Da un racconto di Mahmud Darvish.
Al tramonto, Kamal remò con rinnovata energia. Quando arrivò vicino alla riva, la colomba gli puntò addosso i suoi riflettori. Ci volle del tempo perché Kamal capisse di essere circondato dalle motovedette, capisse che in ogni angolo di mare c’erano fucili che lo prendevano di mira, capisse che ad abbagliargli gli occhi non era la colomba. L’onda si increspò. Il cuore si increspò. “Hai armi da fuoco?” “Ho una nostalgia che mi brucia” “Di dove sei?” “Della colomba.” “Cos’è questa colomba?” “Haifa” “Chi ti manda?” “Un filo di sangue” “Quanti anni hai?” “L’età di un’onda che prima di perdersi va e viene” “Dov’è che stai?” “A Tiro.” “Cosa ci fai?” “Fabbrico divinità.” “Come si chiamano le tue divinità?” “La colomba.” “Sei un Fedayyin?” “No.” “Cosa vuoi?” “Voglio seppellire il mio cadavere sotto il collare della colomba. Voglio farlo con le mie mani. Le guardie costiere non gli credettero, non lo compresero. Pensarono che stesse prendendo tempo. Salirono, con molta cautela, sulla sua barca. Lo legarono, lo spogliarono. Non trovarono nulla, ne armi ne carta d’identità. Gli chiesero se fosse un pescatore che aveva perso la sua rotta. Rispose:”No, io non perdo mai la rotta. Conosco bene la colomba e sono venuto a vederla”. Non lo compresero. Erano di Haifa anche loro, ma non sapevano che Haifa è una colomba.”Il succo della storia è che vuoi vedere una colomba?” “Si.” “E allora te la facciamo vedere noi la colomba.” Gli inchiodarono mani, piedi e spalle al legno della barca. “Resta qui a guardare,” gli dissero. “Ce l’hai davanti agli occhi, la colomba.” Perdeva sangue. La colomba diventava sempre più grande, sempre più piccola. Una settimana più tardi, sulla spiaggia di Tiro, nei pressi dello scoglio da cui Kamal aveva guardato la colomba, il mare restituì la barca e il suo cadavere. E’ questo il mare? Il mare è questo. Mahmud Darwish |