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mercoledì 26 settembre 2018

 

Perché il diverso è più forte: omofobia, stereotipi, potere e autoaffermazione

di Istituto Italiano di Sessuologia Scientifica

L’omofobia, insieme al sessisimo, rappresentano un tassello rivelatore di una società fondata su stereotipi molto forti che affondano le loro radici nella negazione della sessualità in tutte quelle forme che esulano dall’unica possibile per il senso comune, ovvero il coito finalizzato alla procreazione. Il perché potrebbe risiedere nel fatto che la sessualità è foriera di un’energia psichica talmente importante e di difficile gestione che a livello sociale costituisce un rischio nei confronti dell’ordine costituito e quindi della gestione del potere. Tuttavia, se affrontate in modo positivo, le persone che conducono esistenze basate su scelte di vita “non convenzionali” hanno numerose opportunità di sviluppare personalità e risorse spesso fuori dal comune. Negli ultimi decenni si sono moltiplicati gli studi a riguardo: “Coloro che appartengono a una minoranza sessuale sono più inclini a imbarcarsi in un processo di esplorazione di identità che può estendersi anche ad altre sfere della personalità. Noi ipotizziamo anche che i partecipanti che si identificano in una minoranza sessuale sono più inclini a conseguire risultati più alti nella graduatoria della conquista di un’identità globale di coloro che sono eterosessualmente identificati.” (Konik, 2004)

Il termine “eterosessualità compulsiva” è stato coniato nel 1980 da Adrienne Cecile Rich nel suo articolo “Compulsory Heterosexuality and Lesbian Existence” per criticare la società che a suo parere dà per scontata l’eterosessualità costringendo la donna ad interpretare un ruolo sociale e a fare delle scelte in modo coatto e inautentico. Per eterosessualità compulsiva si intende appunto un’eterosessualità non scelta liberamente, ma inoculata forzatamente dalla società. Quindi, dato per certo che essa sia la naturale inclinazione, tutto ciò che non può rientrare sotto il vessillo dell’eterosessualità è visto come deviante, anormale e spesso aberrante. Lungi dal voler trattare il concetto espresso dalla Rich e ripreso da Konik e Stewart, si vuole qui sottolineare come l’insicurezza e l’instabilità psicoemotive possano oggettivamente creare degli individui strenuamente attaccati a delle norme sociali spesso e volentieri imposte da un senso comune che affonda le sue radici nella grettezza, nell’ignoranza, e talvolta nella superstizione. Quello che emerge dall’eterosessualità compulsiva è proprio questo coercitivo bisogno di allinearsi a regole date senza un percorso di consapevolezza interiore, anche sessuale. L’eterosessualità in questo caso è una scelta obbligata per essere nella società meritevoli e non biasimati. L’omosessualità in questo panorama si pone dunque come istanza rivoluzionaria e scandalosa, essendo una forma di sessualità non convenzionale, e viene vissuta come un attacco alla decenza, al pubblico pudore e per chi ha delle tendenze omosessuali non risolte diventa un pericolo costante di messa in discussione della propria persona fin nelle fondamenta. Quindi l’omofobia è una forma di difesa per individui profondamente insicuri. L’omosessuale con le sue scelte di vita e con l’accettazione della sua sensibilità e dei suoi lati “femminili” diventa qualcosa che attenta all’integrità del maschio come genere in toto, e dunque è qualcosa a cui va fatta la guerra:

“Come è d’uso nella letteratura contemporanea, l’omofobia è un vasto repertorio di attitudini agite dagli eterosessuali in cui paura e disprezzo scaturiscono nei confronti di qualsiasi cosa o persona connessa all’omosessualità. Quale gamma di atteggiamenti negativi, essa è atta a controllare l’identità maschile nel dettare legge su ciò che è accettabile e quindi incorporarlo nell’identità virile, così come su ciò che deve essere evitato. In breve, la mascolinità si definisce sia attraverso una serie di tratti mascolini (da interiorizzare) sia attraverso la femminilità (che deve essere evitata). […] L’associazione tra maschi omosessuali e donne diviene talmente forte nella nostra cultura da collegare l’omofobia alla misoginia.” (Klein, 1993)

Sempre a tale proposito Wolfgang Roth nel suo libro “Incontrare Jung” presenta una chiave di lettura dell’omosessualità e dell’omofobia molto interessante e che si ricollega direttamente a quanto finora affermato:

“Finché l’omosessuale viene definito prevalentemente per il suo desiderio e la sua esperienza sessuale – e in questo modo si comprende solo una parte della sua personalità – egli si presenta in primo luogo come portatore di proiezione per gli aspetti sessuali (difficilmente si avrebbe all’idea di definire le persone eterosessuali principalmente in base alle loro esperienze sessuali). La sessualità si presenta come “sedimentazione” nell’omosessuale al quale si possono attribuire pulsionalità, promiscuità, potenzialità di seduzione, nonché pratiche sessuali non ortodosse. Poiché la sessualità vissuta dall’omosessuale non può essere sublimata a favore di valori moralmente più “elevati”, ma è ciò che è ovvio, ovvero desiderio gioioso, incontro e soddisfazione a livello di linguaggio del corpo, essa si presta in modo particolare alla proiezione di aspetti d’Ombra di natura sessuale, significativi per la sessualità maschile non esclusivamente per l’omosessuale. Un altro motivo inconscio dell’omofobia è costituito dalla messa in discussione dell’ideale di figura maschile coltivato nella cultura occidentale. Il rapporto tenero e affettivo tra due uomini guidato dall’erotismo e dall’attrazione, provoca la paura dei propri desideri di incontrare altri uomini al di là del confronto, della concorrenza, della rivalità e dell’aggressività. In realtà il rifiuto e i sentimenti di odio nei confronti degli omosessuali crescono con la percezione e l’attribuzione di comportamenti che vengono tradizionalmente classificati come passivo-femminei. Anche la psicoanalisi ha quindi contribuito a creare l’omosessuale “effeminato”, caratterizzato da una mancanza permanente di mascolinità: Jung parla di identificazione con l’Anima. Nell’ambito della propria individuazione come “outsider” e svincolato da ruoli predefiniti, l’omosessuale potrebbe realmente avere un margine d’azione più ampio per scoprire e integrare il suo potenziale femminile, ovvero le sue parti di Anima, essendo meno soggetto al postulato che prevede l’assunzione di una Persona “maschile” […] Gli omosessuali, con le loro relazioni e stili di vita alternativi, non si adattano ai ruoli dominanti, che garantiscono sicurezza, e alle regole collettive che ne derivano. Essi determinano il superamento e la flessibilità dei ruoli, provocando uno sconvolgimento dell’ordine in un sistema rigido, determinato dalle categorie “maschile-femminile”, “attivo-passivo”, “superiore-inferiore”, ovvero dai tratti distintivi di Anima e Animus.” (Roth, 2005)

