Fonte: Journal-neo.org/

http://www.controinformazione.info

19 luglio 2015

 

Lo scopo del genocidio culturale dell’ISIS

di Maram Susli

Traduzione di Anacronista

 

In quella che l’UNESCO ha definito “pulizia culturale”, lo Stato Islamico di Iraq e Siria (ISIS) ha cominciato a distruggere le statue della città siriana di Palmira, risalenti a 2000 anni fa, e afferma di aver installato esplosivi tra le antiche rovine. Ciò fa seguito alla sistematica distruzione di siti storici del Medio Oriente. Finora l’ISIS ha devastato diversi siti in Iraq, vantando la distruzione e il saccheggio del Museo di Mosul, la distruzione della città assira di Nimrud, vecchia di 3000 anni, e l’abbattimento della città-fortezza di Hatra, risalente a 2000 anni fa. Di recente i militanti dell’ISIS hanno minacciato di distruggere la Sfinge e le piramidi d’Egitto.

Mentre il mondo resta a guardare i terroristi dell’ISIS mentre distruggono i resti dei luoghi dove nacque la civiltà, dobbiamo riflettere sul motivo per cui ciò sta succedendo e come siamo arrivati a questo punto.

Questi crimini contro la storia vengono descritti dai media mainstream come il semplice risultato dell’irrazionale distruzione effettuata dai barbari dell’ISIS. Ma di fatto fanno parte di un progetto del governo USA per balcanizzare le nazioni di Siria e Iraq, attaccando il cuore della loro identità nazionalista: la loro storia.

 

Distruzione sistematica di siti sia islamici che non islamici

Il fatto che l’ISIS attacchi i siti storici non è casuale, visto che vi impiega risorse militari. L’ISIS ha attaccato Palmira nonostante da un punto di vista militare sarebbe stato più sensato concentrare l’attacco sulla città siriana di Deir Ezzor. L’ambizione di distruggere i siti storici deriva in parte dall’aderenza dell’ISIS alla dottrina wahabita, che è un’interpretazione puritana dell’Islam. L’Islam proibisce l’idolatria, e nella mentalità dell’estremismo wahabita ciò significa che “tutte le statue sono proibite”. Così l’ISIS giustifica la distruzione delle statue antiche, nonostante non vengano adorate da nessuno. Anche l’attacco alle tombe si può spiegare con la dottrina wahabita, ostile ai luoghi di sepoltura per il timore che possano diventare luoghi di adorazione e culto. Ma nemmeno il wahabismo spiega la distruzione delle mura delle antiche città.

Si dice che l’ISIS stia distruggendo i siti non islamici per seppellire la storia della civiltà pre-islamica. Ciò farebbe il paio con la graduale rimozione dei cristiani dal Medio Oriente, in corso negli ultimi 20 anni. Il patriarca della Chiesa Cattolica Siriaca in Iraq, Ignatius Joseph III Yonan, ha definito la distruzione dei siti cristiani del paese una cospirazione della quale l’Occidente è complice. Egli ha dichiarato al Guardian che crede ciò faccia parte di una “strategia machiavellica” dell’Occidente per strappare i cristiani dalle loro dimore ancestrali in tutto il Medio Oriente.

Tuttavia, l’ISIS ha distrutto anche moschee e siti storici islamici, riveriti sia dalle sette sciite che sunnite. Ha perfino minacciato di distruggere la Mecca, il sito più sacro dell’Islam. La monarchia dell’Arabia Saudita condivide la stessa ideologia wahabita dell’ISIS, e ha demolito siti storici islamici per far posto ad alberghi e centri commerciali. Ciò avviene dal 1985, ma recentemente il ritmo è aumentato di pari passo alla crescita dell’ISIS. Il regime saudita ha distrutto anche edifici storici elencati dall’UNESCO nell’antica città di Sanaa, in Yemen, attraverso un attacco aereo mirato. Tale attacco, come quelli dell’ISIS diretti ad antichi edifici, non si può spiegare solo con il wahabismo. Lungi dall’essere atti casuali di violenza, esiste un piano che prevede tale distruzione, ed è un piano degli Stati Uniti, non dell’ISIS.

