https://www.oltrelalinea.news/ 16 Dicembre 2018
Dies natalis Soli Invicti. Il culto del Sole e la nascita del Natale
Natale, dal latino cristiano Nat?le (m), discende da nat?lis un derivato di n?tus participio perfetto del verbo n?sci, nascere. È la seconda festa cristiana più importante, dopo quella della Pasqua in cui si festeggia la morte e resurrezione di Gesù Cristo. Secondo il calendario liturgico della Chiesa cattolica il Natale cade il 25 dicembre, la maggior parte delle chiese ortodosse orientali lo festeggiano invece il 6 o il 7 gennaio. È la festa della nascita, da n?sci appunto, del Salvatore Gesù Cristo, il messia. In verità è sconosciuto il giorno esatto della famosa nascita a Betlemme nella stalla; conosciamo invece molto bene come si è svolta la vicenda grazie ai Vangeli. Perché dunque si festeggia il 25 dicembre? Qual è stato il motivo che ha spinto i cristiani a scegliere questa data? La ragione è semplice: il Natale cristiano si è sovrapposto ad un’altra importantissimia festa , quella pagana del dies natalis Sol Invictus. Sol Invictus, Sole Invitto, era l’appellativo di diverse divinità solari tipicamente orientali come Mitra, Helios o El-Gabal, che finirono per essere identificate in una sola persona, il Sole Invitto appunto, in un processo definito “monoteismo solare”. Tutti i popoli della terra hanno da sempre venerato, amato e pregato il Sole, fonte di vita, luce e simbolo della verità trionfante; le culture mesopotamiche, i popoli mesoamericani, le civiltà del Mediterraneo e di tutto il globo. Spesso il sole era identificato come uno dei membri dei diversi pantheon di divinità, come nel caso di Helios o Apollo per i Greci.
Uno dei primi a venerare il sole come unica divinità è stato il faraone Akhenaton. Costui, intorno al 1400 a.C. istituì la religione di Aton, il disco solare, in contrasto con la religione tradizionale e politeista egiziana. Una rivoluzione, la sua, condannata dalla casta sacerdotale e cancellata dopo la morte del faraone. Benché Mitra o Sol non siano direttamente discendenti della figura di Aton, il culto solare del Sole Invitto ha origine in oriente, dove veniva celebrato con grande solennità. All’interno dell’Impero Romano venivano praticate molte e diverse religioni, la religione tradizionale dell’Urbe, declinata in tutto il bacino del Mediterraneo, si era affiancata a un’innumerevole miriade di dèi, culti e tradizioni. L’esercito fu l’organizzazione e il luogo in cui, più di ogni altro, religioni diverse si incontravano e si influenzavano vicendevolmente. Qui i legionari ispanici militavano insieme a quelli provenienti dalla Siria o dalla Britannia, i cittadini di Roma e della pianura padana combattevano a fianco di unità ausiliare di barbari, ancora senza cittadinanza, che portavano con sé i loro dèi e le loro divinità. Fu proprio nelle legioni che divennero popolari culti orientali come quello di Mitra o del Sole Invitto. Queste divinità infatti rappresentavano la luce che trionfa sulle tenebre, il bene che, ciclicamente deve affrontare e sconfiggere il male. Nella ciclicità del ritorno della luce dopo i mesi di buio autunnali e invernali, veniva raffigurata la lotta eterna del bene e del male. Entrambe le divinità, (Mitra e Sol), sono dette “Invictus”, invitte, così come Marte, il dio della guerra, associato anch’egli ad un evento cosmico: il solstizio primaverile.
Cerimonia del culto di Mitra
Il culto del Sole divenne però principalmente noto a Roma grazie all’imperatore Eliogabalo, che, vista la popolarità trasversale di questa religione, tentò di imporlo a tutti i cittadini dell’impero. Intorno alla prima metà del 200, Eliogabalo non solo costruì un grande tempio sul Palatino dedicandolo a El-Gabal, il dio del Sole della sua città natale, Emesa, ma rinominatolo Deus Sol Invictus,(Dio Sole Invitto), lo innalzò sopra il grande Giove, lo Zeus romano. Ucciso nel 222 da una congiura, la rivoluzione religiosa di Eliogabalo si fermò. Ma non per questo il dio divenne meno popolare fra i soldati e la popolazione. A riportare in auge la divinità solare nell’impero fu l’imperatore Aureliano. Durante il III secolo l’impero aveva rischiato di sfaldarsi , ad oriente e ad occidente intere province si erano dichiarate autonome mentre i barbari premevano alla frontiera e la crisi economica impoveriva il Mediterraneo. L’azione di Aureliano fu vigorosa: cacciò i barbari, riconquistò e riannetté le provincie secessioniste e diede un nuovo impulso all’economia. Serviva ora qualcosa per saldare il nuovo ordine, per affratellare i cittadini dell’impero sotto un unica visione. Aureliano vide nel culto del Sole Invitto, di cui la madre era sacerdotessa, una religione capace di ricompattare l’impero. Il Sol Invictus era infatti non solo trasversalmente popolare in tutto lo Stato, ma la sua identificazione e assimilazione con Apollo, Helios e Giove era molto semplice, se non già presente. Erroneamente poi, numerosi pagani ritenevano che i cristiani venerassero il Sole, rendendo così questa divinità una delle più famose dell’intero mondo mediterraneo. L’imperatore dunque fece venire a Roma i sacerdoti del Dio dalla Siria e ufficializzò il culto facendo costruire un grande altare sul Quirinale.
