter of innumerable adjustments, accommodations, and opportunistic maneuvers which no one might have predicted in 1948, those days which were, at one and the same time, joyful for many Jews staring back into the utter darkness of the Holocaust and tragic to a people having nothing to do with those murderous events, who were stripped of property and rights and dignity, a situation which has only become worse since what they quite understandably call Nakba. But the corrosion of democracy in Western governments afraid of ever saying no to Israel and too willing to add to party political coffers in exchange for favorable words and acts is real and palpable, and it is going to do nothing but become worse. The situation is best characterized as a race for the bottom.


John Chuckman is former chief economist for a large Canadian oil company. He has many interests and is a lifelong student of history. He writes with a passionate desire for honesty, the rule of reason, and concern for human decency. John regards it as a badge of honor to have left the United States as a poor young man from the South Side of Chicago when the country embarked on the pointless murder of something like 3 million Vietnamese in their own land because they happened to embrace the wrong economic loyalties. He lives in Canada, which he is fond of calling “the peaceable kingdom.” John’s columns appear regularly on Counterpunch, Media Monitors, Politics Canada, Baltimore Chronicle, Intrepid Report, Scoop (New Zealand), Asian Tribune, Aljazeerah.info, Smirking Chimp, Dissident Voice, and many other Internet sites. He has been translated into at least ten languages and is regularly translated into Italian and Spanish. Several of his essays have been published in book collections, including two college texts. His first book has just been published, “The Decline of the American Empire and the Rise of China as a Global Power,” published by Constable and Robinson, London.

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