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9 ottobre 2017

 

Roberto Calasso, terroristi e turisti

Marco Belpoliti

 

Roberto Calasso è interessato ai terroristi. Non quelli del passato, ma a quelli del presente: i terroristi islamici. Sono l’incarnazione di una questione che lo ossessiona dai tempi della Rovina di Kasch (1983): il sacrificio. I giovani terroristi suicidi di Parigi, Londra, Berlino, Nizza, Barcellona con il loro sacrificio protraggono nel mondo contemporaneo – l’età dell’inconsistenza, come la chiama Calasso – un rituale fondamentale che sembrava scomparso nel regno della modernità. Attraverso i ragazzi dell’Isis e di al-Queda il sacrificio celebra nuovamente i suoi fasti: “Il terrorismo islamico è sacrificale: nella sua forma perfetta, la vittima è l’attentatore”. Un ritorno al passato? Non proprio. C’è una differenza sostanziale rispetto al sacrificio arcaico del mondo ciclico evocato nella Rovina di Kasch. In quel libro, costruito per frammenti, giustapposizioni, montaggi, l’antica macchina sacrificale “era concepita per stabilire un contatto e una circolazione tra visibile e invisibile”, mentre l’attentatore che oggi uccide morendo è perfettamente visibile, misurabile, quantificabile, fotografabile. In L’innominabile attuale, volume appena pubblicato da Adelphi, Calasso aggiorna il libro del 1983, aggiunge 180 pagine di postille trent’anni dopo. Il mondo è cambiato, ma la lettura che Calasso ne dà resta imperniata sull’asse cosmico, con una differenza di prospettiva: “Come i missili, l’attentato sacrificale punta verso il cielo, ma ricade sulla terra”.

 

Nel nuovo sistema sacrificale dei terroristi islamici il Cielo non è raggiunto. Lo scambio tra visibile e invisibile, quantità e qualità, non accade più, e tuttavia il paradigma sacrificale di Calasso resta identico. Come aveva notato Italo Calvino, recensendo all’epoca La rovina di Kasch, con la nascita della modernità il sacrificio cruento aveva lasciato le ragioni del sacro per trasformarsi in “esecuzioni ispirate dalla ragion politica o dagli stermini nel corso di qualche esperimento che dovrebbe avvicinarci alla felicità umana”. Un nome per tutti: Pol Pot e i Khmer rossi, uno dei più sconvolgenti genocidi della seconda metà del XX secolo condotto in nome dell’ideologia. E ora? Quale novità ci racconta Calasso? Il suo libro è intriso di malinconia e insieme cinismo, di catastrofismo e lucidità; è un libro scritto sull’orlo di un precipizio con lo scopo di reiterare la propria condanna del mondo contemporaneo, una condanna che continua con costanza e intelligenza da molti anni. Calasso coglie però in questo libro il tema fondamentale del terrorismo islamico attuale e lo mostra in poche frasi: le vittime sono i terroristi, non i morti. Sono loro, le vittime, che uccidendosi rendono perfetto l’omicidio di decine di persone. Una verità che è stata spiegata benissimo da Albert Camus in L’uomo in rivolta (1951), un libro che stranamente Calasso non cita, e che è la più lucida disanima del terrorismo dall’epoca del suo debutto nella Russia zarista nel XIX secolo. Ora “predominano gli attentati degli assassini-suicidi che si fanno esplodere”.

 

Perché lo fanno? Il loro gesto contiene una grandezza, o presunta tale, che a noi sfugge: io mi uccido, dice il terrorista islamico, per ciò in cui credo; lo faccio contro i vostri valori, quelli per cui voi invece vivete: i valori del materialismo, a partire dal consumismo. Voi vivete per questo, io mi sacrifico contro questo. L’autore di L’innominabile attuale non scandaglia le ragioni psichiche o sociali di questi giovani, preferisce tenere il discorso su un piano che un tempo si sarebbe detto “ideologico”, e che, nel suo caso, è più giusto chiamare “metafisico”. Calasso ragiona solo per grandi orizzonti, evidenziando le immense forze che muovono il mondo, spesso a nostra insaputa. Egli osserva quello che accade dall’alto, da una posizione elevata. Paradossalmente è proprio quest’altezza dello sguardo, il titanismo implicito nella sua posizione, titanismo che si sposa spesso a un sarcasmo pungente, che gli permette di cogliere dettagli decisivi alla comprensione del tutto. Il primo è la coincidenza tra il terrorismo islamico e la diffusione della pornografia in rete.

