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18 luglio 2017

 

60 anni fa moriva Curzio Malaparte, il dandy che odiava D’Annunzio e amò Capri

 

Dal controverso legame con D’Annunzio al protagonismo sfrenato, dalla Napoli dei romanzi a Capri, dove decise di erigere il suo “tempio” personale: un viaggio nel mondo di Curzio Malaparte, a sessant’anni dalla sua scomparsa.

 

Il 19 luglio 1957 muore Curzio Malaparte, erede intellettuale di D’Annunzio. Ma lo fu davvero? Questo legame, anche solo supposto, lo caratterizzerà per tutta la vita: alcuni definirono Malaparte “un D’Annunzio volgare e deteriore, in formato ridotto”, anche se lui stesso considerava il Vate “meno di zero”. Ma è forse proprio a partire da questo semplicistico parallelismo attraverso il quale per anni è stata letta la sua opera che è possibile, a sessant'anni dalla sua morte, riscoprire chi fu, davvero, Curzio Malaparte.

 

Lo scrittore pratese percorse con ancora più determinazione e caparbietà la strada tracciata da D’Annunzio, sia nei riferimenti letterari che nella vita vissuta come in un salotto mondano: ma Malaparte fu uomo estremamente più complesso, ridondante in certi aspetti ma anche minimale in altri. Dalla scrittura alla vita privata, Malaparte fu forse, ancor più che D’Annunzio, il vero specchio di cosa voleva dire essere “intellettuali” negli anni Trenta. O almeno, di cosa voleva dire scegliere di essere un determinato “tipo” di intellettuale.

 

Sostenitore di una “rivoluzione” che nel fascismo vedeva la sua più alta realizzazione e nella marcia su Roma il preludio del suo compimento, Malaparte ben presto si allontanò dal regime pur rimanendo intimo amico di alcuni dei suoi protagonisti più controversi. Dalla collaborazione con gli Alleati negli anni Quaranta all'avvicinamento al Partito Comunista dopo la guerra il passo fu breve: "A un matrimonio vuole essere la sposa, a un funerale il morto", disse qualcuno.

 

“Kaputt” e “La pelle” sono gli esempi più calzanti di questa poetica ridondante arroccata sul promontorio della Storia: francese, inglese ed italiano si mescolano per descrivere le atrocità delle due guerre alle quali Malaparte aveva partecipato di persona, mentre le atroci descrizioni si uniscono a visioni di assoluta bellezza, disegnando uno sfondo a tre dimensioni nel quale i personaggi si muovono, soffrono, amano e muoiono.

 

Malaparte fu inguaribilmente innamorato di Napoli e in particolare del luogo in cui scelse di erigere la sua bizzarra villa: Capri. E di Napoli lo scrittore parlerà a più riprese nel romanzo “La Pelle”, quasi interamente ambientato nella città all’epoca dell’occupazione alleata:

 

È la sola città del mondo che non è affondata nell'immane naufragio della civiltà antica. Napoli è una Pompei che non è stata mai sepolta. Non è una città: è un mondo. Il mondo antico, precristiano, rimasto intatto alla superficie del mondo moderno. Napoli è l'altra Europa. Che, ripeto, la ragione cartesiana non può penetrare. Non potete capire Napoli, non capirete mai Napoli.

 

Villa Malaparte, tra natura e immaginazione

 

Il nome di Malaparte è indissolubilmente legato a Capri e al visionario tempio personale che negli anni Quaranta fa erigere a memoria di se stesso: la villa di Punta Masullo, con il suo grande salone, le stanze per gli ospiti e “la favorita”, la camera da letto delle tante donne che il poeta ebbe nella vita, resterà nell'immaginario collettivo come un luogo aspro e inaccessibile, al cui interno sembra quasi di vivere un’altra vita. Non è un caso che sia il film tratto dal romanzo “La Pelle” che il ben più noto “Le Mépris” di Jean-Luc Godard, con una indimenticabile Brigitte Bardot, scelgano come ambientazione proprio questo luogo.

 

La villa, arroccata sul promontorio a picco sul mare, è specchio fisico di quella sua scrittura rude, rigida e morbosamente attaccata alla realtà, a partire dalla quale però egli costruisce un impalcatura fatta di immaginazioni, suoni e colori difficili da collocare nella vita reale. “Cinico e compassionevole” al tempo stesso, Malaparte esagerò volutamente le pagine dei suoi libri amplificando e reinterpretando, fin quasi al grottesco, gli avvenimenti di cui lui stesso era stato protagonista.

 

Perché Malaparte amava essere “protagonista”: anche nella costruzione della celeberrima villa, di cui si racconta che egli stesso abbia contribuito a disegnare il bizzarro progetto. Il luogo fisico doveva rispecchiare quel difficile rapporto fra Natura e Uomo, ma ancora di più il suo proprietario: una casa come lui, “dura, strana, schietta”.

 

 

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