 

La pulizia culturale precede l’ISIS

La pulizia culturale è un diretto risultato della politica estera statunitense in Medio Oriente, ed è in corso da decenni. L’ISIS nacque nel 2006 in conseguenza dell’invasione USA dell’Iraq. Nel 2011 gli USA destabilizzarono la Siria appoggiando la Fratellanza Mussulmana legata all’insurrezione, creando un terreno fertile per la crescita dell’ISIS. Ma la distruzione sistematica degli artefatti mediorientali era già in corso prima della nascita dell’ISIS. In Siria, l’Esercito Siriano Libero, supportato dagli USA, stava già depredando siti archeologici e vendendo gli artefatti in cambio di armi. Ciò succede almeno dal 2012, ben prima che l’ISIS fosse presente in Siria. Riportava il New York Times:

“Combattenti alleati con l’Esercito Siriano Libero, che combatte il regime del presidente siriano Bashar Assad, gli hanno riferito che stanno creando un’associazione di scavatori dediti a trovare pezzi d’antiquariato per finanziare la rivoluzione. ‘I ribelli hanno bisogno d’armi, e l’antiquariato è un modo semplice per comprarle’, afferma Abu Khaled, che usa questo soprannome per proteggere la sua identità.” Inoltre, Jabhat Al Nusra, ala siriana di Al Qaeda, era impegnata a saccheggiare i siti storici ben prima che l’ISIS diventasse una presenza significativa in Siria. Nel maggio del 2013, il movimento abbatté un mausoleo nella città di Ayn Al-Arous, visitato dai pellegrini per il profeta Abramo, che si crede aver trascorso del tempo in città con la moglie Sara. Quest’anno, Jabhat Al Nusra ha distrutto un mausoleo del 13° secolo dell’importante dotto islamico Imam Nawawi, nella provincia di Dera’a. Il movimento segue la stessa dottrina wahabita dell’ISIS e dell’Arabia Saudita, ma non ha ricevuto la stessa copertura mediatica. Al contrario, i gruppi di interesse qatari, i pensatoi e i media della NATO cercano di farlo passare per “moderato”.

Tornando ancora più indietro, ad aprile del 2003, nei primissimi giorni dell’invasione USA dell’Iraq, venne saccheggiato il Museo di Baghdad. I soldati iracheni avevano difeso il museo da un attacco dell’esercito statunitense, ma vennero costretti a ritirarsi. Le forze USA vennero accusate del saccheggio, ma negarono le accuse.

Esistevano tuttavia delle prove che suggerivano come il saccheggio fosse premeditato, perché vennero rubati migliaia di oggetti di valore da stanze blindate nascoste. Comunque sia, gli USA presero e tenerono illegalmente migliaia di tesori culturali iracheni. L’archeologo e architetto iracheno Ihsan Fathi affermò:

“E’ stata sottratta dagli USA un’enorme quantità di documenti di importanza storica, a cui non si può assegnare un valore monetario. Il governo iracheno sta cercando di ottenerne la restituzione, ma l’amministrazione americana vuole trovare un accordo e restituirne solo la metà.” Molti degli artefatti rubati finirono a New York, Londra e in Israele. Nel 2008, ufficiali di Baghdad accusarono la casa d’aste Christie’s di New York di tentata vendita di artefatti rubati. Tra gli artefatti saccheggiati trovati a Londra c’erano statue guardiane proveniente dall’antica città assira di Nimrud, recentemente attaccata dall’ISIS. I rotoli della Torah Babilonese vennero portati in Israele con l’aiuto dei mercenari contratti dall’esercito USA, e Israele rifiuta di restituire i rotoli all’Iraq.

In Siria si sta ripetendo la stessa tragedia dell’Iraq, con un nuovo metodo di mercato nero che mette annunci su pagine di Facebook per vendere le antichità rubate in Siria. Il giornale cinese Xinhaunet ha riportato che gli artefatti siriani stanno già finendo in Israele, ivi portati da trafficanti che li acquisiscono commerciando con l’Esercito Siriano Libero.

Se torniamo a tempi ancora precedenti, la destabilizzazione dell’Afganistan effettuata dagli USA negli anni ’80 portò all’ascesa al potere dei talebani e alla nascita di Al Qaeda. Nel 2001 i talebani distrussero con la dinamite delle statue di Budda vecchie di 1700 anni.

In tutti i casi è sempre stato l’intervento degli USA e dei loro alleati a provocare la distruzione e il furto della storia mediorientale. La distruzione è stata provocata: o direttamente dalle forze di occupazione, o indirettamente tramite l’appoggio fornito ai gruppi estremisti. La distruzione delle antichità è troppo sistematica e mirata per far finta che sia solo il risultato di errori nella politica estera.