 

Negli anni Novanta attraverso internet, scrive, diventa disponibile “ciò che avevano sempre fantasticato e desiderato”. Loro sono gli islamici, gli ultimi credenti, stando allo stesso Calasso, che in questa definizione coglie nel segno: l’Islam è oggi l’ultima religione (ne aveva scritto nel 1981 Naupaul in Tra i credenti, poi tradotto da Adelphi). Scrive: “Il mondo secolare aveva invaso la loro mente con qualcosa d’irresistibile, che li attirava e al tempo stesso li irrideva e li esautorava”. Gli uomini di fede islamica erano attratti e contemporaneamente scandalizzati. La pornografia mostrava loro un eccesso con una doppia valenza: negava tutti i valori della loro cultura tradizionale, e questo li faceva infuriare; e insieme mostrava che l’eccesso era possibile, compreso quello dell’attacco all’Occidente corrotto. Un complesso davvero difficile da districare. Il brano solleva una questione che spesso in Occidente viene ignorata, o peggio sottovalutata: la connessione che esiste tra sesso e terrorismo. Negli anni Settanta, agli albori del terrorismo di sinistra, della lotta armata, Pier Paolo Pasolini aveva indicato in un articolo su un giornale, “Tempo”, proprio nell’eccesso di libertà sessuale la causa del terrorismo stesso.

 

Ne ha scritto di recente anche Houellebecq in Sottomissione (Bompiani ). Con il suo tono icastico e insieme apocalittico Calasso scrive che la risposta dei giovani islamici alla pornografia in rete sarebbe stata: andare “oltre”. Aggiunge: “di là dal sesso, c’è solo la morte. Una morte sigillata dal significato”. Osservazione apodittica, ma non priva di fondamento e perfetta per la sua lettura sacrificale. Calasso ha scandagliato, oltre al sacrificio, anche questo aspetto fondamentale che al sacrificio si lega, ovvero la sessualità, protagonista assoluta di almeno un paio di suoi libri. Un continente che lo scrittore ha esplorato nel suo aspetto storico e culturale forse più complesso: l’India del Kamasutra. Quello che di nuovo hanno i terroristi islamici – e qui sta il punto centrale della sua lettura – è il “terrore secolare”. Così lo definisce, e subito spiega: il nuovo terrorismo non è né religioso né politico né economico né rivendicativo, bensì fondato sul caso. Questo è il tema che gli permette di saldare le prime pagine dedicate al terrorismo con quelle centrali del saggio “Terroristi e turisti”; il tema è quello del dominio della casualità moderna imperniata sul numero – l’algoritmo nella sua versione materialista. Anche a questo riguardo Houellebecq ne ha fatto materia di narrazione in Piattaforma nel 2001 (Bompiani). “Secolare” è un aggettivo che Calasso aborrisce: sta per secolarizzazione, cioè ciò che ha distrutto in Occidente il Sacro. Il nuovo terrorista si differenzia da quello nichilista – i russi del XIX secolo, ma anche gli anarchici del XX e probabilmente persino i brigatisti rossi, culmine del nichilismo, seppure questo non lo dica esplicitamente. “Il terrorismo secolare – scrive – vuole innanzitutto uscire dalla coazione sacrificale. Passare al puro assassinio”.

 

Qui starebbe la differenza, ammesso che si possa davvero differenziare tra i terroristi nichilisti del passato, del passato prossimo, e i nuovi terroristi del presente, gli islamici. Il terrorismo casuale sarebbe “la forma di terrorismo più corrispondente al dio dell’ora”. Chi è il “dio dell’ora”? Il nostro dominatore, il tempo degli orologi, il tempo rettilineo, opposto al tempo dell’eterno ritorno, al tempo circolare. A questo punto del libro il suo discorso sembra girare in tondo, ritornare su se stesso. Non può proseguire dal momento che la differenza effettiva non sta nel terrorismo nichilistico e quello che Calasso chiama terrorismo casuale. Cosa sarebbe il caso cui si appella? L’uccidere a caso, come nell’azione con il camion, come a Nizza, o con le bombe sui treni come alla stazione di Atocha a Madrid? Non aveva fatto così anche Mario Buda, l’attentatore di New York, l’inventore dell’autobomba nel 1920? L’anarchico italiano aveva colpito a caso a Wall Strett. Calasso definisce il regime sacrificale del passato mediante “la scelta della vittima”: non è mai a caso.

