http://www.mediacomunitaeritrea.it/ 30 dicembre 2016
George Soros e la sua Tangentopoli Mediatica in Italia By Daniel Wedikorbaria
A questo punto la domanda sorge spontanea, perché l’Eritrea unisce in un trio un prete, un giornalista ed un avvocato? Cosa hanno in comune questi tre personaggi? La risposta quanto mai sconcertante è: la OSF (Open Society Foundations) di George Soros. … mi scuso con i giornalisti che non sono nella lista
Domanda: perché l’Eritrea unisce in un trio un prete, un giornalista ed un avvocato? Cosa hanno in comune questi tre personaggi? Risposta: George Soros
È Twitter baby! È una brutta sensazione, quasi di una pugnalata alla schiena, quella che provi quando seguendo l’hashtag Eritrea su Twitter capiti su un profilo di cui sei già follower e scopri che non puoi più accedervi perché ti appare la scritta: “@X ti ha bloccato, perciò non puoi né seguire né leggere i Tweet di @X”. Questo strumento di Twitter è discutibile ma legittimo, è anche “democratico” perché chiunque può bloccare chicchessia. Il problema nasce quando a bloccarti è uno che, in maniera sistematica, parla male del tuo Paese e tu che vorresti dire le tue ragioni non ne hai più la possibilità. Con questa opzione lui può continuare a sparlare liberamente raccontando menzogne e tu non puoi dirgli niente. È Twitter baby!
Finora sono stato bloccato da insospettabili personaggi come Sheila Keetharuth, relatore speciale sull’Eritrea, che avrebbe il dovere di ascoltare tutte le voci eritree per le sue indagini di “violazioni dei diritti umani”, compresa la mia. La mia colpa è stata quella di aver scritto un lungo articolo dal titolo: “La Santa Inquisizione di Sheila K.” che non deve essere stato di suo gradimento. Eppure non sono mai volgare, non insulto le persone, mi ritengo una persona ben educata e predisposta al dialogo. Chi mi blocca, invece, lo fa perché non accetta un confronto o, semplicemente, non vuole essere sbugiardato. Vorrebbe continuare a scrivere sull’Eritrea senza essere smentito.
Poi ci sono quelli come Martin Plaut che non temono il fatto che tu possa conoscere molto meglio di loro il tuo Paese o semplicemente non gliene frega niente di twittare una vecchia foto di migliaia di mussulmani albanesi che pregano per strada durante la celebrazione dell’Aid al Adha e ci scrive sopra: “Numerosi eritrei manifestano a Ginevra contro il regime e in sostegno della Commissione d’Inchiesta dell’ONU”. Agli eritrei che assieme a me lo contestavano lui ha risposto pigiando il tasto Blocca. Anche il suo amico e collega belga Leonard Vincent, famoso anti-eritreo dal linguaggio scurrile, vanta una lunghissima lista di cittadini eritrei “silenziati” su Twitter. Gli ho solo chiesto quanti eritrei avesse bloccato fino a quel momento per meritarmi l’epiteto di: “Fascist supporter! Sostenitore dei fascisti!” Trovo quantomeno bizzarro che un bianco definisca fascista un governo africano e subito dopo, poco democraticamente, mi riduca al silenzio!
In Italia, invece, ho colto in flagrante la scrittrice somala Igiaba Scego mentre ripeteva come un mantra le menzogne di Plaut e di Vincent sull’Eritrea. Le ho fatto notare che avrebbe potuto dedicarsi con profitto alle sue tre Somalie e ai poveri somali in mano ai clan tribali, ai signori della guerra e ai governanti fantocci e servi dell’Occidente. Igiaba non ha esitato un attimo a bloccarmi e ha continuato imperterrita a giudicare e sentenziare sull’Eritrea. Evidentemente la fortunata Igiaba oramai si sente più italiana che somala altrimenti avrebbe avuto solo che da piangere per il suo paese invece di preoccuparsi per i diritti umani degli eritrei! Nonostante sia un’orgogliosa discendente dell’aristocrazia somala allontanata da un governo comunista lei scrive per l’Espresso, l’Internazionale e il Manifesto “il quotidiano comunista” che arriva persino a cancellare i miei commenti sotto diversi suoi articoli sull’Eritrea presi, badate bene, da siti online etiopici e tradotti in italiano senza che ne sia stata provata la loro veridicità e attendibilità. Quando la redazione ha capito che i lettori andavano prima a leggere i miei commenti e poi forse l’articolo hanno deciso di violare la loro deontologia professionale e quella stessa libertà di stampa di cui si riempiono tanto la bocca quando accusano l’Eritrea. “Il suo commento è stato cancellato” è peggio del “Il suo commento è in attesa di moderazione”.
Quell’erede del Colonialismo italico L’ultimo a bloccarmi su Twitter in ordine di tempo è stato Vittorio Longhi, un giornalista MSM (main stream media) che scrive per la Repubblica, per il New York Times e per il Guardian. Mi ha “democraticamente” bloccato perché continuavo a pressarlo chiedendogli come abbia fatto a importare in Italia Progressi.org il franchising niente po’ po’ di meno che dell’americana MoveOn.org, una scatola magica per fare campagne elettorali o petizioni online come Change.org e Avaaz. Longhi l’ha battezzata Progressi, e che progressi! Il giornalista di la Repubblica scrive: “Progressi, l’Italia in movimento, è un’organizzazione che fa mobilitazione online e sul territorio, per avviare un cambiamento progressista dell’economia, della politica e della società.”
Vittorio Longhi si definisce “Italian of Eritrean origin, italiano di origini eritree” e per dimostrare il suo legame con l’Eritrea promuove su Change.org una petizione contro il suo sviluppo denominata: “Eritrea Libera”. Nella presentazione scrive: “Ho sempre avuto un’attenzione particolare all’Eritrea, la terra di mio padre e dei miei nonni”. Difatti, ai tempi del Colonialismo, suo nonno possedeva in Eritrea una miniera d’oro che lui non ha più il diritto di reclamare. Ma poiché questa petizione su Change.org, nonostante la benedizione di Don Mussie Zerai e l’appoggio della sua Agenzia Habeshia, non aveva riscosso successo Longhi si è recato in America e ne è tornato con la sua Progressi.org per tentare una seconda petizione pur di impedire all’Eritrea di attingere ai finanziamenti UE per lo sviluppo denominati EDF e destinati a vari paesi del terzo mondo sulla base degli Accordi di Cotonou. L’ha chiamata: “Rifugiati: l’UE non dia soldi alla dittatura eritrea.” Stavolta a dargli manforte tra i promotori c’è anche la firma dell’Avvocato Anton Giulio Lana, Segretario Generale UFTDU (Unione forense per la tutela dei diritti umani).