 

Un attacco al nazionalismo e all’identità

La distruzione degli artefatti durante le invasioni e le occupazioni è un evento ricorrente nella storia, in quanto rappresenta uno dei modi in cui gli invasori depredano le risorse di un paese e demoralizzano lo spirito nazionalista che potrebbe unire il paese contro l’invasore. L’impero romano usava il sistema della “damnatio memoriae” verso quanti considerava i suoi peggiori nemici. Ad esempio lo usò contro la città di Cartagine e “vi sparse il sale” per impedire ai suoi abitanti di prosperare di nuovo. Il saccheggio nazista delle proprietà culturali dai territori occupati è ben documentato. Gran Bretagna, Francia e Germania depredarono gli artefatti delle colonie mediorientali anche dopo la prima guerra mondiale. Molte opere d’arte siriane ed egiziane sono tuttora al Museo del Louvre di Parigi. Nel 2002, un anno prima dell’invasione, il governo iracheno chiese a Berlino la restituzione del Cancello Babilonese.

Gli USA sembrano aver adottato il sistema della “damnatio memoriae” contro l’Iraq, la Siria e forse l’intero Medio Oriente. Il piano per balcanizzare e ridisegnare l’area venne definito dall’ex segretaria di stato statunitense Condoleeza Rice nel 2006, con il titolo: “Il progetto per un nuovo Medio Oriente”. Le politiche statunitensi durante la guerra in Iraq, come l’uso di squadre della morte e l’introduzione del federalismo, erano disegnate per provocare divisioni settarie. Fin dal 2007, pensatoi come l’Istituto Brookings consigliavano una “divisione morbida” dell’Iraq. Nel 2013, all’Università del Michigan, Henry Kissinger dichiarò che avrebbe preferito vedere la divisione di Iraq e Siria. La strategia viene discussa sempre più apertamente non solo tra pensatoi, ma anche nei media.

I poteri neocoloniali degli Stati Uniti sfruttano il wahabismo per spianare la strada alla balcanizzazione. Arabia Saudita, ISIS, Al Qaeda e i talebani sono stati tutti funzionali a questo scopo. Nel libro “Confessioni di una spia britannica e l’ostilità britannica verso l’Islam”, si afferma che la Gran Bretagna fondò il wahabismo per indebolire l’impero ottomano. Che tale accusa sia o meno legittima, è chiaro che il wahabismo e in particolare gli obiettivi dell’ISIS concordano alla perfezione con l’agenda imperialista degli Stati Uniti. Un documento declassificato della Defence Intelligence Agency afferma che la creazione di uno Stato Islamico tornerebbe utile per isolare la Siria dall’Iraq e dall’Iran. Dividere questi paesi in stati settari permetterà un costante antagonismo dell’uno contro l’altro, e li renderà eternamente deboli e incapaci di difendersi. Se la Siria si disintegrerà, Israele è già pronta a reclamare le alture del Golan.

Il processo di balcanizzazione viene accelerato smantellando l’identità delle nazioni. L’identità nazionale della Siria e dell’Iraq deriva da migliaia d’anni di storia. Distruggendo gli antichi artefatti, l’ISIS sta cancellando ogni testimonianza tangibile dell’esistenza delle antiche civiltà siriana e irachena. Rubando le opere d’arte e vendendole all’Europa e agli USA, queste antiche civiltà vengono separate dalla Siria e dall’Iraq dei nostri giorni.

L’ISIS è utile anche perché condivide il disprezzo del governo statunitense per il nazionalismo mediorientale. Esso ritiene che ogni lealtà dovrebbe fondarsi sulla religione, anziché sugli stati nazionali. I cittadini britannici di origine pakistana che si sono uniti ai ranghi dell’ISIS affermano che la terra siriana appartiene a loro, sebbene non abbiano mai messo piede in Siria, semplicemente perché la percepiscono come un “paese mussulmano”.

E’ a causa di questi potenti interessi imperialisti che il mondo resta in disparte a guardare mentre l’ISIS distrugge la culla della civiltà umana. La cosiddetta “coalizione anti-ISIS”, guidata dagli USA, non è altro che fumo e non è mai stata intenzionata a sconfiggere l’ISIS. Gli USA non vogliono solo distruggere la Siria e l’Iraq, vogliono cancellare dalla memoria l’esistenza di questi due paesi.

 


Maram Susli, nota anche come “ragazza siriana”, è un’attivista-giornalista e commentatrice delle questioni siriane e di geopolitica.

 

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