 

Ma non basta dire che il terrorismo causale non fa discriminazione di ceto o di età, come scrive, perché tutti coloro che sono morti in questi anni di terrorismo suicida hanno una cosa in comune, e non sono affatto casuali. Sono miscredenti, i nemici dell’Islam o, in versione minore, gli islamici tiepidi. I terroristi sono i “supermusulmani” come lo psicoanalista francese d’origine tunisina Fethi Benslama. Tutti i non-credenti meritano di morire, secondo i predicatori dell’Isis. In una cosa Calasso però coglie nel segno parlando del nuovo terrorismo: l’uccidere uccidendosi. Il martire è un suicida, solo così giustifica la sua azione, solo così merita il Paradiso di Allah dove lo attende la schiera delle vergini. Questa è la chiave per comprendere il terrorismo islamico attuale. Non c’è metafisica che tenga: la nuda verità materiale sta in questo gesto assurdo dal punto di vista della psicologia occidentale (l’idea del martire era ben presente alla chiesa cristiana delle origini, bagnata dal sangue del sacrificio dei martiri, ma non si trattava di suicidi). Il sacrificio rende puri, per questo il terrorista può uccidere: l’attende, non solo il Paradiso, ma prima di tutto l’assoluzione preventiva da ogni senso di colpa. Ci si uccide per uccidere. Se il terrorista sopravvive alla propria azione, è un fallito. Per lui ogni strada è chiusa. Non solo quella del Paradiso. Nessuna organizzazione terrorista, dall’Isis ad al-Qaeda, ha previsto di “salvare” i martiri sopravissuti: sono abbandonati a loro stessi. 

 

La parte centrale del primo saggio, ricca d’intuizioni, immagini e connessioni impreviste – nel cortocircuito sta la forza della prosa di Calasso, che porta il lettore in cima alle montagne russe e lo fa precipitare di colpo nel breve giro di una frase –, lavora intorno al nodo del secolarismo, ovvero al medesimo nucleo di La rovina di Kasch dove, come aveva visto Calvino nella sua recensione, si riconosceva come unico valore possibile in questo mondo secolarizzato la leggerezza. Ora in L’innominabile attuale la leggerezza è scomparsa, annegata nella metafisica degli ultimi giorni dell’umanità. Non che Calasso sia per l’apocalisse. Le sue pagine procedono piuttosto nell’ambito dell’apocatastasi, ovvero nella zona che è definita dal penultimo. Tutto per lui è penultimo, mai ultimo. Le sue frasi non si chiudono mai su se stesse, lasciano sempre qualcosa d’inconcluso, come la struttura stessa dei suoi libri, lascia sempre una menda, un foro, da cui si può fuggire, perché i tempi penultimi permettono questo. Gran parte del pensiero, della letteratura, che lo scrittore ha radunato sotto le bandiere della casa editrice, che dirige dagli anni Settanta, sono pensatori del penultimo, non dell’ultimo. A partire da Bobi Bazlen, che è stato il mentore, il maestro di Calasso.

 

Bazlen era un genio del penultimo. Ebbene questa parte centrale, per quanto elegante e affascinante (ad esempio la figura dei “transumanisti” contrapposti ai “secolaristi”), non porta molto di nuovo rispetto al libro del 1983. Il secondo termine che dà forma al titolo – turisti – suona invece nuovo. La diade “terroristi e turisti” sa molto di Adorno, dell’autore dei Minima moralia, un modello che Calasso ha sempre tenuto d’occhio anche quando ha respinto il pensiero del francofortese (e qui, nell’abbozzo di critica del Turismo c’è pure qualche traccia di Enzensberger, nipotino di Adorno e Horkheimer). In comune terroristi e turisti hanno l’extraterritorialità e la condizione di apolidi. Sono degli inappartenenti. Scrive Calasso: “Se i turisti vengono osservati con qualche imbarazzo e un accenno di riprovazione, è l’umanità che guarda se stessa e sospetta di aver perduto qualcosa. Non sa bene che cosa, ma sa che non sarà recuperabile. Qualcuno ha detto che con la democrazia viene esteso a tutti il privilegio di accedere a cose che non sussistono più”. Per l’autore il turismo è il modello della realtà virtuale: una realtà seconda. In queste pagine la passione metafisica dell’autore va crescendo, centrando spesso l’obiettivo dell’aforisma, ispirato da un altro dei suoi modelli, questo sì palese: Karl Kraus.

