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21 settembre 2017

 

Catalogna, mobilitazione permanente contro la repressione di Madrid

di Checchino Antonini

 

Catalogna, notte di tensione: polizia assediata dai manifestanti. E da oggi mobilitazione permanente degli indipendentisti. Stato di eccezione strisciante ma concreto

Arrestando i membri della Generalitat, il governo del Partito popolare continua la sua deriva autoritaria e repressiva con l’instaurazione di uno stato di eccezione strisciante, ma concreto, in Catalogna. Una restrizione delle libertà che in pratica si estende al resto dello Stato spagnolo e probabilmente è destinata ad approfondirsi: «La risposta deve essere chiara e senza esitazione: bisogna chiamare a votare il 1° ottobre e quindi disobbedire al “regime del 1978″, che dimostra la sua vera natura. Un regime che ha chiuso tutte le possibilità della sua auto-riforma e che si oppone al diritto all’autodeterminazionne. La posizione dell’estrema sinistra è che “il primo ottobre si debba votare e disobbedire per allargare una disobbedienza che possa permettere di aprire nuovi processi costituenti”.

Dopo una notte di tensione nel centro di Barcellona, il sindacato degli scaricatori del porto ha reso noto che boicotterà le navi noleggiate dal governo spagnolo per alloggiare i rinforzi di Guardia Civil e polizia nazionale inviati in Catalogna. Due navi da crociera a Barcellona e Tarragona ospiteranno gli agenti spagnoli. Il porto di Palamos, nel nord della Catalogna, ha negato l’autorizzazione di attracco a una delle tre navi, che è stata dirottata su Barcellona. Anche gli scaricatori di Tarragona hanno annunciato che non porteranno rifornimenti alla nave della polizia spagnola.

 

Dopo le manifestazioni in almeno cinquanta città spagnole, gli agenti della polizia spagnola sono rimasti ‘assediati’ dai manifestanti a Barcellona fino alle 3 del mattino nella sede del ministero dell’Economia catalano in Rambla de Catalunya. Gli agenti hanno potuto lasciare il palazzo solo a quell’ora dopo l’intervento della polizia catalana dei Mossos d’Esquadra. In serata 40mila persone erano riunite davanti al Palazzo, fra grida di «Libertà», «Voteremo», «via le forze di occupazione».

 

L’Assemblea Nazionale Catalana, la principale organizzazione della società civile indipendentista, ha convocato una concentrazione permanente a partire da oggi a mezzogiorno davanti al palazzo di Giustizia, dove si trovano tuttora 10 dei 14 arrestati di ieri. Quattro sono stati rimessi in libertà. Il presidente catalano Carles Puigdemont ha accusato la Spagna di avere «violato lo stato di diritto e attuato uno stato di eccezione» e ha confermato la convocazione del referendum del primo ottobre, nonostante la dura offensiva di Madrid. Puigdemont ha chiamato il paese alla resistenza pacifica, «la sola arma che abbiamo». Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha chiesto al presidente catalano di rinunciare al referendum, che ha definito una «chimera», per «evitare mali maggiori». Nelle oltre 40 perquisizioni attuate ieri, la polizia spagnola ha fra l’altro sequestrato 10 milioni di schede per il referendum e molto materiale elettorale. In precedenza la Guardia Civil aveva sequestrato migliaia di convocazioni destinate alle 45mila persone designate per costituire i seggi.

 

