https://comune-info.net 25 ottobre 2017
Il precipizio di Franco Berardi Bifo
I governi nazionali europei impongono il trasferimento costante di risorse collettive verso il sistema bancario. Questo ha determinato impoverimento e l’ostilità di territori come la Catalogna e il Veneto contro gli stati nazionali
L’articolo di Amador Savater uscito su el diario è finora la cosa migliore che ho letto a proposito della crisi catalana (insieme a un articolo di Marco Bascetta sul manifesto di una settimana fa). Amador risponde anzitutto alla domanda “Cosa nascondono le bandiere?”. “Si calcola che nella Diada dell’11 settembre 2010 (giornata di festa e manifestazione che serva a prendere la temperatura dell’indipendentismo catalano) parteciparono 15.000 persone. 10.000 parteciparono nel 2011. La cifra salta a un milione di persone nel 2012. Questo significa che le questioni identitarie non erano molto importanti in Catalogna fino al 2012. Che è successo tra il 2011 e il 2012? Il movimento 15M, la risposta organizzata al malessere prodotto dalla crisi e dalla sua durissima gestione neoliberale. Il carburante dell’indipendentismo a partire dal 2012 è la sofferenza prodotta dalla crisi”. Questo è il punto: la politica austeritaria dell’Unione europea a partire dal 2010 ha messo in moto un processo che sta ora sfociando nelle sue conclusioni: razzismo di massa, nazionalismo piccolo e grande, guerra civile strisciante. Chi ha la cortesia di leggere i miei articoli avrà notato forse che dopo il primo ottobre non ho più scritto niente, come se mi fosse venuta una specie di paralisi. Quella prima domenica di ottobre avevo passato la giornata guardando scene della repressione poliziesca in Catalogna, e postando messaggi di solidarietà con la pacifica insurrezione catalana. Da allora non ho smesso di seguire l’escalation di violenza spagnola contro l’indipendentismo catalano, ma ho cominciato a provare un senso di angoscia che mi ha trattenuto dal continuare i miei inutili commenti. A un tratto ho provato una certa reticenza a pensare qualcosa del futuro. Da qualche anno ho la sensazione che l’Unione europea sia entrata in un processo dissolutivo. Talvolta imprudentemente ho detto che la Jugoslavia degli anni ’90 è il futuro dell’Unione europea. Dopo l’enorme manifestazione indipendentista dell’11 settembre del 2012 dissi a qualche amico che la Catalogna poteva essere il punto di avvio della precipitazione. Ora siamo molto vicini al precipizio, e ho paura di fare ulteriori previsioni, però mi interessa capire quali sono le dinamiche della precipitazione per poter immaginare delle linee di fuga. Secondo Umberto Eco l’Unione europea avrebbe dovuto prendere come modello le città comunali e avrebbe dovuto costituirsi come rete di nuclei cittadini, nodi fortemente cosmopoliti e interconnessi. In un simile processo di integrazione reticolare gli stati nazionali avrebbero felicemente perduto la loro sovranità e la loro funzione, per cedere sovranità a un’entità europea coordinatrice di unità urbane politicamente indipendenti. Nulla di simile è accaduto. L’Unione non ha affatto depotenziato gli Stati Nazionali, li ha trasformati in senso neoliberale, e li ha riconfigurati come esattori. Un tempo non lontano, nel secondo dopoguerra, lo stato nazionale era il garante del benessere sociale, l’agente di una redistribuzione delle risorse che rendeva possibile l’accesso pubblico alla sanità, alla scuola, al trasporto. L’incessante riforma neoliberale ha privatizzato e distrutto il sistema pubblico, riducendo il salario e la spesa per sanità scuola e trasporti, mentre lo stato ha trovato una nuova funzione, quella di esattore per conto del sistema finanziario globale. La funzione dei governi nazionali europei è oggi essenzialmente questa: piegare la società al debito infinito, imporre un trasferimento costante di risorse collettive verso il sistema bancario. Questo ha determinato la riduzione del salario e la compressione della vita sociale, provocando l’ostilità di territori come la Catalogna (e il Veneto e altri) contro gli stati nazionali e più in generale ha indotto una reazione di tipo localista, territorialista, e l’ingigantirsi di movimenti nazionalisti o apertamente razzisti. Il prelievo finanziario ha funzionato in modo sistematico: le banche rastrellano le risorse sociali, le fanno sparire nelle tasche degli amici (si pensi alle banche del signor Zonin, tanto per citare un esempio recente). Quindi lo stato interviene versando il denaro estorto alla società nelle casse della banca del signor Zonin che nel frattempo si è trasferito alle Bahamas. È comprensibile che i contribuenti, che sono per lo più i lavoratori (visto che le corporation evadono il fisco) cerchino una via di fuga. Non ci sono riusciti con la democrazia, come si è visto dopo il referendum greco del luglio 2015 e in mille altre circostanze, e allora ci provano con la vendetta localista, o con la vendetta razzista. Barcellona è la città più europea d’Europa, nodo di attività connettive, centro di produzione cognitiva e di lavoro precario e deterritorializzato. La delirante insurrezione indipendentista catalana è la cartina di tornasole della crisi europea. L’Europa che Eco immaginava avrebbe dovuto essere la rete che connette nodi come Barcellona. E invece l’Unione europea ha finito per rinforzare il ruolo dello stato, trasformandolo in esattore dell’austerità finanziaria. La sola cosa di cui l’Unione si occupa è il rispetto delle regole della governance finanziaria. Agli stati nazionali il compito di imporle. L’unica funzione dell’Unione europea che non smette implacabilmente di agire è quella monetaria che implica il costante impoverimento della società. Nessun’altra funzione è attiva, come dimostra il fallimento di una politica della migrazione e la svolta verso il sistematico respingimento, e verso la creazione di campi di concentramento per migranti che nel tempo si sta trasformando in un vero progetto di sterminio. La Catalogna è il punto di rottura di questa costruzione, di questo dominio dell’astrazione sull’attività sociale, mentre dovunque l’onda neo-razzista si gonfia, e siamo costretti a sperare che la destra prevalga sull’estrema destra, che Berlusconi prevalga su Salvini. Si può fermare questa precipitazione, oppure occorre immaginare uno sbocco quando sarà passata la tempesta?
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