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29 novembre 2017
Leggendo Di morire libera,
un romanzo di Monica Mazzitelli.
Ed. Santiago
Femm’ne s’ nasc’ brigant’ s’ mor’
Recensione scritta e disegnata da Eliana Como
Prima di iniziare a scrivere la recensione di questo romanzo, ho provato a disegnarla. Primo perché un libro quando è così bello va semplicemente letto, non può essere raccontato. E poi perché i ritratti sono una parte importante di questa storia. Forse la ragione stessa per cui l’autrice, Monica Mazzitelli, ha deciso di raccontarla.
Di morire libera è la storia di una donna. La storia di Michelina Di Cesare, brigantessa vissuta negli anni successivi all’invasione del Regno delle Due Sicilie e all’unificazione dell’Italia sotto il re sabaudo. Femminista ante-litteram, donna coraggiosa e libera.
La storia dei briganti è stata raccontata poco e soprattutto male. Quella delle brigantesse meno che mai e anche peggio. La storia ufficiale è stata scritta dai vincitori e la ribellione dei briganti contro uno Stato usurpatore ha finito per essere storia di banditi comuni. Non che i Borboni fossero meglio, ma nei libri di storia in cui generazioni intere hanno studiato, non c’è niente o quasi sulla repressione crudele e sanguinosa dei piemontesi, passati invece come portatori di giustizia e legalità nelle terre appena liberate del sud.
Monica racconta questa storia in forma di diario, dal 20 gennaio 1861 al 30 agosto 1868. Una ricostruzione storica dettagliata, attraverso documenti di archivio e trascrizioni originali. Documenti che parlano. E amano. E piangono. E vivono. Dal primo all’ultimo giorno, quello in cui Michelina muore ammazzata, fucilata alle spalle e barbaramente massacrata.
É il racconto di una guerra, attraverso gli occhi di una donna. Come tutte le guerre, atroce e violenta, soprattutto sui corpi delle donne che vi si trovano in mezzo, per caso o per necessità. Oppure per scelta, come in questo caso.
Michelina non fu soltanto uccisa. Il suo corpo fu martoriato dai soldati dell’esercito sabaudo. La spogliarono, la picchiarono, le sputarono in faccia. Una fotografia, l’unica vera che resta di lei, la mostra con la bocca contratta in una smorfia di dolore, la pelle infangata, il seno nudo. Era incinta di cinque mesi, quando la uccisero. Il suo corpo, umiliato e offeso, venne esposto in piazza e divenne oggetto di propaganda dei conquistatori. È una immagine terribile, ma l’unica vera che resta.
Quella famosa, che tutti troverete scrivendo “Michelina Di Cesare” su un qualsiasi motore di ricerca, quella che è diventata in qualche modo simbolo della rivolta femminile contro l’usurpazione sabauda delle terre del sud, è invece falsa. Una ricostruzione in studio con una modella in abiti tradizionali, revolver e fucile in mano.
Ecco, il romanzo di Monica restituisce a Michelina il suo vero volto, quello di una donna coraggiosa, morta ammazzata insieme al marito Francesco Guerra. Morta ammazzata, sì. E il suo corpo umiliato senza pietà. Ma non importa, perché morì libera, senza essersi sottomessa e senza aver tradito i suoi ideali e le sue speranze. È così, che, secondo Monica, Michelina vorrebbe essere ricordata: non abbiate pietà di me, la mia vita l’ho scelta e l’ho vissuta, e sapevo pure come sarebbe finita. Andava bene anche di morire, ma di morire libera.
Ecco, perché prima di scrivere questa recensione, ho provato, a mio modo, a disegnarla e a immaginare il volto di una donna bella, dai capelli scuri, morta libera. In fondo, anche il romanzo di Monica non è che un bellissimo ritratto.