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Aspettando il ritorno di Buenaventura Durruti di Gianni Sartori
Nella notte fra il 20 e il 21 novembre 1936 (*) moriva Buenaventura Durruti e con lui le speranze di milioni di oppressi, sfruttati e diseredati. All’epoca forse non ancora del tutto consapevoli della tragedia che si andava profilando per le classi subalterne. Non solo nella penisola iberica, ma su scala planetaria.
Durruti muore. Come a luglio era morto Francisco Ascaso, come nel maggio del ’37 moriranno Camillo Berneri e Andreu Nin. Per mano di boia differenti – certo – ma il risultato sarà identico: soffocare l’ansia di emancipazione degli eterni subalterni loro malgrado, la fame e sete di giustizia degli schiavi salariati e dei popoli forzatamente minorizzati. Durruti muore. A noi rimangono solo le macerie, senza che sappiamo più nemmeno come e cosa ricostruire. «Noi non abbiamo paura delle rovine, sappiamo anche costruire» aveva detto (cito a memoria). Ma forse anche di distruggere e ricostruire abbiamo perso il desiderio. Passa un mese o poco più da quella morte e già nel gennaio 1937 si registrano gli attacchi – per ora a mezzo stampa – da parte degli stalinisti (PSUC soprattutto) contro i libertari (CNT, FAI, POUM…) preludio ai fatti del maggio ’37 (a Barcellona, laTelefonica) e dell’agosto (in Aragona, quando Lister elimina le collettività anarchiche). La definitiva sconfitta della Repubblica nel 1939 non spalanca soltanto l’antro della lunga notte franchista man consentirà alle semenze brune e velenose nazi-fasciste di germogliare, sbocciare definitivamente, radicarsi e proliferare nell’Europa intera. Piante geneticamente modificate. Coltivate, alimentate e concimate col sangue di centinaia di migliaia – poi milioni – di vittime sacrificali fucilate o impiccate. Prima con le sacas iberiche e poi coi massacri, olocausti e genocidi della Seconda Guerra Mondiale.
Muore Durruti. E la notte (negras tormentas, nubes oscuras…) ridiscende cupa e inesorabile sul genere umano ormai alla deriva. Ancora una volta la realizzazione di quel «mondo nuovo che è già dentro di noi e che sta crescendo, anche ora che sto parlando con te» (cito sempre a memoria) veniva rimandata a chissà quando. Almeno – lo spero e lo devo dire – fino all’odierna insurrezione curda in Rojava e Bakur.
Un po’ di storia. Buenaventura Durruti (un cognome basco, tra l’altro, avuto in eredità dal nonno paterno, quello materno invece era catalano) è una delle figure più rappresentative dell’anarchismo iberico. Era nato a Leon nel 1896. Operaio metallurgico, a Barcellona strinse fraterna amicizia con l’operaio panettiere e cameriere Francisco Ascaso. Insieme a Gregorio Jover si dedicarono a una sistematica attività rivoluzionaria anche in America latina (Argentina, Cuba…). Organizzando scioperi e manifestazioni, operando espropri ai danni di entità bancarie ed elargendo sistematicamente il ricavato alle associazioni e ai sindacati anarchici (in particolare per acquistare materiale tipografico per la pubblicazione di testi libertari). Nel 1926 vennero arrestati a Parigi, nascosti in un taxi e armati, lungo il percorso che avrebbe dovuto compiere il re Alfonso XIII. Furono scarcerati dopo una campagna di solidarietà internazionale. Sempre a Parigi, con Ascaso, Durruti volle conoscere di persona l’esule Nestor Makhno. In tale circostanza il rivoluzionario ucraino disse di essere disponibile per la loro rivoluzione quando fosse scoppiata. Purtroppo Nestor morì prima – nel 1934 – per le conseguenze delle gravi ferite e delle sofferenze subite. Allo scoppio della guerra civile – nel 1936 – in Spagna parteciparono attivamente alla sconfitta dei militari golpisti ma Ascaso venne ucciso durante l’assalto del proletariato barcellonese alla caserma Atarazanas (20 luglio 1936). Durruti organizzò poi la sua “Colonna” di miliziani anarchici – fondata sul principio della “disciplina nell’indisciplina” – molto efficace nelle battaglie dell’Aragona (un fronte a egemonia libertaria). Qui, nei villaggi liberati, si costituirono le collettivizzazioni in base ai princìpi del comunismo libertario.
