Originale: Dispatches from the Edge http://znetitaly.altervista.org 3 novembre 2017
La brexit e un impavido mondo nuovo di Conn Hallinan traduzione di Giuseppe Volpe
Mentre le lancette dell’orologio si muovono in direzione dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea, non ci si potrebbe sbagliare di molto scegliendo il leader del Partito Laburista britannico Jeremy Corbyn per il ruolo dell’ottimista Miranda nella Tempesta di Shakespeare: “Quant’è stupenda l’umanità! Oh impavido mondo nuovo nel quale ci sono persone così.” Il primo ministro del Partito Conservatore Theresa May per il ruolo di Lady Macbeth: “Via, macchia maledetta! Via, dico!”
Con i francesi che affilano i coltelli, i Tory allo sbando, gli irlandesi che pretendono risposte e diciassette mesi scarsi prima dell’avvento della Brexit, l’intera faccenda è adatta a del teatro parecchio buono. La difficoltà sta nel distinguere la tragedia dalla farsa. Il congresso del Partito Conservatore tra il 1° e il 4 ottobre a Manchester è stato certamente una commedia mediocre. La sala era mezza vuota e il tipico discorso della May è stato sabotato da attacchi di tosse e da un burlone che le ha consegnato un avviso di licenziamento. Poi lo scialbo slogan dei Tory “Costruire un paese che funzioni per tutti” è caduto sul palco. E numerosi membri del governo della May stavano apertamente brigando per sostituirla.
Per contro il congresso del Partito Laburista a Brighton una settimana prima era stipato di giovani attivisti alacremente impegnati a redigere memorie ufficiali e Corbyn ha tenuto uno stimolante discorso che ha sollecitato la cancellazione delle misure d’austerità, l’aumento delle imposte ai ricchi e gli investimenti in istruzione, assistenza sanitaria e tecnologia.
Incombe su tutto questo il marzo del 2019, la data entro la quale devono essere risolti i complessi problemi relativi al divorzio della Gran Bretagna dalla UE. La tempistica effettiva è anche più breve, perché ci vorranno almeno sei mesi perché il Parlamento Europeo e i ventotto membri della UE ratifichino un qualsiasi accordo.
Tenere tutto questo sotto controllo richiederà una considerevole abilità, qualità della quale la May e i Conservatori non hanno mostrato nemmeno un briciolo. Le questioni chiave da risolvere sono incentrate sulle persone e soldi, con le prime che sono le più difficili.
I membri della UE hanno il diritto di spostarsi e di lavorare dovunque all’interno dei paesi che costituiscono l’alleanza commerciale. Hanno anche accesso all’assistenza sanitaria e allo stato sociale, anche se vi sono delle restrizioni. Milioni di cittadini della UE non britannici risiedono nel Regno Unito. Che cosa succede a queste persone quando entra in vigore la Brexit? E che dire dei due milioni di britannici che vivono in altri paesi della UE? Il controllo dell’immigrazione è stato un argomento principale dei sostenitori dell’uscita dalla UE, anche se il suo ruolo stato sovrastimato. Molti elettori britannici hanno semplicemente voluto ufficializzare la loro indignazione nei confronti dei partiti dominanti – sia Laburisti sia Tory – che avevano, in una misura o nell’altra, sostenuto politiche che favorivano i ricchi e accrescevano la disuguaglianza economica. In parte la UE è stata progettata per ridurre i costi del lavoro al fine di aumentare le esportazioni. In effetti il Cancelliere tedesco Helmut Kohl (1982-1998) sollecitò la UE ad ammettere paesi dell’Europa centrale e orientale precisamente perché avrebbero messo a disposizione una riserva di manodopera a basso costo che avrebbe potuto essere utilizzata per indebolire i sindacati in tutto il blocco commerciale. In questo fu appoggiato con forza dai britannici. Gli iscritti ai sindacati in Gran Bretagna sono scesi dai tredici milioni del 1979 ad appena più di sei milioni oggi. I Conservatori vogliono impedire l’immigrazione e anche avere pieno accesso al blocco commerciale, quella che è stata definita la strategia della “botte piena e moglie ubriaca”. Sinora tale approccio è stato un fiasco presso il resto della UE. Sondaggi mostrano che solo il trenta per cento dei membri della UE ritiene che alla Gran Bretagna dovrebbe essere offerto un accordo favorevole. La percentuale scende al diciannove per cento in Francia. Gli stessi Conservatori sono divisi riguardo a quello che vogliono. Una fazione preme per una “Brexit dura” che controlli rigidamente l’immigrazione, abbandoni il mercato unico e l’unione doganale e rifiuti qualsiasi ruolo della Corte Europea di Giustizia. Un’altra fazione favorevole a una “Brexit morbida” accetterebbe i regolamenti e la Corte di Giustizia della UE, perché teme che abbandonare il mercato unico danneggerà l’economia britannica. Considerato che paesi come Giappone, Cina e USA sembrano riluttanti a sottoscrivere accordi commerciali indipendenti con la Gran Bretagna, probabilmente si tratta di una valutazione corretta. Mentre i Tory si azzuffano tra loro, il Partito Laburista ha preso le distanze dal tema, appoggiando tacitamente un’uscita “morbida”, ma principalmente parlando innanzitutto dei problemi che hanno motivato molti dei votanti a favore della Brexit: la crisi degli alloggi, l’assistenza sanitaria, il crescente costo dell’istruzione e la crescente disuguaglianza. Tale piattaforma ha funzionato nelle elezioni a sorpresa del giugno 2017 che hanno visto i Conservatori perdere la maggioranza parlamentare e il Partito Laburista guadagnare 32 seggi.
