http://contropiano.org/ 10 luglio 2017
La mattina che caddero i muri di Mauro Armanino
Era di domenica mattina. E quando gli occhi si risvegliarono i muri non c’erano più. Occupanti, stranieri e comuni cittadini di periferia infine videro. Il muro negli occhi era crollato d’improvviso, senza rumore e senza testimoni. Una caduta repentina, non preparata o sperata. Il merito era tutto loro. Gli occhi dei bambini verniciati di fresco dalla vita. Appena nati e già vedenti dell’altro mondo fin dal seno materno. La prima frontiera della vita è fatta di sottile e forte pelle di donna. Vedevano e sentivano i colori del mondo che non osavano immaginare. Una volta usciti dalla prima porta della vita hanno visto e capito tutte le storie. E fu allora che si misero d’accordo per abolire i muri che coprivano l’orizzonte con vista sul mare. I muri erano nascosti negli occhi e nessuno se n’era accorto prima. Fino a quel giorno si viveva come fossero parte del mondo e nella natura delle cose. Era di domenica mattina quando le recinzioni erano state cancellate. Si fece più tardi un silenzio di circa mezz’ora. Le parole dei muri furono inghiottite subito dopo. I muri di parole costruiti fin dall’inizio del mondo. Le parole di sassi, di sangue e di fili spinati. Le parole vendute, imprestate e circondate. Le parole taglienti e quelle imparate a memoria. Le parole dimenticate e quelle cadute in strada senza passanti a raccoglierle. Le parole fanno i muri di cartone e scavano trincee quando lasciate sole a difendere i potenti. Furono i poveri e il loro silenzio che demolirono le parole dei muri. Un silenzio durato circa mezzora e custodito per tutta la settimana nelle mani di un mendicante. Il silenzio fece crollare il muro delle parole mercanti e menzognere. Il silenzio degli sconfitti dei mercati e degli accordi commerciali. Il silenzio della terra violata dal nulla. Il muro di parole era caduto come un castello di carte da gioco d’azzardo. E il silenzio, cominciò, senza fretta, a seminare parole nuove. Il giorno che caddero i muri era un giorno qualunque della settimana. Sembrava che tutto dovesse continuare come prima, come sempre, come stava scritto sui libri sacri. Perfino Dio sembrava essersi rassegnato a quel destino. Guerre di politica e di religione dove Lui era preso come ostaggio dai comandanti della finanza e delle armate. I condottieri avevano usato il suo nome e per lui avevano combattuto le battaglie senza mai vincerle. Di sconfitta in sconfitta si domandava come uscirne senza tradire quanto aveva lui stesso promesso. I muri volevano difenderlo, proteggerlo e renderlo inoffensivo. Il giorno che caddero i muri coincise con la scelta di confondersi con un gruppo di rifugiati che scappavano a causa di lui. In mezzo a loro si era accorto che tutto era molto più facile di quanto aveva pensato. Mettersi a fuggire e passare la notte sotto le stelle. Anche per lui erano una novità, viste dal basso erano tutta un’altra cosa. Gli ultimi a cadere erano stati quelli di sabbia. I muri più tenaci perché troppo simili a quelli del mare. Non avrebbero mai creduto che fosse possibile. Sabbia e mare sembravano costituire la stessa barriera. Muri d’acqua e di sabbia mescolata di vento e sale. C’era bisogno di loro, insopportabili e detestati dai costruttori di muri. Nati altrove e senza particolari qualità e talenti. Solo li muoveva il sogno impossibile di una cartina geografica dove i colori erano messi a caso e cambiati ogni sera. Si erano messi coi piedi nella sabbia e abbandonandosi al mare più lontano dalla costa. Non c’erano sentieri tracciati o rotte anticipate da impugnare. I muri cadevano uno dopo l‘altro mentre avanzavano dandosi la mano. Alla loro vista anche i muri più armati erano costretti a fuggire per trasformarsi in una piazza aperta davanti al mare. Al molo i figli dei nuovi arrivati offrivano pezzi di pane secco ai pesci. Niamey, Luglio 017
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