A questo punto la domanda sorge spontanea, perché l’Eritrea unisce in un trio un prete, un giornalista ed un avvocato? Cosa hanno in comune questi tre personaggi? La risposta quanto mai sconcertante è: la OSF (Open Society Foundations) di George Soros. Per chi ancora non lo sapesse George Soros è il responsabile delle rivoluzioni colorate e delle primavere arabe ed è dietro ai vari regime change che stanno devastato mezzo mondo (vedi Libia e Siria) e che i giornalisti italiani continuano amabilmente a chiamare “filantropo” per poter continuare a ricevere i suoi doni ingannando la propria coscienza. Sul sito dell’Unione forense per la tutela dei diritti umani si trovano dei progetti finalizzati a coinvolgere la società civile nei meccanismi di protezione internazionali in tema di discriminazioni razziali e di libertà di stampa finanziati con il contributo della OSF. Don Mussie Zerai, un sacerdote che dirige un’agenzia stampa chiamata Agenzia Habeshia assieme al vecchio Emilio Drudi che ne cura l’editoriale, da un decennio è impegnato a fare da pool factor all’immigrazione clandestina e più volte si è battuto per chiedere al Governo Italiano e all’Europa l’Open Corridor, ossia dei corridoi umanitari in modo che arrivino sempre più migranti. “Open, aperto” è il marchio di George Soros, è la sua filosofia di vita.
Don Mussie è anche tra i fondatori del Comitato 3Ottobre nato per promuovere l’idea sorosiana che recita: “Proteggere le persone non i confini”. OSF scrive nel suo sito: “Lavoriamo con gruppi di attivisti, come il Comitato 3Ottobre-Accoglienza istituito da rifugiati e giornalisti a seguito della tragedia di Lampedusa nel 2013 per difendere i diritti dei migranti e dei richiedenti asilo. Sosteniamo progetti giornalistici come la produzione di sei film della redazione italiana Internazionale per documentare i pericolosi viaggi dei migranti alle frontiere dell’Europa.” Nonostante l’ideologia “progressista” di Soros andasse in conflitto con gli interessi della Chiesa cattolica, vedi le unioni civili e i LGBT o la legalizzazione della droga, grazie alla presenza di Don Mussie gli organi mediatici ecclesiastici come Avvenire, Famiglia Cristiana, Caritas Diocesana, Africa Rivista, bimestrale gestito da Padri bianchi missionari d’Africa, ecc. hanno invece fatto da megafono e promosso le petizioni contro l’Eritrea. Ed è la prima volta che delle testate cattoliche si oppongono agli “aiuti occidentali” destinati all’Africa. Ecco l’elenco di alcuni giornali online che hanno promosso la petizione: la Repubblica, Huffingtonpost, Redattore Sociale, Progressi, Corriere della sera, Internazionale, ecc. Tornando a Longhi: “Progressi è il partner italiano della rete internazionale OPEN”. Open come la OSF! Tra le organizzazioni che fanno parte di questa rete ci sono MoveOn negli Stati Uniti, GetUp! in Australia, Campact! in Germania e 38Degrees in Gran Bretagna, tutte legate a Soros. “Con Progressi puoi proporre e lanciare una campagna in pochi minuti. Mandaci la tua idea di petizione” è scritto a caratteri cubitali nel sito e qualcuno ha pensato bene di lanciare la petizione: “Fuori George Soros e la sua Open Society Foundations dall’Italia”. Ma non ha avuto successo. Lo staff di Progressi ha definito la campagna inappropriata motivando la proposta di petizione “non coerente con i contenuti della piattaforma”. Elementare: George Soros non avrebbe potuto promuovere una petizione contro sé stesso! Nel frattempo Vittorio Longhi continua a chiedere agli italiani di firmare petizioni improbabili e improponibili come per esempio quella che diceva: “Tra poche settimane Donald Trump potrebbe essere eletto presidente degli Stati Uniti, uno dei Paesi più potenti al mondo. Solo l’idea ci fa paura (…) Abbiamo deciso di inviare un messaggio agli oltre 20 milioni di italoamericani, che rappresentano circa il 7 per cento della popolazione statunitense (…) puoi aggiungere adesso il tuo nome all’appello “Italoamericani, non votate Trump!”. Il 14 dicembre 2016, nel suo resoconto annuale Longhi scrive: “In un anno abbiamo avviato più di 30 campagne, a cui hanno aderito oltre 106mila persone, 220 volontari e 500 sostenitori attraverso donazioni. Abbiamo partecipato e collaborato a decine di iniziative nazionali. Le nostre campagne online hanno dato voce a migliaia di cittadini con richieste di cambiamento a governo e parlamento.” Ed elenca tutte le sue campagne tra cui quella riguardante l’Eritrea: “…la Commissione europea ha deciso di dare al governo eritreo 200 milioni di euro, come aiuti allo sviluppo, ma senza condizioni sul rispetto dei diritti umani. Per migliorare la situazione nel Paese e fermare l’esodo verso l’Europa, abbiamo lanciato la petizione (…) Al nostro appello hanno risposto oltre 5mila persone e abbiamo presentato la petizione nel corso di due audizioni parlamentari alle Commissioni Immigrazione e Affari Esteri. Nelle audizioni, insieme all’agenzia umanitaria Habeshia abbiamo ricordato ai parlamentari che ogni mese circa 5000 persone, soprattutto giovani, scappano dall’Eritrea, dove c’è un regime che nega ogni forma di democrazia e di libertà. A giugno, inoltre, è uscito un rapporto delle Nazioni Unite in cui si denuncia il regime di Asmara di “crimini contro l’umanità”. Omette di dire però che tutte le accuse all’Eritrea mosse dal medesimo rapporto sono state archiviate dalle stesse Nazioni Unite come infondate ed il COI, la Commissione d’Inchiesta, è stato sciolto definitivamente nel giugno 2016.