Durante il 274 consacrò il nuovo tempio e impose il culto del Sole come primo dell’impero, istituì anche la festività del Dies Natalis Soli Invicti, giorno di nascita del Sole Invitto, già largamente praticata in oriente. Questa festa celebrava il momento in cui il sole tornava a splendere sulla terra dopo il solstizio d’inverno. Astronomicamente parlando infatti, durante il solstizio invernale, (21 dicembre), il sole raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale, il buio della notte raggiunge la sua massima estensione e la luce del giorno la minima. Da quel momento in poi, la luce gradatamente ritorna a trionfare sul buio fino all’apice del solstizio d’estate, (21 giugno), quando il giorno raggiunge la sua massima estensione e la notte la minima. I pagani vedevano nel nuovo sorgere del Sole dopo le buie giornate dell’autunno, il trionfo della luce sulle tenebre, del ritorno alla vita dopo la morte delle stagioni fredde. Non solo, così come l’Universo è un tutto ordinato e non caotico, così anche l’uomo deve vivere il suo Solstizio invernale. Deve raccogliersi, deve vivere il negativo e il “buio” dentro di sé per poter ritornare a splendere e a riconciliarsi con sé stesso. L’uomo, qualsiasi sia la sua religione, deve raccogliersi nel proprio centro per poter trovare e far splendere quel fuoco sacro che alberga dentro in ognuno di noi. La decisione di Aureliano ricompattò sì i cittadini dell’impero, ma fu un’altra la religione a trionfare nel tardo III-IV secolo: il cristianesimo. La fede nel falegname della Galilea vinse infatti la competizione fra le grandi religioni del mondo antico e dopo secoli di censura e persecuzioni, divenne uno dei pilastri fondamentali della società romana. L’azione di due imperatori fu decisiva per permettere al cristianesimo di fare il passo definitivo, prima Costantino che cancellò le persecuzioni di cristiani e quindi Teodosio, che nel 380 proibì la religione pagana all’interno dei confini dell’impero. Il passo dal Natale del Sole Invitto a quello di Cristo era dunque vicino.
La prima testimonianza dei festeggiamenti di un Natale cristiano da noi conosciuta è del 354, ancora prima dell’editto di Teodosio, mentre la seconda è proprio del 380 e ci viene tramandata da Gregorio di Nissa. Per quanto possa sembrare strano, un filo rosso unisce le due pratiche religiose e le due festività, un filo di senso e significato ben colto dai primi cristiani. Innanzitutto, benché non direttamente identificato col Sole, il simbolismo teologico Cristo-Luce è caratteristico del Vangelo secondo Giovanni, che mette spesso in evidenza il duello Luce-Tenebra. Il messia, Gesù Cristo, viene pure associato alla luce nelle epistole di Paolo ma già nella Bibbia, e precisamente nel libro di Malachia, l’annuncio del Messia è identificato con l’arrivo di un Sole di giustizia. Non solo, nel primo capitolo del Vangelo secondo Luca, Zaccaria preannuncia a Giovanni Battista che costui andrà “dinanzi al Signore” e che la misericordia di Dio “ci verrà incontro dall’alto come luce che sorge”. Il Sole non è però materialmente identificato con Gesù Cristo, così come facevano i pagani con Sol, è invece una caratteristica spirituale, metafisica, teologica. È il volto di Gesù a promanare luce come il sole, è la sua parola che illumina le nostre menti ed è con il suo aiuto che troviamo la strada. La resurrezione di Cristo poi è una metafora della vita che trionfa sulla morte, del Sole che trionfa sulle tenebre. Il processo che ha visto i cittadini dell’impero romano pian piano traslare la nascita di Cristo nel Dies natalis Sol Invictus è stato dunque un processo organico, fatto con coscienza e in maniera graduale. Lentamente molte tradizioni pagane sono dunque entrate a far parte della ritualità cristiana, che a parte certe pratiche era una religione prevalentemente interiore, personale. Così l’albero di Natale e molti altri elementi che noi oggi associamo con il 25 dicembre hanno invece un’origine pagana o nordico-scandinava. Al giorno d’oggi sono in molti coloro che si divertono a sminuire il cristianesimo e le sue tradizioni, a dire che Giuseppe, Maria e Gesù erano migranti, che il Natale è una festa pagana e che dunque è stupido festeggiare questa tradizione religiosa. Costoro, forse, preferiscono il lato materiale del Natale, ormai identificato da film, serie tv, sponsor pubblicitari e i mass media in generale nel solo arrivo del magico omino della famosa bibita rossa, il rubicondo Babbo Natale. Il Natale è ormai riconosciuto come un momento di ferie, di tredicesima, di regali e di acquisti, di shopping folle e centri commerciale. Bene, a tutte queste persone voglio fare un semplice invito, quello del silenzio. Silenzio, come il silenzio che precede lo scampanellio durante la messa di mezzanotte. Silenzio, come il silenzio dei celebranti pagani durante la solenne cerimonia di rinascita del Sole Invitto e del trionfo della luce sulle tenebre. Invito al silenzio, come il silenzio di cui abbiamo bisogno per riconoscere noi stessi, per entrare in noi, comprenderci e auto-conoscerci, (un consiglio antichissimo quello del Delfico γν?θι σαυτ?ν, “conosci te stesso”). Perché il silenzio e il buio sono il preludio del Sole, della vittoria e del trionfo della luce.
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