 

Ma davvero il turista è questa cosa, una realtà seconda? Nel 1773 il dottor Johnson in una lettera a Hester Thrale scriveva: “L’utilità del viaggiare è di regolare l’immaginazione per mezzo della realtà e invece di pensare come le cose possono essere, vederle come sono”. Il viaggiare di cui parla Johnson è il turista? Nel 1869 Mark Twain, come ricorda Marco d’Eramo in un recente libro dedicato al turismo (Il selfie del mondo, Feltrinelli), pubblicò un libro fondamentale con cui comincia ufficialmente l’Età Turista: Innocents Abroad (Gli innocenti all’estero). Si trattava del resoconto della crociera a bordo del Quaker City, la prima organizzata negli Stati Uniti per visitare l’Europa, che definì “il progresso dei nuovi pellegrini”. Twain si poneva il problema dello sguardo: che cosa attrae il turista? La risposta a questa domanda è quella che distingue il viaggiatore dal turista, l’eccezionale dal banale. Viviamo in un’epoca in cui non è più possibile differenziare in modo preciso cosa cerca, e vede, l’uno, e cosa cerca, e vede, l’altro. Il turista è anche lui, come il terrorista, un essere secolarizzato, scrive Calasso. Nessuna possibilità di cavarcela, se lo seguiamo su questa strada. Il problema, come ci ricorda D’Eramo, è che in questi ultimi cinquant’anni non è cambiata solo la nostra relazione con il tempo (tempo di lavoro e tempo libero), ma anche e soprattutto la relazione con lo spazio. Un gruppo di uomini e donne seduti nella sala di aspetto di un aeroporto, in attesa di salire su aereo di linea e di dirigersi nel medesimo luogo, da cui poi dipartirsi verso ulteriori e differenti mete, non è davvero nel medesimo luogo. Le tecnologie digitali le rendono abitanti (o turisti) di realtà diverse: multidimensionali. Una sta ascoltando un brano musicale di un cantante caraibico, l’altro conversa con la cugina australiana, un altro guarda la partita di calcio sul visore del suo smartphone, un altro ancora legge un quotidiano di Città del Capo.

 

Bello o brutto, giusto o sbagliato che sia, viaggiamo in un mondo plurimo, pluriverso, molto lontano da quello che Calasso postula nel suo libro, un mondo, il nostro, dove l’idea di “contatto” è declinata in forme nuove rispetto al passato. Non necessariamente il nuovo è migliore, ma in ogni caso è. Questo è il punto. L’universo entro cui si chiude Calasso – un mondo a suo modo spazioso – non è il nostro stesso mondo. Per capire questa differenza basta leggere la seconda parte del libro, intitolata La società viennese del gas. Si tratta di una serie di brevi pezzi disposti in sequenza temporale, dal gennaio 1933 al maggio 1945, ciascuno scandito da una data e con un racconto: puro storytelling. Una sequenza in cui l’autore descrive “l’autoannientamento” che l’umanità ha tentato, il tutto compreso tra l’ascesa al potere di Hitler e la fine del secondo conflitto mondiale. Qui davvero siamo agli “ultimi giorni dell’umanità”. Sono pagine bellissime, abbacinanti, dove il genio per il dettaglio di Calasso brilla per rapidità, capacità di sintesi, e anche per indugio, pausa, sosta. Sono decine di micro-storie che danno da pensare, ma che fanno anche capire la prospettiva storica, e dunque temporale, con cui questo autore pensa al futuro.

 

Viviamo oggi sospesi in un mondo penultimo, quello dominato da Donald Trump, il più farsesco dei personaggi storici apparsi negli ultimi 70 anni. Le pagine di Calasso non lo nominano, ma il suo faccione sgarbato e la capigliatura color polenta fa capolino nelle pagine di L’innominabile attuale (che sia lui l’Innominabile?), pagine sinistre: stiamo precipitando nel medesimo baratro del 1933? Davvero un piccolo paese come la Corea del Nord è in grado di scatenare le follie di un insano dottor Stranamore? L’attuale non è però innominabile. Al contrario: è perfettamente nominabile. Ci sono altri pensatori e altri libri che ci possono venire in soccorso, altre parole per rispondere alla provocazione di Calasso che finisce per definire quest’epoca, la nostra, inconsistente. Nonostante tutto consiste. Nonostante i terroristi e i turisti. Anzi forse proprio grazie a loro. 

 

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