|
||
https://www.linkiesta.it/it/ 4 Ottobre 2018
Angoscia per il futuro? Leggetevi “The Game” di Alessandro Baricco, e almeno lo capirete di Andrea Coccia
C'è un breve scritto di Walter Benjamin che parla di un quadro che gli ha regalato un amico, Paul Klee. Il quadro si intitola Angelus Novus e ritrae il volto di un angelo che, per come lo descrive Benjamin, somiglia molto di più alla faccia che abbiamo noi, abitanti di questo periodo storico così complesso e mutevole, piuttosto che agli uomini del suo tempo. Come noi, quell'angelo ha lo sguardo volto al passato; come noi, vede solo macerie dove invece gli uomini del suo tempo vedevano catene di eventi e strutture lineari; come noi, non ce la fa a lasciarsi trasportare via, vuole rimetterle a posto, vuole capirle. Se non può, scrive Benjamin, è perché «una tempesta che spira dal paradiso» lo porta via, «lo spinge irresistibilmente nel futuro». Come noi. Fino ad oggi questa immagine dava conto di due tipi di reazione di fronte al progresso: da una parte, quello degli Apocalittici, ovvero coloro che rimanevano fedeli allo sguardo impaurito dell'angelo anche a costo di risultare luddisti fuori tempo massimo; dall'altra, invece, quello degli Integrati, che tifavano tempesta e che speravano che quell'angelo mollasse la sua presa nostalgica sul passato e si facesse trasportare via, verso le meravigliose sorti e progressive. Ora, forse, abbiamo trovato la terza via. Apocalittici contro Integrati. Questo, in buona sostanza, è anche lo stallo alla messicana in cui gran parte del mondo intellettuale contemporaneo si trova: gridare all'apocalisse o tifare un luminoso futuro? Al di là delle ingenuità che caratterizzano sia l'una che l'altra posizione, questo stallo dava anche conto di un clima del pensiero totalmente controproducente, un clima che sapeva di tifo, di fumogeni e di cori da stadio, di voglia di distruggere invece che di creare. Questo, in altrettanta buona sostanza, è il cul de sac dal quale riesce ad uscire Alessandro Baricco con il suo nuovo libro, intitolato The Game, pubblicato il 2 ottobre dalla casa editrice Einaudi e destinato sicuramente a restare come una testimonianza importante di questi anni così incasinati e così difficili da comprendere anche per noi che ci siamo nati dentro. Non sono di certo tra gli ammiratori di Baricco. Non lo sono mai stato e, quando dieci anni fa uscì I barbari lo stroncai come un libro disonesto, che mi pareva ripetere cose già dette nella prima parte del Novecento, senza aggiungere nulla alla comprensione di qualcosa che stava già accadendo e che invece ora, a distanza di dieci anni, in questo libro c'è tutta. Baricco ha studiato. E si legge. Si legge perché è riuscito a mettere insieme un sacco di intuizioni che serpeggiano da qualche tempo in molte nicchie intellettuali e a renderle comprensibili. Si vede, e si vede che lo sa. E lo scrive: «alla fine abbiamo troppo bisogno di una sintesi leggibile per attardarci troppo nel culto della precisione». Per i più giovani, probabilmente, i primi due capitoli sembreranno peccare di riduzionismo, somiglieranno alle istruzioni testuali di un device che loro hanno già capito solo tenendolo in mano e giocandoci due minuti. È vero, ed è lo stesso Baricco che lo ammette dopo un po' — «Se tornate ai primi due capitoli e li rileggete vi sembreranno quasi preistorici» —, ma abbandonare alle prime difficoltà sarebbe un errore e uno spreco, perché Baricco, a differenza di alcune delle sue ultime opere romanzesche, questa volta ha qualcosa di dire c'è l'ha sul serio: ha trovato la terza via. Oltre l'apocalisse e oltre l'integrazione. Se ci fosse una telecamera tra gli angeli forse ora vedremmo Umberto Eco che si strofina le mani a sentire robe del genere, ma realmente in The Game ci sono tante delle intuizioni intellettuali che ci servono per affrontare il futuro senza fuggirlo come l'angelo di Benjamin, ma anche senza agognarlo acriticamente come l'ultimo dei neopositivisti. C'è tutto, o quasi: dalla meravigliosa intuizione di invertire causa ed effetto e vedere finalmente la rivoluzione digitale come figlia del mondo che l'ha preceduta piuttosto che come semplice causa di una rivoluzione mentale e comportamentale nel mondo che si è ritrovata a cambiare, fino a quella, onesta e tragica, di aver capito che l'onda di disruptive del digitale, nata dalle menti anarco-nerd di gente che voleva spazzare via i nuclei di potere e le rendite di posizione del Novecento, lungi dal disciogliere le classi e rendere tutti uguali, è al contrario foriera di nuove dittature di classe, di nuove rendite di posizione, di nuove élite. Con questo libro Baricco manda in pensione il Novecento, almeno a livello intellettuale. Lo fa prendendosi le sue responsabilità e riconoscendosi élite — «post-verità è il nome che noi élite diamo alle menzogne quando a raccontarle non siamo noi ma gli altri. In altri tempi le chiamavamo eresie» — ma lo fa anche trovando e finalmente, da filosofo, indicando una strada percorribile per il mondo intellettuale umanista, che fino a ieri non sapeva effettivamente più dove sbattere la testa per riuscire a non fare la figura della mandria di luddisti. È tutto in una frase, questa: «Non è il Game che deve tornare all’umanesimo. È l’umanesimo che deve colmare un ritardo e raggiungere il Game». È una intuizione fondamentale. Perché il Game lo hanno sognato, elaborato e poi creato degli ingegneri, gente che ha bisogno di regole, gente pratica che per cambiare la testa della gente si limita a cambiargli gli strumenti, ma gente che rappresenta soltanto una parte del nuovo grande cuore che potrebbe avere la prossima modernità umana. Un cuore che ha bisogno di due ventricoli e che, oltre a quello digitale della velocità e della superficialità, ha bisogno anche di quello analogico della lentezza e della profondità. Due ventricoli che sembrano in contraddizione, certo, ma non molto di più di quelli che fanno confluire nel medesimo organo i flussi di sangue opposti delle vene e delle arterie. Se fino a qualche anno fa pensavamo di dover risolvere la contraddizione per superarla, oggi forse abbiamo una prova in più del fatto che quello contraddizione bisogna semplicemente avere il coraggio di assumerla, ritornando umanisti alla fine dell'umanesimo. Solo così, aggiungo io, potremmo salvare il Game, che ormai è il mondo, dalla deriva che ha preso: una specie di malattia autoimmune i cui sintomi sono cose come la legge sul Copyright, per esempio, le leggi americane contro la Net Neutrality, tra i cui effetti c'è anche quello di trasformare ciò che nella testa dei padri fondatori era nato libero, in una prigione. Una prigione fatta di cose che dovremmo proprio avere il coraggio di abbandonare nel Novecento, cose come gli orgogli, i confini e gli egoismi.
|