http://coscienzeinrete.net/ 07 Maggio 2018
Chi era davvero il piccolo principe? di Paolo Rampa
Tracce per un’interpretazione esoterica.
Quando si sente parlare de “Il Piccolo Principe”, il noto racconto scritto nel 1943 da Antoine De Saint-Exupéry, è abbastanza difficile che i giudizi che ne derivano non siano unanimemente positivi.
A questo proposito, leggendo l’introduzione all’edizione da me acquistata, ho trovato un’interpretazione del testo che ne evidenziava il carattere “autobiografico”, riferendosi ad alcune corrispondenze che risultavano esistere tra il narratore, il personaggio del Piccolo Principe e lo stesso autore, e che portava quindi il discorso sul consueto tema del confronto tra i caratteri dell’età infantile e quelli dell’età adulta che avrebbe ispirato, con particolari esiti, la narrazione. Ma seppur non condividendo il senso generale di tale interpretazione, evidentemente riduttiva a confronto dell’effettivo “spessore” dell’opera, ho ritenuto che il fatto che De Saint-Exupéry parlasse anche di se stesso fosse utile per avvicinarsi a comprendere il significato di quanto scriveva.
Il punto fondamentale da cui partire mi è infatti subito sembrato quello che l’autore, benché parlasse di qualcosa che lo riguardava direttamente, lo facesse non tanto per riferirsi alle sue personali vicende esistenziali, quanto per portare l’attenzione sui più grandi temi che riguardano l’umanità nel suo complesso, e lo facesse aprendo l’orizzonte in direzione di quella realtà spirituale che sta “prima” del mondo della materia e che ne determina, in ogni occasione, le trasformazioni.
Ed anzi, proprio per via della precisione di certe corrispondenze con i personaggi e dell’uso di certi simboli provenienti dall’arte sacra, che evidentemente non hanno nulla di casuale, ho ritenuto che egli, in questo testo, avesse inteso parlare proprio di quel che riguarda le parti che compongono la “struttura” umana, viste però non in modo soltanto materialistico ma da un punto di vista complessivo e, dunque, propriamente spirituale.
E ne ha parlato con la consapevolezza di chi è al corrente del fatto che vi è un’evoluzione spirituale in corso, che coinvolge l’umanità fin dall’inizio “dei tempi” e che, in questa fase della nostra epoca, alcuni aspetti dell’interiorità umana sono maggiormente coinvolti dai cambiamenti in atto rispetto ad altri.
Date queste premesse possiamo adesso occuparci del contenuto di questo meraviglioso racconto e della “misteriosa” attrattiva che esercita in ognuno di noi quando ci soffermiamo ad apprezzarne la lettura.
Chi è dunque questo Piccolo Principe, questo misterioso personaggio che appare all’improvviso al narratore della storia ponendogli la prima delle tante domande alle quali esige risposta, proprio nel momento in cui una difficoltà “materiale”, un guasto meccanico, gli ha imposto una sosta forzata nel bel mezzo del deserto?
Il Piccolo Principe è lo Spirito, lo spirito umano, lo spirito ancora in crescita (per questo è piccolo) che si prepara a diventare la guida del nostro essere, che si presenta al nostro io ordinario (impersonato dal narratore) in un momento in cui il “flusso” degli avvenimenti che lo riguardano lo ha costretto a fermarsi in una situazione di difficoltà. E l’io ordinario, quello che normalmente si occupa delle nostre quotidiane attività, non lo riconosce, non sa ancora che è lui. E proprio come nei casi della vita in cui siamo indotti a porci delle domande il Piccolo Principe si presenta con una domanda, quasi a voler sottolineare che è lo spirito a fare domande, perchè non può fare a meno di conoscere, perché vuole sapere come stanno realmente le cose, per continuare a crescere.
Lo Spirito è la nostra parte più nobile, per questo è un “principe”, a testimonianza della regalità della nostra origine divina e dell’appartenenza ai mondi superiori che sono la nostra vera casa. Il Piccolo Principe ha i capelli biondi ed una sciarpa d’oro, che sono i colori del Sole e, non a caso, è proprio il cielo il suo luogo d’origine.
