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Sabato, 04 Marzo 2017

 

Utopia per realisti: lavorare meno per vivere meglio?

di Enrico Genovese

 

I robot sostituiranno l’uomo nella maggior parte dei lavori comuni.

Quella che un tempo sarebbe stata accompagnata da un punto di domanda oggi è una solida certezza.

 

Sta già accadendo. Cassieri, camerieri, dipendenti delle catene di produzione: sono diversi i lavori che sono destinati ad essere soppiantati dalle macchine. Nei prossimi anni non si avrà nessuna drastica evoluzione in stile “Io Robot”o “Blade Runner”, eppure le nuove tecnologie prenderanno sempre più spazio. Nel 2021, queste sostituiranno oltre il 6% della forza lavoro negli Stati Uniti, afferma un rapporto della società di ricerche di mercato Forrester.

La società postindustriale, ai suoi albori, sta delineando una direzione chiara della globalizzazione per quanto riguarda l’automatizzazione del mercato del lavoro.

Quale sarà la risposta che i governi di tutto il mondo prenderanno?

La sfida è complessa: i lavoratori che rischiano di perdere il lavoro, le masse che dovranno confrontarsi con l’avanzare delle tecnologie, saranno sempre di più.

Il giovane storico e giornalista olandese Rutger Bregman è convinto che sia necessario mettere in discussione la natura stessa della società. Nel suo recente libro “Utopia for realists: the case for a universal basic income, open borders and a 15-hour workweek”, avanza delle idee provocatorie per provare a cambiare un futuro che sembra essere già scritto da quelli che sono i dettami del capitalismo moderno.

Secondo Bregman, per vivere meglio basterebbe semplicemente lavorare di meno.

Già nel 1930, l’economista John Maynard Keynes affermava nella lettura pubblica “Possibilità economiche per i nostri nipoti” la necessità di ridurre le ore lavorative, in una società che vedeva troppo concentrata “nel combattersi e non nel divertirsi”. Inoltre aveva ipotizzato come nel 2030 gli standard di benessere dei paesi occidentali sarebbero enormemente aumentati e le ore di lavoro drasticamente ridotte. La previsione si è rivelata soltanto in parte corretta. A oltre 80 anni di distanza, lo stacanovismo, la pressione costante data dal lavoro e il poco tempo libero sono simboli saldi della nostra epoca. In tal senso, il tempo libero dagli anni adolescenziali a quelli del lavoro non è un elemento visto positivamente dalla società.

Lavoro e vita. Vita e lavoro. Sono diventati due elementi indissolubili. Sebbene in media l’uomo occidentale attualmente fatichi molto meno nell’ambito lavorativo di quanto facessero i propri colleghi durante l’età keynesiana, è innegabile che sia stato raggiunto un grado di altissima pervasività. Il rapporto uomo-lavoro visto un tempo come elemento essenziale di autodeterminazione all’interno della società, sta cambiando. Soprattutto grazie alle nuove tecnologie, lo smartphone in primis, è possibile a livello teorico non separarsi mai del tutto dai propri impegni lavorativi, portando ad una sempre più preoccupante miscela fra vita professionale e vita privata.

La provocatoria proposta di Bregman è stata accolta allo stesso tempo con entusiasmo e scetticismo in tutta Europa. Lo storico propone di ridurre a 15 ore la settimana lavorativa. Nel dettaglio, afferma la necessità di eliminare tutti quei lavori “inutili” a bassa produttività e pagati con stipendi bassi, che potrebbero essere svolti efficientemente dalle macchine. Bisognerebbe focalizzarsi su quei lavori definiti utili, come l’assistente sociale, l’insegnante o lo scienziato, in modo da recuperare molte ore e cambiare il modo stesso in cui viviamo.

Come sarebbe sostenibile tutto ciò? Viene teorizzato il reddito di cittadinanza universale come fondamento della nuova utopica società.

Non si tratta di una proposta isolata. Recentemente, il noto sociologo Domenico De Masi, appoggiato dal Movimento 5 Stelle, ha avanzato delle proposte simili. Ridurre le ore lavorative per permettere a milioni di disoccupati di entrare nel mercato del lavoro. “Lavorare gratis, lavorare tutti”, è appunto il titolo del libro dell’accademico, fortemente provocatorio, nel quale viene spiegato che se tutti i lavoratori “prestassero” alcune delle loro ore lavorative ai disoccupati questo provocherebbe da una parte un forte shock al mercato del lavoro e dall’altro li aiuterebbe a diventare, improvvisamente, attivi, acquisendo competenze necessarie per potersi aprire a prospettive lavorative stipendiate in altre aziende. Come sostenere tutto ciò? Reddito di cittadinanza, nuovamente.

Combattere la disoccupazione è una delle sfide del futuro prossimo, italiano e non solo.

E’necessario comprendere e superare l’orrore economico – L’horreur économique – concetto centrale e titolo del libro della scrittrice francese Viviane Forrester.

“Tale orrore consiste nel fatto che tutta la nostra ricchezza, il nostro prestigio, la nostra rispettabilità, le nostre opportunità, le nostre tutele, qualsiasi forma di sopravvivenza, derivano dal nostro lavoro. Ma il lavoro viene negato a un numero crescente di persone che, per questa deprivazione, sono gettati nella disperazione.” afferma De Masi.

Diverse sono le problematiche, i dubbi che sorgono.

Lavorando di meno, non crollerebbe la produttività di ogni nazione? La Danimarca ha una delle più brevi settimane lavorative del mondo, eppure è paese ad elevati termini di produttività.

Produttività. Un termine che comunque va analizzato fino in fondo. Sono i cittadini maggiormente stakanovisti dei paesi in cui si lavora di più (Stati Uniti e Regno Unito), a passare il maggior numero di ore davanti alla televisione. È questa l’unica faccia e conseguenza possibile di un paese che può definirsi economicamente avanzato?

Si tratterebbe di una società necessariamente più felice? Sì secondo Bregman, che cita degli studi secondo i quali quasi il 40% dei lavoratori britannici ritiene il proprio lavoro del tutto inutile, una perdita di tempo.

Se da una parte è fondamentale rendere le nuove tecnologie sempre più utili e meno dannose per l’uomo, dall’altro non sono chiare le intenzioni reali di molti datori di lavoro. Perché investire elevate quantità di denaro per automatizzare determinati settori quando è possibile utilizzare (secondo alcuni sfruttare) a basso costo l’ampio bacino di lavoratori disposti a svolgere quei lavori definiti appunto “inutili”?

I dubbi sono molti e non tutte le domande sembrano avere delle risposte chiare.

Eppure, con uno sforzo, è possibile provare ad immaginare ciò che ci chiedono di visualizzare questi due accademici.

Ridurre consumi e ore di lavoro e concedere a tutti un reddito minimo, aiuterebbe a combattere la disoccupazione, diseguaglianze economiche e di genere. Una società forse più felice, che dà il giusto peso a ciò che gli antichi romani definivano otium, il tempo libero dagli impegni nel quale è possibile aprirsi ad una dimensione quasi ignota ai nostri occhi moderni, quella creativa.

“Per un mondo senza confini e senza povertà, è tempo di tornare al pensiero utopico”, conclude Bregman.

Utopia o incubo? Potenziale futuro o pura follia?

La strada è ancora lunga, il dialogo è stato aperto, sta a tutti noi decidere come e se ristrutturare la nostra società, in un modo o nell’altro.

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