Anche la stampa si spacca lungo la linea di frattura catalana, quella di Madrid oggi approva il blitz contro il governo del presidente Carles Puigdemont mentre quella di Barcellona esprime indignazione e preoccupazione. «Vertigo!» titola a tutta prima pagina El Periodico, rilevando che «Il conflitto catalano si avvicina al bordo del precipizio» e che la «macro-operazione della polizia suscita un’ondata di indignazione». «La protesta occupa la piazza contro l’assedio al referendum del 1 ottobre» è il titolo di apertura di La Vanguardia, «Colpo dello Stato contro la Generalità» quello di Punt Avui. I quotidiani di Madrid si schierano invece con il governo del premier Mariano Rajoy. «Il seperatismo tenta di opporsi allo stato dopo la neutralizzazione del referendum» titola El Mundo, «La giustizia smonta l’organizzazione del referendum» per El Pais che dedica l’editoriale alle «Bugie di Puigdemont». Abc annuncia che «La democrazia è restaurata inCatalogna» e La Razon titola su «La fermezza della democrazia». Da ieri, tuttavia, è in corso la persecuzione di tipografie che stiano realizzando qualunque manifesto, documento o scheda di votazione per il 1 ottobre, con oltre 1.300.000 manifesti e volantini sequestrati, materiale ordinato dalla Generalitat (istituzione governativa catalana, ndt) e dal CUP. Anche il trasporto pubblico metropolitano ha ritirato tutti i manifesti relativi al referendum. Il Tribunale costituzionale ha proibito la concessione di permessi e spazi municipali per la campagna referendaria. La Guardia civile è entrata nelle redazioni dei media catalani che si supponeva emettessero pubblicità istituzionale sul referendum, chiedendo ai redattori i documenti di identità e trasmettendo la comunicazione al TSJC (Tribunale superiore di giustizia catalana). Oltre 700 sindaci sono inquisiti per l’appoggio al referendum. Si è richiesto ai principali operatori telefonici (Vodafone e Movistar) di bloccare l’ingresso ai server in cui si trova il sito ufficiale del referendum (www.referendum.cat), e di alcuni dei suoi mirror (www.ref1oct.catwww.ref1oct.eu). Sono stati interrogati direttori di aziende che hanno concorso alla realizzazione delle urne.

 

La cronaca di ieri

Catalogna: la situazione precipita. Arresti, occupazioni di edifici pubblici da parte della guardia civil e sequestro di schede e materiali per il referendum. Intanto in serata si apprende che la polizia dello Stato spagno ha anche occultato le informazioni sul terrorismo ai Mossos d’Esquadra, la polizia catalana.

 

Migliaia di cittadini sono scesi in strada denunciando le azioni dello Stato. Di tutte le età. Di tutte le posizioni. Si sono concentrati lì dov’era la presenza della Guardia Civil. Lo hanno fatto pacificamente nonostante la tensione. Lanciando garofani nell’aria. Sorridendo. Mostrando le schede elettorali incriminate. Gridando “voteremo, voteremo!”. Una massiccia insurrezione di disobbedienza attiva che difficilmente avrà un punto di ritorno. Le grida di disobbedienza e la richiesta di uno sciopero generale risuonano ora nelle strade di Barcellona e nei comuni di Catalogna. Chi è in piazza trova molti volti familiari. E una grande maggioranza non è indipendentista. Non prima di questo 20 settembre. «L’aria che si respira è di rottura totale», scrive un attore catalano, Marc Almodóvar su El Salto. «Quando parlo di rottura, intendo per esempio il modo in cui la Guardia Civile è stata accolta. Le auto della polizia militare sono state verniciate irrimediabilmente, piene di adesivi e ornate di bandiere… Se uno si aspetta una rivoluzione pura, naturalmente non lo è. Ma il martello dello Stato spagnolo sembra aver appena risvegliato la gente addormentata». Noleggiate tre navi da crociera per ospitare la polizia spedita a reprimere i catalani. Poliziotti dannosi anche come i turisti. A Barcellona è attiva anche una campagna #stopcruceros come quella No Grandi Navi di Venezia.

 

Il governo catalano dichiara che Rajoy ha oltrepassato la linea rossa. Rajoy s’è riunito dalle 12,30 con i segretari di Ciudadanos e del PSOE. Agenti della Guardia Civil si sono presentati all’alba nel dipartimento di economia del governo catalano per perquisirlo. Sono entrati anche in altri 4 enti e imprese e nella sede dell’Agenzia Tributaria. E’ un attacco frontale di Madrid contro il governo del presidente Carles Puigdemont, con mandati di arresto cintro 14 alti funzionari considerati ai comandi dei preparativi del voto del primo ottobre. «Era l’unica risposta possibile», ha spiegato in parlamento il premier spagnolo, Mariano Rajoy del PP, che ha dichiarato il referendum «illegale» e promesso di impedirlo, perché davanti alla sfida dell’indipendenza catalana «lo Stato deve reagire». «Tolga le sue sporche mani dalla Catalogna», gli ha gridato in aula un furibondo leader della sinistra repubblicana catalana, Erc, Gabriel Rufian. Durissima la reazione di Puigdemont al blitz. Dopo una riunione straordinaria del governo, ha denunciato «l’atteggiamento totalitario» dello Stato spagnolo: «Ha superato la linea rossa, la libertà è sospesa, situazione inaccettabile in democrazia».

