Fonte: l'Opinione Pubblica

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12/07/2016

 

Dallas: spari sull’ipocrisia Usa

di Michele Orsini

 

Al termine del vertice Nato di Varsavia, il presidente degli Usa Barack Obama, commentando i tragici fatti avvenuti poche ore prima Dallas, ha dichiarato di essere convinto che il suo paese non sia così diviso, affermazione che ci sembra corrispondere ad una pia illusione o, come potrebbe dire lui, “wishful thinking”. Molte testate giornalistiche hanno riportato queste sue parole: “Gli americani di tutte le razze sono indignati dagli attacchi alla polizia a Dallas o in qualunque altro posto”.

Poche fonti, anzi, per quanto ci risulta, il solo notiziario di ‘Skytg24’, ha riportato le frasi immediatamente successive: “E’ molto dfficile dare le motivazioni dell’attentato. L’attentatore è per definizione una persona che ha dei disturbi mentali, ovviamente, perché se si lancia un attacco contro persone inermi non si può essere normali. Che cosa ha spinto questa persona? Lascio la risposta agli psicologi, agli studiosi”.

L’attentatore in questione si chiamava Micah Xavier Johnson, di Dallas, 25 anni, nell’esercito tra il 2009 e il 2015, tra il 2013 e il 2014 per alcuni mesi in Afghanistan. Mai superato il gradio di soldato semplice, si era poi visto allontanare dalle forze armate in seguito alla denuncia di molestie sessuali, con tanto di richiesta di ordine restrittivo nei suoi confronti, da parte di una soldatessa. Era tornato a vivere con sua madre, in una zona tranquilla della periferia di Dallas: nella sua abitazione è stato ritrovato un vero e proprio arsenale, nonché i piani operativi dell’azione.

Sulla sua pagina ‘Facebook’, chiusa poco dopo il suo riconoscimento, aveva messo ‘Mi Piace’ alla pagina delle ‘Pantere nere’, organizzazione rivoluzionaria molto influente negli anni sessanta, nonché una sua foto assieme a Richard Griffin, in arte ‘Professor Griff’, del gruppo rap ‘Public Enemy’: le sue posizioni politiche erano quindi radicalizzate, come ci si può aspettare da chi è disposto ad usare la violenza per fini politici.

Bastano queste informazioni per un’ipotesi diagnostica? Certo che no, ma nemmeno si può escludere che ci fosse qualche problema mentale, se non altro perché è stato stimato che circa un veterano statunitense su cinque ne soffre. E i militari in congedo negli USA sono più di venti milioni.

Johnson era politicamente radicalizzato, era stato ben addestrato ad usare le armi, poi era stato esplulso dall’esercito che sappiamo essere composto in maggioranza da neri e latinos, ma i cui vertici sono soprattutto occupati da bianchi. Vedeva continuamente casi di persone di colore, anche disarmate, freddate da poliziotti bianchi, che spesso se la cavavano senza un’adeguata punizione. Allora ha deciso di fare ciò che ha fatto.

Poco importa sapere, ora che è morto, se fosse solo un estremista o un malato di mente o entrambe le cose: di certo si batteva contro un’ingiustizia reale, che lo stesso presidente ha per l’ennesima volte denunciato (“afroamericani e latinos sono trattati in modo diverso dal nostro sistema di giustizia”) ma contro la quale nulla ha potuto.

Si dirà che la causa è buona ma i metodi terroristici e quindi cattivi. Rimane il fatto che quelli consentiti si sono finora rivelati largamente inefficaci. Non possiamo essere quindi troppo sorpresi da ciò che accaduto: ogniqualvolta le autorità non fanno giustizia, qualcuno può essere tentato dall’ipotesi di fare da solo: la figura del ‘giustiziere’, del ‘vigilante’ è del resto centrale nella cultura statunitense poiché, al di là della retorica e della propaganda, si tratta di una società tanto violenta quanto iniqua e chi ci vive lo comprende meglio di chi la guarda da lontano.

Lo stesso tipo di violenza viene poi usato all’esterno, sempre mostrandosi scandalizzati verso chi osi resistervi o reagire. E se l’attentatore di Dallas, come giustamente afferma Obama, non rappresenta gli Usa, lo stesso non si può dire dei militari, né dei politici che decidono guerre che ormai si fanno sempre più senza mettere “gli scarponi sul terreno”, quindi solo attraverso bombardamenti che a volte, per correre ancora meno rischi, sono effettuati da droni.

Inoltre si devono considerare tutte le carneficine compiute da qualcuno che dagli Usa viene armato, finanziato, appoggiato o tollerato. Le statistiche mostrano impietosamente che l’effetto dei bombardamenti è di fare più vittime civili che morti tra i combattenti nemici e gli aggressori ne sono responsabili: l’attacco contro inermi è da psicopatici, eppure è la regola della politica statunitense.

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