In fondo, alla base di tutto questo, c’è la gestione del potere: dicotomizzare vuol dire creare un giusto e uno sbagliato, e tutto ciò che non rientra nel giusto è non previsto e, dunque, necessariamente sbagliato e va perseguito, bloccato, limitato. Affrontare una società che troppo spesso solo apparentemente, dopo le lotte americane per l’emancipazione sessuale degli anni 60, 70 e 80, è tollerante verso tutto ciò che è diverso, richiede forza e coraggio, perché spesso l’apertura mentale dei nostri giorni è solo di superficie.

“Se tuttavia molti omosessuali hanno trovato nei decenni scorsi un’identità e uno stile di rapporto e di vita soddisfacenti, ciò da un lato è una dimostrazione delle forti forze archetipiche che sono alla base dell’individuazione omosessuale. Nello stesso tempo indica che lo sviluppo omosessuale racchiude, al di là dell’ordine di valori, preziose opportunità per realizzare le proprie possibilità di vita. Il ragazzo che è stato rifiutato dal gruppo di pari (ragazzi della stessa età uniti da interessi simili) e dal proprio padre perché ha mostrato uno scarso interesse per le zuffe aggressive, le partite di calcio e altri modelli di comportamento “maschili”, soffrirà enormemente il rifiuto, l’esclusione, la solitudine e il senso di non appartenenza. Tuttavia, nella sua posizione di “outsider”, egli ha anche la chance dell’introversione, che gli consente di riflettere su se stesso e sui propri desideri. Non avendo la possibilità di identificazione, ha l’opportunità di una propria autodeterminazione al di là di una Persona rigida e, nel suo conflitto con l’ideale maschile al quale gli si chiede di adeguarsi, ha l’opportunità di scoprire precocemente i suoi aspetti da Anima e di integrarli nella sua futura personalità” (Roth, 2005)

Roth cerca di spiegare come il percorso dell’individuo omosessuale, non potendo abbandonarsi ad una routine comportamentale “classica” e “automatica”, essendo costretto a un precoce percorso di individuazione e di auto-scoperta, può facilmente condurlo alla consapevolezza e a una personalità più coerente e integrata, poiché nulla può essere affidato ad una pigra e superficiale emulazione di ciò che, comunemente, “si fa così”.

Questo è paradigmatico del fatto che, probabilmente, è proprio nell’educazione all’ introspezione, a un’alfabetizzazione ai sentimenti e al loro riconoscimento, alla conoscenza di sé e a una maggiore apertura mentale, che ci si può abbandonare a un vero incontro con l’altro, senza auto-relegarsi a un immaginario maschile e femminile ottuso e senza apertura a una vera condivisione affettiva.

In questo senso, per uomini che degli attributi maschili assumono soltanto superficiali e caricaturali aspetti – come ad esempio culturisti e vigoressici -, omosessuali e donne sono più o meno sullo stesso piano: quello che deve essere combattuto per essi è il creativo e l’imprevedibile, l’indomabile e ingestibile mondo del “Femminile”, perché essi non hanno gli strumenti per affrontarlo in quanto questo presuppone la sicurezza e il coraggio di mettersi in discussione nell’incontro con il “necessariamente” diverso.

Probabilmente è sempre nella formazione e nell’educazione e dunque nella scuola in primis e poi in percorsi individuali e di gruppo, laddove necessario, che si dovrebbe agire in primo luogo per formare individui e quindi cittadini più consapevoli e tolleranti e allo stesso tempo per permettere a ciascuno di “ se stesso” senza stigmi sociali.

 

Tirocinante: Giorgio Carducci

Tutor: Fabiana Salucci

 

BIBLIOGRAFIA

Freud, S. (1905). Tre saggi sulla teoria sessuale. Boringhieri, Torino.

Klein, A. M., Little Big Man, Bodybuilding and Gender Construction, New

York, State University Press of New York, 1993.

Konik J., Stewart A., “Sexual Identity Development in the Context of Compulsory

Heterosexuality”, Journal of Personality, Volume 72, Issue 4, 2004.

Lasch, C. L. (1979) The culture of narcissism. Norton, New York.

Marcia, J. E., Ego Identity, New York, Springer-Verlag, 1993.

Rich, A, “Compulsory Heterosexuality and Lesbian Existence”, Signs

Vol. 5, No. 4, Women: Sex and Sexuality (Summer, 1980), pp. 631-660.

Roth, W., Incontrare Jung, Roma, Magi Edizioni, 2005.