Ma perché è arrivato sulla terra? Che ci è venuto a fare qua? Non ce l’hanno mandato ma ha proprio voluto venirci lui! E dunque?
Egli è venuto perché deve occuparsi del suo pianeta, il piccolo asteroide su cui vive, che a sua volta rappresenta qualche cosa che ci riguarda e che ci parla di come siamo fatti. Esso infatti, l’astro celeste identificato come asteroide “B 612”, rappresenta la parte più elevata della nostra anima, quella che è in grado di accogliere lo spirito, la cosiddetta anima cosciente che è ancora piccola perché anch’essa, come lo spirito, è tutt’ora in crescita. Ed il Piccolo Principe è venuto fin qui per fare quell’esperienza e procurarsi quegli strumenti che gli sono necessari per imparare a fare la “cosa giusta”, per curarsi del proprio pianeta, quando sarà ritornato a casa. Ma queste forze e questi strumenti di cui il Piccolo Principe ha bisogno vanno scelti con cura, ed ecco allora che la pecora che egli porterà con sé sarà destinata a mangiare i germogli dei baobab, vere forze disgregatrici dell’anima umana, ma bisognerà anche fare in modo che non si mangi il fiore, appena spuntato, a cui invece egli tiene tantissimo.
Il fiore, cresciuto inaspettatamente tra i tanti arbusti, è una rosa rossa, e costituisce un evidente richiamo a quell’immagine simbolica celebrata nella poesia medievale e che ritroviamo spesso in mano a Maria nell’ iconografia sacra raffigurante la Madonna col Bambino.
Frutto della trasformazione terrena del giglio bianco di origine divina, la rosa rossa rappresenta l’azione giusta, piena d’amore, grazie alla cura che vi si mette per compierla, resa possibile da una coscienza cresciuta e consapevole che, attraverso lo spirito, consente di attuare in terra la volontà divina (rappresentata dal giglio), allo stesso modo in cui questa viene compiuta in cielo. Ed è appunto acquisire la capacità di amare (il prendersi cura della rosa rossa) il compito che lo spirito si è dato nel scendere sulla terra, facendolo apposta per questo. Una capacità che richiede un lavoro di maturazione da svolgersi nel tempo per essere acquisita e che permette, grazie all’esperienza, di distinguere le cose essenziali dalle apparenze: “Non ho saputo capire niente allora:” dice il Piccolo Principe “avrei dovuto giudicarlo dagli atti [il fiore n.d.r.], non dalle parole. Mi profumava e mi illuminava (…) ma ero troppo giovane per poterlo amare.” Durante il proprio viaggio di conoscenza il Piccolo Principe visita altri asteroidi che sembrano rappresentare i diversi stati di coscienza che si possono sperimentare in ambiente astrale, ed è così che egli osserva e conosce direttamente i limiti dell’egoismo, ossia di ciò che rappresenta il grande problema del nostro tempo, qui declinato nelle sue diverse espressioni. Così il re, che ha bisogno di sudditi per esercitare il proprio potere, ed il vanitoso, che non può fare a meno di essere adulato, e poi l’ubriacone, che ha visto spegnersi del tutto la ‘luce” della coscienza, e quindi l’uomo d’affari, che vive di materialità e predazione, rappresentano in modi diversi altrettante condizioni in cui l’anima non cresciuta è vittima di forze che si oppongono allo sviluppo della coscienza. E se il lampionaio rappresenta colui che ancora non si pone le domande "giuste” e rischia di essere schiacciato dai meccanismi di un progetto di cui ignora il senso, il geografo ci presenta l’inutilità di un’erudizione che non è in grado di conoscere direttamente e che è dunque inevitabilmente ostaggio delle fonti di informazione (gli esploratori) se non addirittura del tutto “manipolabile” nel momento in cui queste ultime fonti risultassero, come spesso accade, prive di etica. Quando il Piccolo Principe scende sulla terra affronta il “mistero” dell’incarnazione. Incontra il serpente, che si occupa del passaggio dimensionale dalla materia allo spirito, e che si offre di aiutarlo quando le circostanze lo renderanno necessario. Trova nel deserto un fiore a tre petali, che potrebbe essere un giglio, a testimonianza del fatto che il Progetto Divino basato sulla tripartizione attende ancora di essere riconosciuto dalla grande maggioranza degli uomini. Sale quindi sulla montagna e conosce il mondo della materia con i suoi meccanismi: “Tutto secco, pieno di punte e tutto salato. E gli uomini mancano di immaginazione. Ripetono ciò che loro si dice (…)” commenta il Piccolo protagonista. Scopre quindi un giardino pieno di rose e si rende conto del fatto che gli uomini, in effetti, “fanno cose”, compiono azioni in quantità, ma le fanno senza la necessaria “qualità”, che è ciò che le differenzia e le rende necessarie . Sarà la volpe a spiegargli come si fa ad “addomesticare” qualcuno, a creare un’apertura verso un altro essere che può far nascere un legame, una necessità reciproca che permetta una conoscenza vera: “non si conoscono che le cose che si addomesticano” gli rivela la volpe. Imparare ad amare comporta quindi un lavoro, c’è una procedura da seguire. Ci sono i “riti”, quelle occasioni che, se organizzate consapevolmente, rendono “un giorno diverso dagli altri giorni ed un’ora dalle altre ore”.