Dopo l’assedio di Saragozza venne invitato dal governo repubblicano a difendere Madrid che stava per capitolare. Durruti partì con alcune migliaia di miliziani volontari (molti cadranno proprio nella battaglia di Madrid) e qui, il 20 novembre 1936, viene ucciso in circostanze che all’epoca furono considerate non chiare. In realtà non dovrebbero esserci ancora ombre sulla reale dinamica del tragico evento. Secondo quanto riferiva Abel Paz, Durruti arriva nella capitale dopo un viaggio massacrante, ma non si concede riposo. Va subito a combattere e muore quasi immediatamente, presumibilmente per un suo errore. Infatti sarebbe sceso dall’auto con il colpo in canna. Un movimento brusco e il contraccolpo avrebbe fatto esplodere l’arma. Sicuramente la sua morte incise negativamente sulla spinta libertaria che inizialmente aveva caratterizzato la sollevazione antifranchista. Da allora la logica bellica – militarista – finì col prevalere (**) Durruti del resto l’aveva intuito – predetto? – quando diceva «alla guerra si diventa sciacalli». Proprio per questo bisognava non perdere tempo nell’organizzare la rivoluzione sociale.
Grandiosi i suoi funerali a Barcellona, raccontati da H.E. Kaminski in “Ceux de Barcelone”.
(*) Una coincidenza: nello stesso giorno moriva – fucilato dai repubblicani in quel di Alicante – José Antonio Primo de Rivera. La data venne poi sacralizzata dal regime. Quando nel 1975 stava ormai per tirare le cuoia, il boia Franco venne tenuto artificialmente in vita per oltre un mese in modo da farlo morire nello stesso giorno del fondatore della Falange, il 20 novembre. Negli anni ottanta la data venne utilizzata simbolicamente dalle squadre della morte parastatali spagnole (in particolare dal GAL) per assassinare alcuni militanti baschi.
(**) In aperta polemica con il decreto della militarizzazione delle milizie (e con quelli che venivano considerati i “cedimenti” di FAI e CNT) nel marzo 1937 alcuni membri della Colonna Durruti (Jaime Balius, Pablo Ruiz, Félix Martinez…) fondarono un gruppo comunista-libertario denominato Los amigos de Durruti. La loro pubblicazione El amigo del Pueblo venne presto dichiarata illegale. Da ricordare l’amicizia e la sintonia tra Jaime Balius e gli esponenti del POUM Andreu Nin e Wilebaldo Solano. A tale proposito, non fu per caso che il comunista Solano – antistalinista e libertario, divenuto membro della Resistenza in Francia – quando venne liberato da un campo di prigionia preferì andarsene con un gruppo di partigiani anarchici piuttosto che con quelli del PCF. Un accorgimento che – diversamente da quanto accadde al mio compaesano “Blasco” – gli consentì probabilmente di salvare la pelle. Negli anni settanta inoltre Solano si oppose alla dissoluzione del POUM e all’entrismo nel PSOE.
Bibliografia minima “La breve estate dell’Anarchia – vita e morte di Buenaventura Durruti” Hans Magnus Enzensberger, Feltrinelli, 1973 “La muerte de Durruti” Joan Llarch, ediciones Aura, 1973 “Buenaventura Durruti” Abel Paz, edizioni La salamandra, 1980 “Quelli di Barcellona” H.E. Kaminski, edizioni Il Saggiatore, 1966 “Pioniere e rivoluzionarie – Donne anarchiche in Spagna (1931-1975)” Eulàlia Vega, edizioni Zero in condotta, 2017 “Anarchia e potere nella guerra civile spagnola 1936-1939”) Claudio Venza, edizioni elèuthera 2009 “Rivoluzione e controrivoluzione in Catalogna” Carlos Semprun Maura, edizioni Antistato 1976 “Protesta davanti ai libertari del presente e del futuro sulle capitolazioni del 1937 di un incontrolado della colonna di ferro”, edizioni Nautilus, 1981 “Omaggio alla Catalogna” George Orwell, edizioni il Saggiatore, 1964 |