http://ww.jornada.unam.mx/ https://comune-info.net/ 24 ottobre 2017
La fine delle società democratiche di Raúl Zibechi Traduzione di Daniela Cavallo
Perché in America, dagli Usa all'Argentina, è emersa una nuova destra tanto diffusa in modo capillare quanto reazionaria e così incapace di dialogare che ha lacerato il tessuto sociale? Trump è la conseguenza, non la causa
Il sistema di dominio che oggi determina le sorti del pianeta sta andando in pezzi, una delle conseguenze più visibili e drammatiche, dalla prospettiva latinoamericana, è la rottura delle società, la profonda e brutale polarizzazione che si vive nei principali paesi del continente. La parte che sta in alto e buona parte di quella che sta in mezzo, più o meno la metà della popolazione, si trincerano nei propri privilegi e proteggono la loro sicurezza, la salute e l’istruzione che possono pagarsi. Proteggono, con ogni mezzo, soprattutto la “loro” democrazia (a cominciare da quella elettorale), la stessa che invece per gli altri, los de abajo, quelli che stanno sotto, vede erodere rapidamente ogni sua base culturale e politica. Se l’espandersi dell’estrattivismo e di quel che gli zapatisti chiamano Quarta guerra mondiale ha cancellato la società dei diritti, noi che vorremmo farla finita con quel sistema, e non sappiamo bene come fare, non dovremmo forse adattarci a questa nuova realtà e creare nuove strategie autonome?
Scena uno: Alcune settimane fa, in un centro culturale della località di Munro, nella zona nord di Buenos Aires, è stata presentata la Orquesta Típica Fernández Fierro, uno dei migliori gruppi musicali di tango dell’odierna Argentina. A un certo punto, verso la fine del recital, uno dei 13 musicisti ha preso il microfono per dire: “Vogliamo che ricompaia Santiago Maldonado”. La metà del pubblico, di circa 500 persone, se ne è andata dal locale con grida e insulti contro i musicisti. Sono usciti di colpo, “come se ci fosse stata una molla nelle poltrone”, secondo uno dei componenti del gruppo. Tra gli insulti, hanno finito per ascoltare qualcosa che li ha lasciati perplessi: “Voi avete rotto tutto e noi ora lo dobbiamo pagare”. Quella brutale reazione si è verificata perché chiedevano [la riapparizione] in vita di un giovane solidale con i mapuche, fatto sparire dalla Gendarmeria.
Scena due: La mostra Queermuseu-Cartografías de la diferencia en el Arte Brasileño, che era in scena da un mese nel centro Santander Cultural di Porto Alegre, è stata annullata dalla banca che la sponsorizzava per la tempesta di rimostranze che ha ricevuto sulle reti sociali. I critici accusavano la mostra artistica di “blasfemia” e di “apologia della zoofilia e della pedofilia”. Si trattava di 270 opere di 85 artisti che difendevano la diversità sessuale. Le critiche provenivano principalmente dal Movimiento Brasil Libre (MBL) che ha svolto un ruolo importante nella caduta del governo di Dilma Rousseff, convocando manifestazioni con milioni di partecipanti. Come segnala la cronaca, si tratta di “un gruppo conservatore, nato nel 2014, che si è rafforzato con la svolta a destra della società brasiliana”. In un comunicato, (il centro) Santander ha chiesto di riflettere “sulle sfide che dobbiamo affrontare in rapporto alle questioni di genere, di diversità e di violenza, tra le altre cose”. Ma la minaccia del boicottaggio da parte del MPL ha potuto più di qualsiasi ragionamento.
Se una banca multinazionale e una famosa orchestra vengono accusati in tale modo, si può immaginare il livello di aggressività che sopportano i settori popolari. In merito a questo punto vorrei riflettere su ciò che considero come l’erosione delle basi culturali e politiche delle democrazie, davanti alla brutale polarizzazione sociale che si vive nei principali paesi della regione.
Il primo punto consiste nell’osservare la profonda spaccatura sociale esistente, che si aggrava con il modello estrattivo e con la quarta guerra mondiale in corso. Una parte delle società ha optato per trincerarsi nei suoi privilegi, di colore e di classe, che si riassumono nel vivere in quartieri consolidati dove non manca l’acqua e le case sono sicure. Questo settore comprende circa la metà della popolazione, quella che ha accesso all’istruzione e alla salute perché può pagarsele, quelli che hanno un impiego mediamente ben remunerato ma soprattutto stabile, quelli che possono viaggiare anche in aereo, dentro o fuori dei loro paesi. Sono i cittadini che hanno diritti e che sono rispettati come esseri umani.
Il secondo punto è che la democrazia elettorale ha senso solamente per questo settore, anche se quelli che ne fanno parte non sono gli unici che si recano alle urne. Possono scegliere i candidati che li rappresentano, che di solito hanno la pelle dello stesso colore (in genere maschi bianchi), che hanno fatto studi universitari, sono riconosciuti e stimati dai mezzi di comunicazione, che generosamente aprono loro i propri spazi. Non è vero che in América Latina non esiste la democrazia. È una democrazia su misura della parte “integrata” della popolazione. Ci troviamo di fronte a due società che non si riconoscono. I media argentini sostengono che quelli che chiedono dove si trova Santiago Maldonado “ci hanno dichiarato guerra”. O peggio, i grandi media che si dicono “rispettosi” della democrazia, equiparano i mapuche con lo Stato Islamico.
Il terzo punto, è il feedback tra il potere politico e la società. Di solito si sostiene che questa parte di destra e conservatrice della società, sferra l’offensiva quando le destre sono governo. In parte è vero. Ma è anche vero che l’attivismo di questo settore è quello che ha portato le destre al governo, soprattutto in Brasile e in Argentina. Penso sia necessario chiedersi perché è emersa una nuova destra capillare tanto reazionaria, così incapace a dialogare che ha lacerato il tessuto sociale, dagli Stati Uniti fino al Sudamerica. Trump è la conseguenza, non la causa. La causa risiede nel modello estrattivo e nella quarta guerra mondiale. Quando il modello è stato amministrato dal progressismo, questa destra emerge con ancora maggiore intransigenza, perché detesta i poveri con i quali spesso deve condividere i “suoi” spazi. Possiamo dire che ci troviamo davanti a classi medie funzionali alla quarta guerra mondiale, disposte a schiacciare los de abajo senza indugi.
Il quarto punto, infine, siamo noi, che vogliamo sconfiggere il capitalismo ma non sappiamo bene come farlo. La prima cosa è aver chiaro che il “sistema” si sta disintegrando e una delle sue conseguenze è la rottura della società. Quelli in alto e quelli in mezzo si proteggono, noi, los de abajo, non abbiamo posto nelle loro scuole né nei loro ospedali, né nei loro media né nelle loro urne elettorali. Questo non vuol dire che non reclamiamo, non esigiamo, non negoziamo.
Quando protestiamo, possiamo farlo perché speriamo realmente che ci venga dato ciò che ci spetta, oppure, come pedagogia politica, per mostrare ai “nostri” i limiti del sistema. Perché sì, è vero: esiste un “noi” e un “loro”, come hanno sempre pensato con chiarezza gli operai delle industrie fino, diciamo, all’ultimo terzo del secolo scorso. Se giungiamo alla conclusione che non esiste più “una” società dei diritti, le nostre strategie devono adattarsi a questa nuova realtà. Dobbiamo creare una “nostra” strategia, con nostre regole di gioco, nei nostri territori, perché le basi sociali e materiali delle democrazie sono state erose da questo modello di guerra e di spoliazione. . |