Puigdemont ha annunciato che il referendum rimane convocato «in difesa della democrazia di fronte a un regime repressivo e intimidatorio».

 

Ma le ultime mosse di Madrid rendono sempre più difficile organizzare il voto. Le perquisizioni della Guardia Civil le hanno permesso nelle ultime ore di sequestrare 10 milioni di schede per il voto, grandi quantità di altro materiale elettorale e le lettere di convocazione ai 45mila membri dei seggi. La struttura organizzativa è praticamente decapitata con gli arresti dei 14 alti funzionari, fra cui Josep Jové, braccio destro di Oriol Junqueras, vicepresidente della Catalogna e uomo forte del ‘govern’ di Puigdemont. L’attacco al cuore delle istituzioni dell’autogoverno catalano ha creato una situazione incandescente a Barcellona. Migliaia di persone sono scese in piazza in difesa del ‘govern’ e del referendum al grido di «Libertà», «Indipendenza», «Fuori le forze di occupazione straniere», e cantando Els Segadors, l’inno catalano.

 

Ci sono stati momenti di forte tensione con gli agenti spagnoli che portavano via i dirigenti catalani in manette. Ma la protesta è rimasta pacifica. C’è stata alta tensione per ore anche davanti alla sede del partito della sinistra indipendentista Cup, circondato dalle forze antisommossa e difeso da oltre 10mila manifestanti.

 

Il presidente della Assemblea Nazionale Catalana, principale organizzazione della società civile indipendentista, Jordi Sanchez, ha annunciato una «mobilitazione senza precedenti» in tutta la Catalogna dai prossimi giorni. «Il governo Rajoy è impazzito», ha detto, avvertendo che ora potrebbero essere arrestati anche Puigdemont e Junqueras. Le associazioni sovraniste hanno fatto un appello alla popolazione per concentrarsi in modo pacifico davanti ai dipartimenti presi di mira dalla Guardia Civil. “E’ arrivato il momento, resistiamo pacificamente”, ha affermato Sanchez. In serata saranno moltissime anche le manifestazioni di solidarietà, almeno in 50 città, nel resto della Spagna, a partire dalla Puerta del Sol di Madrid, e la mobilitazione potrebbe crescere anche nel resto d’Europa visto che la voglia di indipendenza catalana suscita speranze e simpatie anche a sinistra.

Da più parti, anche nello Stato Spagnolo, si chiede lo sciopero generale. Già ieri a Madrid una riunione di Anticapitalistas, la corrente di sinistra di Podemos, ha dovuto spostare in strada, un meeting perché  sono arrrivate oltre 500 persone anziché il centinaio che poteva contenere la sala.

 

Sanchez il segretario del PSOE, che  in Italia è spacciato per una “novità” di sinistra, chiede al governo catalano di rinunciare al referendum.

Al di là degli arresti e delle perquisizioni, Madrid ha portato avanti oggi anche lo strangolamento finanziario del governo catalano. Il ministro delle Finanze Cristobal Montoro ha preso come previsto il controllo delle spese della Generalità e ne ha bloccato i conti correnti per evitare che «un solo euro» possa essere speso per il referendum «illegale». Sulla linea dura contro la Catalogna, Rajoy ha incassato l’appoggio dall’opposizione in nome della costituzione dei leader degli altri due grandi partiti unionisti spagnoli, il socialista Pedro Sanchez e Albert Rivera, leader di Ciudadanos, che ha visto alla Moncloa. Il solo grande partito spagnolo favorevole al referendum, Podemos, ha duramente condannato il blitz della Guardia Civil. «È una vergogna», ha accusato il segretario Pablo Iglesias, «in Spagna tornano a esserci detenuti politici». In realtà, le cronache sulla repressione, la detenzione e la tortura di prigionieri soprattutto baschi non hanno soluzione di continuità dall’epoca franchista.

