http://www.lintellettualedissidente.it/ 17 giugno 2013
Jean Jacques Rousseau di Lorenzo Vitelli
"Esso si impone a noi continuamente, e sempre nuovamente, ci trascina con sé" Ernest Cassirer
28 giugno 1712, nasceva l’uomo Jean-Jacques, divenuto in seguito Rousseau. Nacque a Ginevra, in Svizzera, e nelle Conféssions considerò sempre la sua infanzia come un periodo spensierato, innocente, spontaneo, mentre l’adolescenza un momento passivo di formazione intellettuale. Jean-Jacques leggeva molto, i greci, stoici ed epicurei, i romani, ma anche moralisti del suo tempo, e nelle sue memorie, quasi catarticamente, dette sempre molta importanza ai tratti psicologici e alla formazione del suo Io, in queste fasi della sua vita, attraverso i primi traumi, i comportamenti, le piccole bugie (il famoso “ruban volé”). Dopo lo shock del passaggio dall’infanzia all’adolescenza, dall’ingenuità alla consapevolezza, dall’inconscio infantile alla creazione dell’Io vero e proprio, Rousseau visse drammaticamente anche l’arrivo, nel 1742, nella società parigina, già allora centro del mondo intellettuale, filosofico e artistico, nucleo vivo e motore dell’Illuminismo.
Questo arrivo a Parigi segna per Rousseau la sua iniziazione nella società civile del progresso, dell’evoluzione, delle scienze, delle arti, la società intellettuale, la grande città, Parigi, che si preparava ad accogliere tutto l’Ottocento e il suo ruolo di centro del mondo occidentale. Ed ecco che quest’esperienza segnò una grave crisi in Jean-Jacques, che vide decantarsi tutti i miti di cui tanto aveva letto nei libri. I moralisti ridevano grassamente nei loro salotti borghesi, senza un minimo di quella morale tanto professata, i filosofi erano cinici o astratti, freddi nei confronti dell’uomo, gli aristocratici vivevano nel lusso e nell’ozio, godendo dell’arte e delle scienze come mezzi di svago e di intrattenimento. I borghesi invece, per le strade, nei mercati, già cominciavano a tessere quella moderna società capitalista che dopo un secolo avrebbe portato alla prima rivoluzione industriale, allacciavano rapporti falsi, interessati, guidati dall’utile mercantile, dal profitto, dallo scambio, rapporti borghesi tout court.
Jean-Jacques allora, in stretto contatto con gli enciclopedisti, cominciò a criticare le loro concezioni giusnaturalistiche fondate sulle premesse di Grozio, Puffendorf, Locke, e dopo la pubblicazione del Discorso sulle scienze e sulle arti, nel 1750, in risposta al quesito dell’Accademia di Digione, che chiedeva se il rinascimento di entrambe avesse contribuito ad epurare o a corrompere i costumi, Rousseau vi entrò decisamente in conflitto.
Fu sulla via di Vincennes, infatti, mentre andava a trovare Diderot incarcerato, nel 1749, che a Jean-Jacques cadde l’occhio sul giornale, dove vide la domanda dell’Accademia. Si fermò all’ombra di una albero, e comprese tutto. Tutto il suo pensiero gli apparve per immagini in una mezz’ora intensa e piena di significato, tra le lacrime, dove, racconta lui stesso, se solo avesse saputo in seguito esprimere un quarto di ciò che aveva afferrato, avrebbe potuto sfatare tutti i miti del suo secolo, e gli apparvero, come istantanee, come folgori, tutte le cause delle disuguaglianze, tutto il meccanismo che portava alle ingiustizie sociali, comprese i rapporti di potere che si muovevano dietro le scienze e le arti, dietro il lusso, l’ozio, e poi, più importante di tutto, Jean-Jacques comprese l’uomo, l’uomo di natura, quello vero, istintivo, spontaneo, innocente, il bambino, per il quale Rousseau provava una sorta di malinconia, di rimpianto. E allo stesso tempo egli vide e comprese lucidamente l’uomo della società civile, l’uomo civilizzato, depravato, che pensa, pensa a sé stesso, al mondo, alle cose, legato interdipendentemente con i suoi simili, in rapporti traviati, malsani, guidato dal bisogno dell’uno per l’altro, dove la fortuna dell’uno è la sfortuna dell’altro, dove si mente, si è perennemente ipocriti. Rousseau fu tra i primi a scindere, con la ghigliottina, l’essere dall’apparire. L’uomo non è più, egli appare soltanto, appare come moda, costume, convenzione, mosso incessantemente dalla società in ogni suo gesto, in ogni suo sguardo.
Rousseau scriverà quindi il primo Discorso come una pesante invettiva, quasi lirica, piena di enfasi e retorica, piena di pathos, contro la società, contro l’arte, le scienze, contro l’uomo civile. In Rousseau vita e opera saranno sempre intrecciate in una simbiosi lineare e coerente. Non si può capire l’opera di Rousseau senza conoscere l’uomo Jean-Jacques, ed ecco perché Cassirer, filosofo tedesco, nella sua conferenza sul “problema Gian Giacomo Rousseau”, mette in luce le sue caratteristiche romantiche. Rousseau sembra essere un precursore del Romanticimo, e seppure il suo sistema di pensiero, ancora logico, razionale, perfettamente coerente, dal primo Discorso sino all’Emilio, possa essere inquadrato nell’ambito illuministico, come vita, come uomo, ne riesce ad evadere abilmente, mettendo al primo posto Jean-Jacques, il suo essere e sentire, la passione, la malinconia, quei sentimenti che lo portarono, necessariamente, a detestare la società civile, e a dovere, come fosse un obbligo, creare un suo sistema filosofico atto a spaccare tutte le forme chiuse del suo tempo.
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