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13 giugno 2017

 

L’India, la violenza e ciò che si muove

di Emanuela Giampaoli

 

L'autrice de "Il dio delle piccole cose" assieme al drammaturgo assieme all'Archiginnasio alle 17.30

 

Lei è tornata, dopo vent’anni da "Il dio delle piccole cose", con un romanzo "Il ministero della suprema felicità" (ed. Guanda), una storia profondamente politica sui dimenticati dell’India di Modi e della sua crescita economica. Lui è il drammaturgo del momento, autore della "Lehman Trilogy", sulla caduta della finanza senza scrupoli, l’ultimo testo messo in scena da Ronconi, poi divenuto romanzo con "Qualcosa sui Lehman". Due opere mondo, due affreschi della post globalizzazione. Insieme oggi alle 17.30 allo Stabat Mater all’Archiginnasio con ingresso gratuito, Arundhati Roy e Stefano Massini, sono i protagonisti dell’anteprima di

La Repubblica delle Idee, il festival che entrerà nel vivo nelle piazze di Bologna dal 15 al 18 giugno.

 

La scrittrice indiana e il drammaturgo fiorentino, provenienti da latitudini diversissime, accomunati dalla stessa capacità di trasformare l’indignazione in scrittura, dialogheranno a partire dal ritorno alla narrativa di Roy. "Che cos’è questo romanzo? – scriveva Massini sull’inserto domenicale Robinson nemmeno un mese fa - È un appassionante racconto, eppure è molto più che un racconto. È un trattato sull’India del terzo millennio, senza alcun dubbio, ma anche di più. Impossibile tratteggiarne una trama: l’autrice muove i fili di più vicende intrecciate, e volentieri ne rimanda davanti l’incastro soffermandosi sul puro piacere di un narrare all’indietro, cosicché pagine su pagine si susseguono appassionate come un’inchiesta sul passato dei singoli eroi".

 

Protagoniste sono l’ermafrodita Anjum e l’attivista Tilo, alter ego di Roy, che si fanno mamme di due bambine abbandonate, una strampalata famiglia la cui vicenda si intreccia con i volti e le vicende umane di mille diversi personaggi. "Un po’ come in Balzac, tutti questi caratteri — continua Massini — pur amati dall’autore in modo forsennato, con generosissima profluvie di squarci, non valgono solo per se stessi, ma per il contributo che danno al chiaroscuro complessivo del disegno.... E forse è proprio la materia stessa — pulsante di contrasti come l’India che descrive: estasi e cloaca, vertigine continua — a richiederci un approccio inconsueto, sempre memore di quel mondo a parte che è l’antica madre India".

 

Sullo sfondo scorrono la pericolosa recrudescenza del nazionalismo indu, i conflitti etnici mai sanati, l’annoso e sanguinoso conflitto del Kashmir, l’oppressione degli intoccabili e la devastazione ambientale. Sono le grandi battaglie della Roy attivista e polemista, che negli anni di lontananza dalla narrativa, ha scritto 18 saggi di denuncia ed è scesa in piazza a fianco dei no global e dei paladini dei diritti umani. Ma è questo il prezzo da pagare per la “felicità”, per poter bere i caffè di Starbucks, per uno stile di vita all’occidentale, benché annaffiato con un po’ di yoga e meditazione. Come a New York, prima della caduta dei Lehman.

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14 giugno 2017

 

I sogni più veri della realtà, Arundhati Roy dà il via alla Repubblica delle Idee

di Valerio Varesi

 

Con l’anteprima di ieri la scrittrice indiana ha aperto il nostro festival. A Bologna da domani quattro giorni di eventi, show e laboratori. Dalla politica al pop, dalle crisi internazionali all’arte, dalla storia al food. Con ospiti come Vargas Llosa e Roberto Saviano

 

La verve di Arundhati Roy non poteva che essere il miglior prologo alla quattro giorni della Repubblica delle Idee, che parte domani con una maratona di grandi appuntamenti fino a domenica 18. L’incontro di ieri con la scrittrice indiana, nella sala dello Stabat Mater dell’Archiginnasio, luogo simbolo della cultura bolognese, ha mostrato la caratura di quelle che saranno le iniziative del nostro festival che vedrà protagonisti, tra gli altri, il Nobel per la letteratura Mario Vargas Llosa, la filosofa Agnes Heller, gli scrittori britannici Ian McEwan e Zadie Smith, e ovviamente i giornalisti di Repubblica: a cominciare dal fondatore Eugenio Scalfari, Ezio Mauro e il direttore Mario Calabresi, Natalia Aspesi, Concita De Gregorio, Bernardo Valli.

L’appuntamento con Arundhati Roy per Repubblica delle Idee ha rappresentato anche l’anteprima del nuovo libro dell’autrice che conobbe un successo planetario con Il dio delle piccole cose, racconto, in parte autobiografico, della condizione degli ultimi nell’India post-coloniale. A vent’anni dalla pubblicazione del romanzo che l’ha resa famosa e, dopo una ventina di saggi sull’ambiente, sullo strapotere delle multinazionali ai danni di milioni di individui e sull’opposizione alla globalizzazione, la scrittrice torna alla narrativa, convinta che le vicende degli ultimi «non si raccontano che per mezzo delle storie» nell’interpretazione diretta delle loro vite mediante la finzione. Con Il ministero della suprema felicità (Guanda) Roy riprende le fila del discorso sui reietti e i diseredati, costruendo quello che il drammaturgo Stefano Massini, autore di Lehman Trilogy, presentandola al pubblico bolognese numerosissimo («vedo gente seduta sul pavimento e mi sembra di essere in India» ha sorriso l’autrice), ha definito “un romanzo-città” perché le città «non sono solo centri storici monumentali, ma anche le periferie dove vive la gente più umile».
 

La scrittrice confessa di non saper distinguere il confine tra realtà e finzione. «Ci sono sogni che sono molto più veri della realtà» spiega e per «raccontare le vicende di migliaia di persone cacciate per costruire una diga o la condizione dei musulmani perseguitati come un tempo gli ebrei in Europa, occorre usare la finzione». D’altro canto, la scrittura per l’autrice indiana non è una manifestazione di coraggio, benché non le siano mancate le minacce per quello che ha scritto. «Mi dicono che sono coraggiosa, ma per me scrivere è come respirare: non è coraggio, ma puro spirito di sopravvivenza». La poetica di Arundhati Roy include quella necessaria dose di fegato senza la quale non potrebbe permettersi di raccontare né denunciare le storture di un Paese segnato da tante disuguaglianze. «Lo scrittore deve essere pericoloso» confessa con candore iscrivendo, almeno idealmente, i romanzieri nella categoria “criminale”. Pericolosi per chi? «Per il potere, in quanto hanno la capacità di raccontare storie che altri non raccontano in un Paese dove la maggior parte dell’informazione è in mano ai grandi gruppi industriali. Lo scrittore – sintetizza con una perfetta metafora l’autrice indiana – deve essere come l’agopuntore che infila l’ago e punge là dove è più efficace»

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