Supported by Open Society Foundation In Italia la OSF è oramai radicata dentro il Sistema Paese dove con i suoi finanziamenti, sponsorizzazioni e contributi ha contaminato quasi tutte le istituzioni cosiddette di “sinistra” a cominciare da certi politici e dai mass-media, ONG, personaggi pubblici, sacerdoti, suore, fotografi, attori e persino cantanti. Il buon Soros, attraverso le ONG da lui stesso create e finanziate, promuove concorsi per giornalisti, detta loro persino la nuova deontologia attraverso corsi accelerati e distribuisce premi che lui chiama Grants, (sovvenzioni) ma che sono dei soldi veri.
Bisognerebbe domandarsi anche quanti siano i doc-film, i libri, i seminari, le manifestazioni che portano il marchio “Supported by Open Society Foundations”. E quanti siano i premi giornalistici creati ad hoc da ONG umanitarie che elargiscono il “Premio per i Diritti Umani”. Quanti sono i giornalisti che ancora non hanno vinto un premio “umanitario”?
La lista dei giornalisti coinvolti in questa “tangentopoli mediatica” camuffata da “Premio Umanitario” è davvero lunga. Dimenticando di farne il nome offenderò sicuramente più di qualcuno. Secondo la Carta dei Doveri “Il giornalista rifiuta pagamenti, rimborsi spese, elargizioni, vacanze gratuite, trasferte, inviti a viaggi, regali, facilitazioni o prebende, da privati o da enti pubblici, che possano condizionare il suo lavoro e l’attività redazionale o ledere la sua credibilità e dignità professionale.” Tanto per fare nomi e cognomi, il giornalista de il Manifesto Stefano Liberti, trasformatosi all’arrivo di Soros in un regista, dice in un’intervista al seminario di Redattore sociale: “Gli ultimi miei lavori (nda sull’immigrazione) sono stati finanziati dalla Open Society Foundation, con soldi americani” e lo racconta senza alcuna vergogna. Il suo documentario Mare Chiuso, anche la scelta del titolo non è casuale, è stato finanziato da OSF. A Liberti va dato atto di essere l’unico ad avere avuto il coraggio di fare outing al pari del tedesco Udo Ulfkotte editore del Frankfurter Allgemeine Zeitung che ha scritto un libro intitolato Gekaufte Journalisten dove racconta di essere stato corrotto dalla CIA come molti altri giornalisti in Germania, diceva anche di non conoscere l’argomento di cui doveva scrivere ma che il pezzo glielo fornivano direttamente loro, gli agenti della CIA. Perciò non doveva nemmeno fare fatica per copiare ed incollare come invece si fa in Italia per abitudine. Poi all’improvviso Udo Ulfkotte morì per un “attacco cardiaco” a 56 anni.
Il business dell’immigrazione, chi se ne occupa vince! Chi non vorrà fare outing è sicuramente Gabriele Del Grande, giornalista del Redattore sociale e proprietario di Fortress Europe che è diventato famoso occupandosi di “immigrati”. Monotematico, ha girato film e scritto libri sempre sull’immigrazione perché sa che con l’immigrazione si mangia, eccome se si mangia. Sul sito della OSF c’è scritto: “Open Society Foundations ha già sostenuto il regista Gabriele Del Grande e il suo blog Fortress Europe”. Così come è stato finanziato il progetto Io sto con la sposa: quando i migranti diventano eroi, un film-documentario ideato per promuovere la migrazione clandestina in nome dei diritti umani. Del Grande è lontano dall’essere un paladino dei Diritti Umani in quanto nelle sue campagne contro l’Eritrea promuove quell’idea assai poco democratica che, con la scusa di tutelare i rifugiati eritrei, nega di “dare voce” alla Comunità Eritrea in Italia sospettata di essere come la Gestapo che fa arrestare i genitori dei migranti rimasti in Eritrea. Eppure non c’è mai stato un solo caso del genere ma a lui basta solo il sospetto. Purtroppo Del Grande non è il tipo da “Non sono d’accordo con quello che dici, ma darei la vita perché tu possa dirlo” ed anche: “Tutti sono innocenti finché non viene dimostrata la loro colpevolezza”. Secondo la Carta dei Doveri: “Il giornalista rispetta sempre e comunque il diritto alla presunzione d’innocenza.” Un altro che si è arricchito occupandosi di immigrati è Fabrizio Gatti, un giornalista camaleontico che a trasformazioni è meglio di Arturo Brachetti. Invece di lottare per sconfiggere la schiavitù nei campi agricoli della sua Puglia è più interessato a scrivere menzogne sull’Eritrea. Tempo fa in uno scambio di email mi scrisse: “Non sono mai stato in Eritrea, perché il consolato di Milano me l’ha impedito. È vero, avevo cercato di nascondere la mia attività di giornalista…” Invece in un’altra precedente mi aveva confessato: “L’Eritrea mi coinvolge direttamente come giornalista e come persona perché ho visto nell’ultimo decennio decine di migliaia di eritrei arrivare in Italia e utilizzare i servizi che come contribuente contribuisco a finanziare…” Ma lui quanti soldi ha guadagnato scrivendo di loro? “Caro Fabrizio, dietro ai suoi numerosi premi io vedo proprio Soros (…) O è solo una semplice coincidenza trovarsi nei luoghi da lui frequentati? Le faccio qualche esempio. Nel 2014 lei e l’Espresso vincete l’Human Rights Award “Menschenrechtspreis” e lei stesso va a ritirare targa e assegno consegnatole da Pro-Asyl (la principale organizzazione umanitaria in Germania finanziata dalla OSF). Poi lei vince il Premio Diritti Umani 2014 dell’Università di Oslo come era successo agli Scholarsat Risk, organizzazione creata dalla OSF. La stessa Università di Oslo prende sovvenzioni da Soros. Nel 2008 lei vince il Premio Terzani e nel 2013 lo vince proprio lui George Soros. I suoi articoli vengono pubblicati anche sul The Huffington Post di Soros e ha un blog sull’Espresso e sappiamo che tra i