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23.09.2014

 

Gli Stati Uniti e la CIA hanno creato lo Stato Islamico: le teorie del complotto che stanno infiammando il Medio Oriente

di Luca Lampugnani

 

La scorsa settimana il leader religioso e uomo politico iracheno Muqtada al-Sadr, sciita, considerato uno stretto alleato dell'Iran, ha pubblicamente accusato gli Stati Uniti di aver creato ad hoc lo Stato Islamico al fine di giustificare una nuova invasione di Baghdad ad undici anni dal 2003. Precisamente, secondo al-Sadr, dietro al califfo si nasconderebbe la Central Intelligence Agency (CIA), agenzia americana di spionaggio internazionale. Come sottolinea il New York Times, ad oggi a questa teoria del complotto sembrano fare eco numerosi iracheni, tra cui semplici cittadini e funzionari governativi di alto livello - aspetto che, mentre ancora latitano le nomine del ministro degli Esteri e dell'Interno del dopo al-Maliki, rischia di gettare un'ombra sui rapporti tra governo e Stati Uniti -, molti dei quali hanno preso parte ad una serie di manifestazioni organizzate dallo stesso al-Sadr per mettere in guardia la popolazione dal presunto diabolico piano a Stelle e Strisce.

"Sappiamo chi ha creato Daesh" ha spiegato al quotidiano statunitense Bahaa al-Araji, attuale vice primo ministro, riferendosi allo Stato Islamico con una abbreviazione in lingua araba. Una certezza che sembra però cadere nel vuoto quando gli viene chiesto direttamente, senza giri di parole, se ritiene che gli 007 di Washington siano i fautori di Abu Bakr al-Baghdadi e del suo gruppo, organizzazione che dai primi giorni di giugno sta mettendo a ferro e fuoco il Medio Oriente con la creazione di un califfato tra la Siria e l'Iraq. Chi sembra non avere invece alcun dubbio è Haidar al-Assadi, quarantenne, iracheno, più che sicuro che "lo Stato Islamico è una creazione degli Stati Uniti, i quali ora stanno cercando di intervenire nuovamente con la scusa del terrorismo".

In tutto questo, ovviamente, la figura dell'inquilino della Casa Bianca, Barack Obama, ne esce piuttosto malconcia: "la ragione principale per cui il presidente USA sta dicendo che non invaderà di nuovo il nostro Paese è la resistenza islamica che incontrerebbe da parte delle milizie sciite, e lui non vuole perdere un solo soldato" sul terreno, sostiene ancora al-Assadi, seguito a ruota da Raad Hatem, anch'esso quarantenne che, perentorio, sentenzia: "non ci fidiamo di lui (Obama, ndr)". Tuttavia, i timori iracheni nei confronti degli Stati Uniti si tramutano in approvazione quando l'argomento si sposta sui raid aerei contro le postazioni e gli uomini dello Stato Islamico, azione che Washington porta avanti all'incirca da un mese. Secondo il New York Times, infatti, nonostante i sentimenti di forte sospetto nei confronti degli States, molti dei partecipanti alle manifestazioni di al-Sadr hanno giudicato e tutt'ora giudicano positivamente gli attacchi aerei.

Ad ogni modo, se è vero che teorie complottiste come la formazione dello Stato Islamico da parte della CIA non aiutano in questo delicato periodo di scontri e tensioni nel Medio Oriente, non va dimenticato che i sospetti iracheni di una oscura trama non sono certi i primi ad emergere nella regione. Innanzitutto, proprio come a Baghdad i seguaci di al-Sadr, anche a Teheran le voci del complotto americano crescono giorno dopo giorno, probabilmente alimentate dall'esclusione dell'Iran dalla grande coalizione anti-IS e, più in generale, dalle persistenti tensioni tra quest'ultimo e gli Stati Uniti.

Ancora, all'incirca 2 mesi fa, in Libano si è arrivati a sfiorare un indicente diplomatico, epilogo dovuto ad alcune parole di Hillary Clinton ingigantite a dismisura. In un passo del suo libro, l'ex firs lady sosteneva che lo Stato Islamico, come oggi noi lo conosciamo, fosse una risultante del fallimentare tentativo di Washington di armare i ribelli cosiddetti 'moderati' della rivoluzione siriana. Un aspetto per certi versi corretto, ma talmente travisato a Beirut che alla Clinton vennero messe in bocca affermazioni non sue, fino ad arrivare alla circolazione sui social di sedicenti stralci del suo ultimo libro dove veniva scritto nero su bianco che dietro allo Stato Islamico c'era la mano consapevole degli Stati Uniti che dall'instabilità che il gruppo avrebbe creato nel Medio Oriente volevano trarre vantaggi personali. Il caso e la risonanza mediatica di tali parole ebbe un tale impatto da portare alla convocazione dell'ambasciatore USA da parte del ministro degli Esteri del Libano, fino ad arrivare ad una dichiarazione fatta circolare dai diplomatici americani a Beirut dove si specificava che "qualsiasi voce rispetto ad un diverso approccio degli Stati Uniti allo Stato Islamico come ad una organizzazione terroristica, così come qualsiasi accusa rispetto ad un ruolo nella sua creazione, è palesemente falsa".

In effetti, sostenere che gli Stati Uniti abbiano scientemente creato dal nulla lo Stato Islamico per arrivare all'attuale focolaio mediorientale appare un azzardo. Piuttosto, come nella storia a stelle e strisce insegna la fornitura di armi ai mujaheddin durante l'invasione sovietica dell'Afghanistan - da cui nacque e si sviluppò Al Qaeda -, le responsabilità americane verso l'IS sono tutte di mala politica estera, spettro che tutt'ora angoscia il secondo mandato presidenziale di Obama. Insomma, le responsabilità statunitensi (e non solo) nei confronti dell'attuale situazione sono innegabili. Tuttavia, il complottismo che sta colpendo sempre più nel Medio Oriente appare come un eccessivo stravolgimento, all'ennesima potenza, di una politica estera fallimentare nella regione, incapace di guardare agli errori già commessi e quindi di migliorarsi nel tempo. Portando in ultimo ad un continuo inciampare sui propri piedi, senza via d'uscita.       

In tal senso, è necessario ricordare che il gruppo che oggi governa e controlla il califfato, ad esempio, mosse i suoi primi passi all'indomani dell'occupazione irachena da parte degli Stati Uniti nel 2003, così come molte altre organizzazioni di resistenza più o meno estremiste. Il suo attuale assetto, come sosteneva invece la Clinton, deve buona parte della sua forza proprio alle azzardate forniture di armi ai ribelli siriani nei primi anni di rivoluzione contro il regime di Bashar al-Assad, quando dopo solo pochi mesi fu chiaro che il fronte ribelle era una compagine disorganizzata e disomogenea, in balia di organizzazioni votate alla jihad come il Al-Nusra (qaedista) e, appunto, lo Stato Islamico. E a peggiorare la situazione, mettendo giustamente in cattiva luce anche gli Stati Uniti, ci hanno pensato la Turchia e i Paesi del Golfo, alleati di Washington che, secondo quanto ritengono molti osservatori internazionali, non hanno avuto alcuno scrupolo, pur di vedere la caduta di al-Assad, ad armare e supportare gli estremisti sul territorio siriano.

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