Il mondo delle macchine (i treni veloci) e degli spostamenti inutili non porta a nulla. Soltanto i bambini sono in grado di esprimere rapporti affettivi veri, sono capaci di stupirsi e di esercitare l’immaginazione.
Far crescere la capacità d’amare è l’unica cosa che dia un senso alla vita terrena : “fa bene l’aver avuto un amico anche se poi si muore”, e che è in grado di placare la vera sete: “un po’ d’acqua può far bene anche al cuore” spiega il Piccolo Principe.
Ed ecco allora che, venuto a conoscenza di queste esperienze e condividendole, il narratore, il nostro io ordinario, si commuove. Inizia ad amare il proprio spirito e ad occuparsi di lui e, prendendolo in braccio dice, consapevole della delicatezza del rapporto che si era creato: “mi sembrava di portare un fragile tesoro”. Inizia ad amare i suoi sentimenti elevati: “la sua fedeltà a un fiore”. Inizia a riconoscere che il senso della vita sta nelle cose che si fanno, nel come le si fa e nella capacità di amare gli altri insieme a se stessi. “Da te gli uomini” gli spiega il Piccolo Principe “coltivano cinquemila rose nello stesso giardino (…) e non trovano quello che cercano (…) E tuttavia quello che cercano potrebbe essere trovato in una sola rosa o in un po’ d’acqua”. Si avvicina intanto per il principe-spirito il momento del ritorno nei mondi superiori, che avverrà grazie alla morte data dal serpente che rappresenta l’utilità del male messo al servizio di un disegno dal fine più elevato. Il Principe ritornerà così a quella che è la sua casa lasciando sulla terra il proprio corpo fisico, “la vecchia scorza abbandonata”, che sarebbe solo di ostacolo al suo agire in un’altra dimensione.
Egli porta invece con sé le esperienze fatte, le risposte alle sue domande e gli strumenti (i disegni) che gli permettono di occuparsi del suo pianeta, la parte più elevata della sua anima, e della sua rosa, l’azione umana che diventa divina grazie all’amore. Ed al narratore, il nostro io ordinario, dopo questa straordinaria esperienza, vissuta in un particolare momento di difficoltà, resta la consapevolezza nuova della presenza costante della realtà dello spirito, perché “Quello che è importante” spiega il Piccolo Principe “non lo si vede (…)”. E da adesso in poi per lui sarà facile collegarsi con il suo vero Io, ripercorrendo quel canale amoroso che ha imparato a conoscere per dare un senso unico e meraviglioso alla propria esistenza terrena, perché: “Se tu vuoi bene a un fiore che sta in una stella, è dolce, la notte, guardare il cielo. Tutte le stelle sono fiorite. (…) tu avrai delle stelle come nessuno ha (…) visto che io riderò in una di esse (…) Tu avrai, tu solo, delle stelle che sanno ridere!”.
Link all'articolo originale: https://ilquartore.wordpress.com/2018/05/06/chi-era-davvero-il-piccolo-principe-tracce-per-uninterpretazione-esoterica/ |