due c’è una partnership. Lei è anche uno dei relatori di Raccontare come va il viaggio un libro confezionato dal Redattore Sociale con il sostegno della OSF. Lei è uno dei firmatari dell’appello “LasciateCIEntrare” e tra il comitato promotore, guarda caso, c’è proprio la OSF.” Gatti mi rispose subito: “Caro signor Wedi Korbaria, la ringrazio per l’allegria e le risate che mi ha regalato con la sua email. (…) Spero che l’ambasciatore a Roma la ripaghi adeguatamente per la sua ricca fantasia.” Qui c’erano tutti gli estremi per una querela perché io non ho mai preso un centesimo per quello che scrivo, perché non lavoro per l’Ambasciatore ma come tutti gli eritrei volontariamente difendo il mio Paese dalle aggressioni mediatiche. Gli ho chiesto: “Vuol dire che sono sulla buona strada?” “Pensavo di avere risposto indirettamente alle Sue domande con le risate con cui la Sua email è stata accolta. Ma vedo che non sono stato capito. No, non sono sul libro paga di George Soros. Ritengo che avergli conferito il Premio Terzani sia stato un grave errore. Non sapevo delle altre “coincidenze” che Lei elenca ma non le considero un problema. Ho accettato quei premi senza indagare oltre la pagina online delle associazioni, università o fondazioni che li organizzavano…” “Senza indagare” è una frase che, secondo me, non dovrebbe mai essere detta da un giornalista serio perché è contro la sua deontologia. A proposito del Premio Terzani 2013 a George Soros, la cui motivazione recita: “Soros invita a considerare il mercato non un fine ma piuttosto un mezzo per assicurare un equo benessere al maggior numero di persone possibile, in un quadro di garanzie democratiche.” Ebbene, in quella giuria che trova un miliardario che si preoccupa e “assicura equo benessere al maggior numero di persone possibile”, c’era Milena Gabanelli di Report, la quale sull’Eritrea ha preso un grosso granchio. Per esempio, nella trasmissione di domenica 8 maggio 2016, al minuto 00:18:50 circa, si dice che: “Fuggono 5 mila persone al mese dal terrorismo e dalle violenze del regime”. Tre errori in un’unica frase. 1° La cifra dei 5.000 al mese per esempio è una falsità che tutti continuano a ripetere come giaculatoria. 2° In Eritrea non c’è terrorismo in quanto l’Eritrea è stata la prima nazione, nei primi anni novanta, a sconfiggere il fondamentalismo di Bin Laden quando la sua sede era in Sudan e ad allontanarlo in Afghanistan. 3° Quelli che lasciano l’Eritrea non fuggono certo dalle “violenze del regime” lo fanno esclusivamente per questioni economiche. Dai 30 dollari al mese guadagnati in Eritrea arrivano a guadagnare oltre 1000 nel Nord Europa, dove tutti vogliono andare. So che la Comunità Eritrea aveva chiesto alla redazione di Report una rettifica ma la Gabanelli, violando la deontologia giornalistica, ha loro negato questo legittimo diritto. Secondo la Carta dei Doveri: “Il giornalista corregge tempestivamente e accuratamente i suoi errori o le inesattezze, in conformità con il dovere di rettifica nei modi stabiliti dalla legge, e favorisce la possibilità di replica.”
La Carta di Roma Che cos’è Carta di Roma? Lo spiega Anna Meli dell’Associazione Carta di Roma: “Carta di Roma è un codice deontologico per giornalisti, che i giornalisti si sono dati fin dal giugno del 2008. È firmato quindi dal Consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti e dalla Federazione della stampa, ed è diventato materia non solo di studio, ma codice al quale i giornalisti si devono attenere. Lavoriamo come associazione Carta di Roma dalla fine del 2011 proprio per cercare innanzitutto di far conoscere il codice ai colleghi giornalisti nelle redazioni, per fare formazione – che da quest’anno è diventata formazione obbligatoria per tutti i colleghi.” E, intervistata da OdgT (Ordine dei giornalisti Toscana), attribuisce la sua origine a due fatti di cronaca diversi. Uno è la strage di Erba. Nelle 24 ore successive tutti i media attribuirono i quattro omicidi senza dubbio alcuno al tunisino Azouz Marzouk poi le indagini presero tutt’altra direzione: quella degli italianissimi vicini di casa. “Il primo riflesso di noi giornalisti, quello istintivo, fu così unanime da impressionare” dice Anna Meli. Pur condividendo il principio per cui la Carta di Roma è nata, che è quello di combattere il pregiudizio razziale di molti giornalisti italiani, ovvero “lo strumento per aiutare i giornalisti ai fini di una comunicazione più corretta anche giuridicamente”, negli anni però ha avuto una trasformazione che ha un che di patologico. Prima del suo avvento ero un semplice “extracomunitario” poi sono diventato “migrante” che è molto meglio di “immigrato clandestino” ma molto diverso da “rifugiato” o “richiedente asilo”, trovo comunque il linguaggio politically correct a tutti i costi un po’ esasperante. La frase “Non sono clandestini ma rifugiati!” si sofferma sul dito invece di puntare la luna ovvero non racconta il vero motivo per cui quelle persone che approdano sulle coste europee siano dei “rifugiati”. E non si fa il mea culpa per averli ridotti tali ma si cercano responsabilità dove non ci sono: nei loro paesi d’origine. Sul secondo episodio di cronaca su cui si fonda la Carta di Roma vedo una nuova deontologia per i giornalisti italiani dettata proprio da George Soros. Si evince dalle parole di Anna Meli: “L’altro episodio si riferisce invece ad un’intervista rilasciata con il consenso ad un noto quotidiano italiano di due richiedenti asilo eritrei, renitenti alla leva (obbligatoria e senza scadenza in Eritrea). Una settimana dopo l’intervista i padri dei due furono prelevati