I divorzi non sono solo caotici; sono costosi. Lo scorso settembre la May ha offerto di pagare alla UE venti miliardi di euro per sciogliere la Gran Bretagna dal blocco, ma i membri della UE chiedono almeno sessanta miliardi di euro – alcuni vogliono fino a cento miliardi – e rifiutano di parlare dell’accesso della Gran Bretagna al blocco commerciale prima che tale problema sia risolto. Ogni discorso sulla “botte” è svanito.
E poi c’è l’Irlanda. L’isola non è certo una grande protagonista nella UE. Il PIL della repubblica è il quindicesimo nel grande blocco, ma confina con l’Irlanda del Nord. Anche se il Nord votasse per restare nella UE, dovrà uscirne quando lo farà la Gran Bretagna. Quello che succede con il suo confine non è questione da poco, in parte perché non si tratta di un confine naturale.
Le contee che erano a maggioranza protestante nel 1921 sono divenute parte dell’Ulster, mentre le contee a maggioranza cattolica sono rimase nella repubblica meridionale. Durante i “Problemi” dai tardi ’60 alla fine degli anni ’90, il confine fu pesantemente militarizzato e sorvegliato da migliaia di soldati britannici. Nessuno – né a nord né a sud – vuole di nuovo muri e torrette.
Ma gli scambi tra la Repubblica e l’Ulster dovranno essere controllati per garantire che siano pagate le tasse, che le leggi ambientali e tutta la miriade di norme della UE siano rispettate. A parte gli scambi c’è la questione dell’Accordo del ‘Buon Venerdì” del 1998 che pose fine agli scontri tra cattolici e protestanti. Elaborando un modo per risolvere le differenze tra le due comunità mediante una condivisione di poteri, l’accordo ridefinì anche la natura della sovranità. Essenzialmente la Repubblica Irlandese e la Gran Bretagna concordarono che nessuno dei due paesi aveva una pretesa sull’Ulster e che i residenti nord-irlandesi erano accettati come “irlandesi, o britannici o entrambe le cose, secondo la loro scelta”. Tale definizione fluida della sovranità è minacciata dalla Brexit e soprattutto dal fatto che la May e i Conservatori – al prezzo di una mazzetta da due miliardi di euro – si sono allineati con il partito di estrema destra e protestante settario, il Partito Democratico Unionista, al fine di approvare leggi. Anche se il patto tra i due non è un’alleanza formale, ciò nonostante mina l’idea che il governo britannico sia un “mediatore neutrale e onesto” nell’Irlanda del Nord. La May non ha neppure citato il problema del confine nel suo discorso di settembre, anche se la UE ha chiarito che la materia va risolta. I dialoghi tra Gran Bretagna e la UE procedono a fatica, in parte perché i Conservatori sono profondamente divisi e in parte perché la UE non è sicura che la May sia in grado di rispettare gli accordi o che il governo attuale durerà fino alle prossime elezioni generali del 2022. Mentre i Laburisti sono in ascesa, la May si affida a un partito estremista per restare al potere e paesi come la Francia hanno l’acquolina per mettersi in pentola le istituzioni finanziarie che attualmente operano a Londra, i membri della UE non hanno alcuna fretta di risolvere le cose. La May ha in mano carte scarse e Bruxelles lo sa. Alla fine il Partito Laburista dovrà coinvolgersi nella Brexit più di quanto abbia fatto sinora, ma Corbyn è probabilmente nel giusto nello stimare che il principale fantasma che si aggira ora in Europa non è l’uscita della Gran Bretagna, bensì la rabbia per la crescente disuguaglianza, la crescente insicurezza del lavoro, la crisi degli alloggi e le strutture della UE che hanno consegnato la strategia economica a burocrati non eletti e banche. “Il programma neoliberista degli ultimi quattro decenni può essere stato una cosa buona per l’un per cento”, dice il premio Nobel Joseph Stiglitz, “ma non per gli altri”. Tali politiche erano destinate ad avere “conseguenze politiche”, dice, e “quel giorno è alla fine arrivato”.
Da Znetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/brexit-a-brave-new-world/
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