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11/05/2017

 

L'insegnamento di Gramsci

di Giulio Marcon

 

Sono passati da poco 80 anni dalla morte di Antonio Gramsci. Nel 1927 Gramsci scrive alla moglie dal carcere di San Vittore su Nansen, il grande esploratore norvegese:

Avendo osservato che sulle spiagge della Groenlandia si ritrovavano alberi e detriti che dovevano essere di origine artica, Nansen pensò di poter giungere al Polo facendo trasportare la sua nave dai ghiacci. Così si lasciò imprigionare dai ghiacci e per tre anni e mezzo la sua nave si mosse solo in quanto si spostavano i ghiacci.

Tempo pseudonimo della vita, avrebbe detto in altra occasione: terribile metafora della sua condizione personale, stretto tra le mura di un carcere fascista, ma anche evocazione della temperie di un secolo tremendo.

Bordeggia tra Passato e Presente - per citare un suo quaderno - eppure setacciando la storia e la cultura italiana, Gramsci si fa originale archeologo di un pensiero fecondo per il domani, per la prassi: il partito politico come intellettuale collettivo, la vocazione nazional-popolare di qualsiasi progetto rivoluzionario, l'egemonia come costruzione del consenso, il ruolo pedagogico degli intellettuali, la necessità di una riforma intellettuale e morale del paese, la consapevolezza del confronto con il liberalismo conservatore di Croce, ma soprattutto dell'incontro con la rivoluzione liberale di Piero Gobetti ed il pensiero economico progressivo di Piero Sraffa.

Raffinato uomo politico e di cultura, ma anche vigoroso spirito morale, avrebbe potuto dire anche lui, come Piero Gobetti nella controcopertina dei suoi libri "Che ho a che fare io con gli schiavi?"Per questo rivendicò il suo essere partigiano, il suo odio per gli indifferenti, disse che la verità è rivoluzionaria.

Fu una sorta di generoso lampadiere: camminò tra le tenebre di una vita costretta a spegnersi, ma con la luce rivolta all'indietro ha aiutato chi stava dietro di sé a prendere la strada giusta.

Con due righe avrebbe potuto uscire dal carcere, ma quelle due righe ai fascisti non le scrisse mai: scrisse invece molto di più lasciandoci insieme al grande affresco dei Quaderni, quelle lettere piene di grazia ai suoi cari - lui così schivo e spigoloso - aiutando anche noi a muoverci tra quei ghiacci terribili della storia italiana e a lottare per quegli ideali cui Gramsci ha sacrificato la sua vita.

 

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