dalle autorità locali e gli fu richiesta una cauzione molto elevata per la loro scarcerazione.” Ma dove sono le vostre prove? “Alla luce dei due episodi l’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR) chiese ai direttori di testata e alle rappresentanze dei giornalisti di avviare un confronto: FNSI e Ordine raccolsero la sollecitazione e insieme lavorarono ad un testo che tra aprile e giugno 2008 ottenne il consenso pieno dei due Consigli Nazionali ed entrò così a far parte del bagaglio di strumenti di lavoro del giornalismo italiano.” La fonte è l’UNHCR che dice “dall’Eritrea scappano 5.000 persone al mese” e se la matematica non è un’opinione si potrebbe dedurre che il governo eritreo sbatta in galera ogni mese 10.000 genitori che in un anno sarebbero, mi serve la calcolatrice, 120.000 persone. È ovvio che qualcuno sta dando i numeri e non sono certo io. “Laura Boldrini per prima lanciò l’idea di un codice etico” scrive Giovanni Maria Bellu, presidente di Carta di Roma e prosegue: “Il Presidente della Camera dei Deputati, è stata per molti anni portavoce dell’UNHCR e lei stessa citava l’episodio che ha dato vita alla Carta di Roma (…) e ha raccontato che è nata l’idea di fornire agli operatori dell’informazione uno strumento nuovo.” La Presidente della Camera ribadisce: “Per questo una delle cose che ho fatto con più convinzione, nella mia precedente attività, è aver contributo alla nascita della Carta di Roma, il protocollo per un’informazione corretta su migranti e rifugiati.” Dal momento che l’Associazione Carta di Roma promuove attività di formazione agli operatori dei media; monitoraggio dell’informazione; seminari di studio sui richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti; l’istituzione di premi speciali; ecc. è forse per prevenire altri arresti di genitori eritrei che organizzerebbe conferenze per giornalisti dove ribadisce: “Non date il microfono a quelli della Comunità Eritrea”. La storica e pacifica Comunità Eritrea che vive in Italia sin dai primi anni settanta e conta circa 15.000 membri, nessuno con precedenti penali, è sospettata di collaborazionismo e spionaggio solo perché ama il suo Paese e il suo governo. Eppure nessuno della Comunità ha mai spiato o fatto arrestare i parenti di chicchessia. Lo stesso la Carta di Roma continua a ghettizzare un’intera Comunità e, alla faccia della libertà di stampa, ordina a tutti i giornalisti di toglierle la voce. Il razzismo che la Carta di Roma voleva combattere le si è ritorto contro e, per il solo sospetto che potrebbero essere delle spie, ha emarginato una minoranza etnica negandole il diritto alla controreplica e la difesa di quelle condanne morali. “Ricordiamo a tutti i colleghi impegnati in questi giorni in servizi e reportage sulla tragedia di Lampedusa di non comunicare nomi o dettagli relativi ai sopravvissuti e non renderli riconoscibili (con primi piani, foto ecc.) Segnaliamo che tale atto viola la Carta di Roma, codice deontologico su migranti, richiedenti asilo e rifugiati, con possibili sanzioni da parte dell’Ordine dei giornalisti. Come è noto, queste notizie espongono i familiari dei richiedenti asilo – soprattutto eritrei – a ritorsioni gravissime da parte dei regimi da cui provengono” diffonde il comunicato Carta di Roma intervenendo presso le redazioni e chiede loro di prestare attenzione alle immagini dei sopravvissuti alla tragedia di Lampedusa, ricordando che si tratta di richiedenti asilo che non vanno resi riconoscibili. Da allora i giornalisti, sempre per tutelare i nuovi arrivati, iniziarono a chiamarli con dei nomi fittizi e di fantasia, cosa che ha incentivato molti di loro anche a inventarsi storie false con testimoni anonimi, gli bastava usare un nome di fantasia. Persino la Rai, che contattava gli eritrei per averli in qualche dibattito in televisione sul tema di immigrazione quando scopriva che quelle persone erano della Comunità li richiamava per dire: “Mi dispiace, c’è stata una scelta diversa della redazione che ha preferito invitare i membri di un’altra comunità.” Personalmente sono stato contattato e rifiutato almeno cinque volte negli ultimi due anni. Inutilmente la Comunità Eritrea in Italia si è rivolta al Presidente dell’ODG (Ordine dei Giornalisti) Enzo Iacopino il quale ha fatto letteralmente spallucce: “io sono il presidente dell’Ordine dei giornalisti, non il comandante in capo (cosa che francamente non credo mi piacerebbe) che può dare ordini alle testate.” Sono i diktat della Carta di Roma, il nuovo codice deontologico per giornalisti, una bella idea finita per essere uno strumento di emarginazione e segregazione. Ma cosa c’entra Soros in tutto questo? Secondo le parole del suo rappresentante in Italia Costanza Hermanin (senior policy officer presso l’Open Society Foundations) c’entra eccome. “Abbiamo iniziato col sostegno di Carta di Roma, che ha svolto all’inizio il compito proprio di verificare la correttezza dell’informazione, anche da un punto di vista legale. All’inizio Carta di Roma aveva il compito principale – e per questo era anche sostenuto dall’UNHCR, l’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite – era quello di distinguere fra “rifugiato” e “clandestino” e spiegare che un rifugiato è una persona che ha un titolo di soggiorno nel nostro Paese, che è diverso da un clandestino, che è un migrante irregolare – e che una persona non si poteva definire clandestina in sé perché è l’azione ad essere illegale, non la persona. Ora, è molto significativo che questa cosa sia nata in Italia, Carta di Roma, nel 2008. Negli altri Paesi europei si è diffusa dopo.”