 

Che cosa dice la Costituzione (post ma no troppo) franchista

Le regole definite dalla Costituzione post-franchista, scritta dai militari alla vigilia della transizione, per una Spagna «indissolubile», a meno di un difficile e arduo iter di riforma (con doppia maggioranza qualificata parlamentare e referendum popolare), sono superiori a qualsiasi decisione presa da un parlamento autonomo. Così la Corte costituzionale spagnola ha bocciato all’unanimità il 20 settembre la decisione del Parlament di Barcellona di indire un referendum per l’indipendenza della Catalogna il primo ottobre. La Costituzione del 1978 afferma che «la sovranità nazionale appartiene al popolo spagnolo, cui emanano i poteri dello Stato» e la forma politica «è la monarchia parlamentare». La Carta fondamentale sancisce «l’unità indissolubile della nazione spagnola, patria comune ed indivisibile di tutti gli spagnoli, riconoscendo e garantendo il diritto all’autonomia». L’articolo 9 recita poi che «i cittadini e i poteri pubblici sono soggetti alla Costituzione e al resto dell’ordinamento pubblico». Le revisioni costituzionali di ampio respiro o sui principi generali sono regolate dall’articolo 168 e prevedono una maggioranza dei due terzi di ciascuna delle due Camere seguita dallo scioglimento delle Cortes. Tocca poi alle nuove Camere, una volta ratificata la decisione, lo studio del nuovo testo costituzionale, da approvare di nuovo con una doppia maggioranza dei due terzi. Una volta approvata la riforma, si procede a un referendum per la ratifica definitiva. La Corte costituzionale ha bocciato all’unanimità, dichiarandolo nullo e incostituzionale, il referendum in quanto il parlamento catalano «si è arrogato attribuzioni sulla sovranità superiori a quelle derivanti dall’autonomia riconosciuta dalla Costituzione, insistendo per introdurre nell’ordinamento giuridico con apparente validità un oggetto specifico: il presunto ‘processo costituente’ in Catalogna, la cui incostituzionalità» è stata dichiarata numerose volte dallo stesso tribunale. La Costituzione, ricorda infine la Corte, non permette di «contrapporre la legittimità democratica e la legalità costituzionale» privilegiando la prima. Quindi «la legittimità democratica del parlamento della Catalogna non può opporsi al primato senza condizioni della Costituzione».

 

Indipendentismi d’Europa

Oggi è il turno del referendum catalano, nel 2014 c’era stato quello in Scozia, nel 2010 il Belgio sembrò sull’orlo di un divorzio tra fiamminghi e valloni: sono gli esempi più recenti di come separatismi e indipendentismi attraversano ancora l’Europa, simili a fiumi carsici che di tanto in tanto riemergono in superficie. Oltre alla Catalogna - in questo momento sotto i riflettori dell’attualità – ecco una mappa delle altre aree dell’Unione europea a più forte trazione ‘localistà. * SCOZIA – Nel 2014, un referendum ha respinto la secessione dal Regno Unito con il 55%. Ora i separatisti vorrebbero tornare alla carica ma la premier Nicola Sturgeon ha rimandato una seconda consultazione a dopo la Brexit. Sentimenti separatisti e indipendentisti animano anche frange della popolazione nel Galles e nell’Irlanda del Nord. * BELGIO – La spaccatura tra le due identità di fiamminghi, di lingua olandese, e valloni, francofoni, riemerge a ogni tornata elettorale. Tra il 2010 e il 2011 il Paese è rimasto 18 mesi senza governo. È il re a mantenere di fatto l’unità dello Stato. * PAESE BASCO – Dopo aver rinunciato alla violenza nel 2011, il gruppo indipendentista dell’Eta ha consegnato il suo arsenale l’8 aprile di quest’anno. 43 anni di lotta armata contro lo stato spagnolo, iniziata alla fine della dittatura franchista, hanno fatto 829 morti. Ora si punta ad una maggiore autonomia della regione. * CORSICA – A maggio l’Assemblea Corsa ha votato una legge che ha fatto della lingua regionale la seconda lingua ufficiale dell’isola, dopo il francese. «La lotta di liberazione nazionale non è finita», ha annunciato il Fronte di Liberazione Nazionale della Corsica (Flnc) ancora quest’estate. * SLESIA – Anche la Polonia ha i suoi separatisti, nella regione meridionale della Slesia, fortemente industrializzata, germanizzata nel Medioevo e dove si parla una lingua a sé. Il Movimento per l’autonomia della Slesia è arrivato a prendere circa il 9% alle elezioni regionali nel 2010. In Italia, al di là delle pagliacciate leghiste, esiste una tradizione indipendentista, piuttosto sfaccettata, in Sardegna, Sicilia e Alto Adige che meriterebbe un articolone a parte.

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