La moda del Copia ed incolla Esiste in Italia persino il Festival del Giornalismo che ogni anno richiama a Perugia il fior fiore dei giornalisti italiani ed internazionali. Un vero specchio per allodole organizzato con il contributo della OSF dove, per dare lezioni ai giornalisti, Soros manda i suoi esperti come Costanza Hermanin, che dice: “Dal 2009 lavoriamo in Italia e sosteniamo studi e ricerche ma anche campagne. La nostra è una fondazione un po’ politicamente scorretta, ossia ci interessiamo a temi complessi: dalla prostituzione, all’abuso di droghe, ai temi di immigrazione, e lo facciamo non solo con i finanziamenti, ma anche cercando di affiancare il nostro peso nell’advocacy su questi fenomeni”. All’appuntamento annuale del Festival del Giornalismo non manca nessuno, basta andare nel sito ufficiale del Festival per vedere le loro foto in bacheca. Povero giornalismo italiano! È proprio guardando tutte quelle foto che io mi chiedo: “Esiste davvero la libertà di stampa in questo Bel Paese?” Flashback. Sulla homepage dell’Associazione Carta di Roma in alto a destra c’è il logo della OSF mentre a sinistra quello di UNHCR e tra i soci c’è il Redattore sociale, un portale di informazione sui temi sociali cui presidente è un sacerdote. Anche il Redattore Sociale si è sovente occupato di Eritrea, basta digitare questo nome sul suo sito ufficiale e appariranno 420 risultati. Sfogliandone qualcuno si scopre subito il solito tono: “Eritrea, l’Europa esca dall’ambiguità e metta fine al regime di Afewerki”. Va detto che dei 420 risultati non c’è un solo articolo scritto recandosi sulla “scena del crimine” ossia nessuno dei loro giornalisti è mai andato di persona in Eritrea. Redattore Sociale oltre a fungere come agenzia stampa online promuove seminari, finanzia libri e concorsi, insegna il mestiere ai neo laureati o fa aggiornamenti deontologici ai giornalisti. Tutto con i soldi di Soros.
Sulla homepage c’è scritto: “Supportati dalla Open Society Foundations”. Riprendendo le parole di Costanza Hermanin: “Dopo Carta di Roma, ci siamo occupati anche con altri organismi ed entità – che in Italia si occupano di questo fenomeno – di vari progetti, come per esempio il Redattore Sociale che ha fatto seminari di formazione per i giornalisti, ha fatto un progetto che si chiama “Parlare civile”: oltre ad occuparsi del fenomeno di immigrazione, ha guardato anche a quali sono tutti i modi scorretti di definire le devianze e i fenomeni problematici della società.” Parlare civile è stato anche presentato alla Camera dei Deputati dalla Presidente Laura Boldrini in un’iniziativa intitolata: “non censura, ma recupero del potere della parola”. Un altro progetto finanziato da Open Society Foundations e realizzato da Redattore Sociale si chiama: Questione d’immagine e tra i relatori spicca Laura Boldrini. Raccontare come va il viaggio – Venti anni di incontri con i giornalisti a cura di Stefano Trasatti (Redattore sociale) e tra i relatori c’è Fabrizio Gatti, Paolo Lambruschi, Marco Tarquinio (direttore di Avvenire), Don Mussie Zerai (presidente dell’Agenzia Habeshia) Laura Boldrini (portavoce in Italia dell’UNHCR) Giovanni Maria Bellu (Left e Carta di Roma). È scritto: “I seminari di Redattore sociale non avrebbero potuto svolgersi negli anni senza il supporto economico della Open society Foundations”. Ma Redattore e Carta di Roma non sono gli unici a mostrare sul proprio sito il logo della OSF. C’è l’esempio della CILD che nella seconda edizione del suo “Premio Cild per le Libertà Civili” lo assegnerà quest’anno al cronista Valerio Cataldi (TG2) e Diego Bianchi detto Zoro (Gazebo). “Ecco chi sono i nostri eroi dei diritti umani” scrive CILD annunciando il suo evento della premiazione del 16 dicembre 2016. Ovviamente il giornalista Cataldi che si appresta a vincere il premio made by Soros aveva già scritto vari articoli sull’Eritrea e aveva partecipato a tante iniziative della OSF come moderatore ed è anche membro fondatore del Comitato 3Ottobre. Della serie “se la suonano e se la cantano da soli”!
Le iniziative della sorosiana CILD si moltiplicano ogni mese. Le sue ultime due creature legate al giornalismo-online sono 19 Million Project struttura battezzata a Roma dove vi lavora il fior fiore di esperti del web e della migrazione, il loro slogan recita: “Siamo una coalizione di giornalisti, programmatori, progettisti, strateghi digitali e cittadini del mondo che si uniscono per affrontare la crisi migratoria nel Mediterraneo”. La seconda è nata ad un mese di distanza e si chiama: OpenMigration e offre suggerimenti agli addetti ai lavori (nda dell’immigrazione) basandosi su cifre, numeri, statistiche, ossia, in una sola parola, Datagiornalismo, un sistema politically correct di raccontare ai cittadini europei il #RefugeeCrisis o #MigrationCrisis per tentare di convincere l’opinione pubblica europea a non aver paura dei migranti anche se ne dovessero arrivare un milione l’anno come il buon George Soros aveva predetto e informato l’Europa con una sua lettera del 2015. In un’altra invece apparsa sul Wall Street Journal nel 2016 dal titolo: Perché sto investendo 500 milioni sui migranti inizia scrivendo: “Il mondo è stato sconvolto da un’ondata di migrazioni forzate.” Ma Soros dimentica di dire che lui è un protagonista di queste “migrazioni forzate”. Però ha creato lavoro per centinaia di migliaia di persone, di questo bisognerà dargliene atto. Ma troppi giornalisti della migrazione, direttamente o indirettamente legati a Soros e alla sua Fondazione, fanno sull’Eritrea un’unica narrazione, scrivendo quasi tutti lo stesso articolo, copiandosi a vicenda e usando persino le stesse frasi. Io divido quei giornalisti in tre gruppi, nel primo c’è il novello, colui che scrive di Eritrea per la prima volta perché l’editore gli ha ordinato: “Scrivimi un pezzo da copertina sul regime in Eritrea” il giornalista che non sa nemmeno dove si trovi l’Eritrea, va su Google e copia ed incolla tutte le informazioni che trova. Non sa che modificando a sua volta quelle menzogne contribuisce all’avverarsi del detto di Joseph Goebbels:
“RIPETETE UNA BUGIA CENTO, MILLE, UN MILIONE DI VOLTE E DIVENTERÀ UNA VERITÀ.”
Di solito, al primo commento, il novello sparisce. Poi c’è l’attivista che si sente un vero paladino dei diritti umani la cui missione è quella di salvare tutto il popolo eritreo. Intanto si fa pagare per quello che scrive. Con l’attivista è una lotta estenuante con un botta e risposta infinito ma alla fine cede soprattutto quando vede che alcuni suoi lettori iniziano a criticarlo. L’ultimo è il mercenario il più tenace e coriaceo, quello a cui non frega niente delle conseguenze.
Dulcis in fundo: arriva George ad incassare! Le jeux sont faits! Dopo una rivoluzione colorata vittoriosa e il conseguente regime change arriva il diabolico George Soros per fare “business” sulle nuove privatizzazioni di interi settori economici che il paese appena conquistato gli mette sul piatto e nel frattempo lui distrae l’opinione pubblica con riforme tipo Unioni civili. Questo suo gioco è stato scoperto in Eritrea già nel 2011 quando mandò due suoi agenti travestiti da suore per adescare i giovani negli internet caffè e fare una rivoluzione online. Le sue “suore” organizzate da Amnesty International e HRW, due ONG da lui stesso finanziate, furono fermate all’aeroporto di Asmara facendo fallire la missione. RSF (Reporters Sans Frontieres) finanziata da Open Society Institute aveva precedentemente creato a Parigi Radio Erena per fornire “notizie e informazioni indipendenti agli eritrei in Eritrea” con la scusa della libertà di stampa, consapevoli che la radio svolge un ruolo fondamentale nella rivoluzione stile OTPOR-CANVAS. Seguendo l’esempio di Radio Free Europe/Radio Liberty i “giornalisti-attivisti” di Radio Erena sono stati addestrati per fare regime change in Eritrea dagli esperti della “rivoluzione non violenta” come Srdja Popovic in un progetto chiamato Everyday Rebellion. La nuova radio pensata per gli eritrei in Eritrea si sarebbe concentrata sulla migrazione dei giovani eritrei intrappolati nel Sinai, un macabro palcoscenico allestito per le sfilate delle varie ONG come Agenzia Habeshia e Gandhi e varie redazioni giornalistiche italiane come la Repubblica e l’Avvenire. Su quel palco, il giornalista Paolo Lambruschi ci ha vinto il Premiolino nel 2011. Lambruschi ha scritto circa 90 articoli sull’Eritrea senza esserci mai stato. Perché i giornalisti italiani continuano a scrivere per “sentito dire”? sarebbe stata in passato una domanda da un milione di dollari. Oggi c’è la certezza che costoro obbediscono agli ordini e basta. Avevo già scritto a riguardo ma vale la pena ricordarlo: “Prima delle bombe arrivano sempre i giornalisti a preparare il terreno!” Questo abbiamo visto accadere negli ultimi due decenni in Iraq, Afghanistan, Libia e ora anche in Siria. Abbiamo imparato come la demonizzazione mediatica di un governo e di una nazione si trasformi di seguito in una vera e propria aggressione militare ed è per questo che, insisto a dire, secondo me, codesti giornalisti non si possono non considerare a tutti gli effetti dei veri soldati da combattere con ogni mezzo a disposizione che nel mio caso è la penna.
Perchè l’Eritrea? Per concludere, mi rivolgo a tutti quei lettori scettici che non credono a questa cospirazione internazionale (ONU, USA ed EU) contro l’Eritrea. Nel nome dei diritti umani e per portarvi la loro democrazia vorrebbero destabilizzare una giovane Nazione di soli cinque milioni di abitanti. Ma chi è l’Eritrea? Perché ne hanno tanta paura? L’Eritrea è quel Paese che occupa, purtroppo, una posizione geografica strategica sul Mar Rosso, una posizione sul crocevia delle merci mondiali che, invece di arricchirsi, subisce una sorta di maledizione sin dai primi anni cinquanta perché le ambizioni colonialiste statunitensi nel Corno d’Africa non coincidono con l’autodeterminazione del popolo eritreo. Risuona ancora l’eco delle dichiarazioni di John Foster Dulles, Segretario di Stato USA che nel 1952 disse “Gli interessi strategici degli Stati Uniti nel bacino del Mar Rosso e la pace nel mondo rendono necessario che l’Eritrea debba essere unita con il nostro alleato Etiopia”. E da allora non è cambiato niente. L’Eritrea rimane uno dei pochissimi paesi africani che non offrono ospitalità all’AFRICOM e loro continuano ad aizzare contro i TPLF al potere in Etiopia dal 1991. Nel 1998 infatti questi dichiarano una guerra di confine per riprendersi il mare eritreo inutilmente, lo stesso dal 2002 continuano ad occupare illegalmente dei territori eritrei violando il diritto internazionale. Da 16 anni mantengono una situazione di no pace no guerra e di nascosto stanno combattendo una nuova guerra nelle loro tendopoli allestite per i giovani eritrei che fuggono stanchi di aspettare la pace. Dietro a questa strategia ci sono gli USA come ammesso dallo stesso Presidente Obama al Clinton Global Initiative nel 2012: “Recentemente ho rinnovato le sanzioni su alcuni dei paesi più tirannici tra cui (…) l’Eritrea, collaboriamo con i gruppi che aiutano le donne e i bambini a scappare dalle mani dei loro aguzzini, stiamo aiutando altri paesi ad intensificare i loro sforzi e vediamo già dei risultati”. (min 0:33)
Guarda il video: Obama admits US involvement of human trafficking in Eritrea.
Ed ecco le “migrazioni forzate” di cui parlava Soros. Provocare l’esodo dei giovani è quello che Kelly M. Greenhill chiama “Armi di migrazione di massa”. E Soros ha scomodato persino i medici di MSF che con la scusa di “salvare i migranti” si sono recati nel Mar Mediterraneo armati di navi, ma che in realtà dovevano fungere da Pool factor, fattore di richiamo per altri africani. “Ci sono i dottori in mare” si mormora già in Africa. Ed intanto continuano a morire annegati… Prima della guerra del 1998 l’economia eritrea galoppava oltre il 10% di crescita annua e ovunque c’era fermento e lo spirito giusto per ricostruire un Paese devastato da trent’anni di guerra e di bombardamenti col napalm. In quei 5 anni di pace nessun giovane eritreo sognava di cercare pascoli migliori fuori dal suo Paese, anzi erano quelli della diaspora a tornare in patria. Gli USA sanno benissimo che se non tieni l’Eritrea schiacciata a terra lei potrebbe anche arrivare alla luna. A destare più di qualche preoccupazione è quella sua filosofia dell’autosufficienza che quel mondo occidentale abituato a sfruttare le risorse africane in cambio dei suoi “aiuti umanitari” non può concepire. L’Eritrea era ed è ben consapevole che l’alternativa sarebbe stata la schiavitù del neocolonialismo; l’obbedienza ai diktat della Banca mondiale; l’accettazione delle scelte economiche e di sviluppo imposte da qualche multinazionale; il soccombere alla dottrina del dividi et impera per etnia, religione e sesso che lacera un popolo; l’Eritrea, unica in Africa, ha deciso di costruire il proprio futuro liberamente ed autonomamente. Ha scelto, pagando un prezzo anche troppo salato, di percorrere quella strada per la libertà, ha scelto di lottare per la giustizia e la verità. Ed è per questo che l’Eritrea è pericolosa, potrebbe diventare un cattivo esempio per gli altri Stati africani che potrebbero imitare la sua resilienza. Immaginiamo se tutti facessero come lei: sarebbe la rivoluzione del millennio!
Daniel Wedi Korbaria: Autore e sceneggiatore eritreo, vive e lavora a Roma dal 1995, ha pubblicato diversi articoli scritti in italiano e tradotti in inglese, francese e norvegese
NOTE #FareProgressi, l’ultima petizione di Vittorio Longhi invitava gli italo-americani a non votare per Trump, stessa campagna di MoveOn.org in America ordita da George Soros che aveva finanziato la campagna di Hillary Clinton con 7 milioni di dollari. Accordo di Cotonou, Gli obiettivi principali dell’accordo sono la riduzione e, in prospettiva, l’eliminazione della povertà e la progressiva integrazione dei Paesi dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP) nell’economia mondiale, nel rispetto degli obiettivi dello sviluppo sostenibile. EDF (European Development Fund) ACP (African Caribbean and Pacific countries) UFTDU, Unione forense per la tutela dei diritti umani – Advocacy, awareness and civil society empowerment, il progetto intende creare un network di associazioni interessate all’attività di advocacy internazionale -The erased. Remedying human rights violations, I “cancellati” della Slovenia: rimediare le violazioni dei diritti umani Color Revolution: Rivoluzione Bulldozer in Serbia (2000), rivoluzione Rosa in Georgia (2003), rivoluzione Arancione in Ucraina (2004), rivoluzione dei Tulipani in Kirghizistan, rivoluzione del Cedro in Libano (2005), rivoluzione Verde in Iran(2005), ecc. OTPOR, Resistenza, è un’organizzazione serba che ha rovesciato il governo di Milosevic, successivamente trasformata in CANVAS. È stata finanziata da G. Soros, da Freedom House e dal NED (National Endowment for Democracy), Canvas/Otpor è attualmente attivo in più di 40 paesi per tentare altre rivoluzioni di tipo “non violenta”. Io sto con la sposa (documentario): The Open Society Foundations have previously supported director Gabriele Del Grande and his blog Fortress Europe On the Bride’s Side was entirely crowdfunded and premieres in Italy on October 9 L’Associazione Carta di Roma è stata fondata da: Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti (CNOG) e Federazione Nazionale della Stampa Italiana (FNSI), dalle associazioni della società civile organizzata: ARCI, ACLI, AMNESTY, COSPE, LUNARIA, RETE G2, ISTITUTO PARALLELI, CESTIM, A BUON DIRITTO, ASGI, ASS.CHIESE EVANGELICHE, CENTRO ASTALLI, ARCHIVIO IMMIGRAZIONE, COMUNITA’ DI CAPODARCO, ASSOCIAZIONE 21 LUGLIO, UNIONE FORENSE PER LA TUTELA DEI DIRITTI UMANI (UFTDU), YOUTH PRESS ITALIA, ARTICOLO 21, IL PETTIROSSO. Sono invitati permanenti: L’Alto Commissariato ONU per i Rifugiati (UNHCR), L’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) FNSI, Federazione Nazionale Stampa Italiana ODG, Ordine dei Giornalisti “Parlare Civile – Comunicare senza discriminare“, curato da Redattore Sociale in collaborazione con l’associazione Parsec (Bruno Mondadori, aprile 2013) e il sostegno di Open Society Foundations CILD (La Coalizione Italiana Libertà e Diritti Civili) sul sito ufficiale è scritto: “Siamo finanziati da Open Society Foundations e Oak Foundation”. Queste le associazioni che fanno parte di CILD: A buon diritto, Antigone, Arci, Arcigay, Asgi, Associazione 21 Luglio, Associazione Luca Coscioni, Associazione Nazionale Stampa Interculturale, Associazione Tefa Colombia – Cooperazione Internazionale Modena, Cie Piemonte, Certi Diritti, Cipsi, Cittadinanzattiva, Cittadini del mondo, Cospe, Diritto di sapere, Fondazione Leone Moressa, Forum Droghe, Lasciatecientrare, Lunaria, Movimento Difesa del Cittadino, Naga, Parsec, Progetto Diritti, Società della Ragione, Zabbara. Everyday rebellion, (rivolta tutti i giorni) è un documentario cross-media su forme creative di protesta non violenta e di disobbedienza civile in tutto il mondo. The Freedom Friday (Arbi Harnet in Tigrigna) iniziato nel novembre 2011 da Meron Estefanos, un attivista del regime change e presentatore di Radio Erena, in tandem con la Youth Solidarity for Change (EYSC), ha creato la nuova campagna in stile primavera araba invitando i giovani dell’Eritrea a scendere in piazza ogni venerdì. AFRICOM, Africa Comand, la presenza militare americana sul suolo africano President Obama: “I recently renewed sanctions on some of the worst abusers, including North Korea and Eritrea. We’re partnering with groups that help women and children escape from the grip of their abusers. We’re helping other countries step up their own efforts. And we’re seeing results. More nations have passed and more are enforcing modern anti-trafficking laws.” Remarks by the President to the Clinton Global Initiative, September 25, 2012 MSF, Medici senza frontiere |