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10 novembre 2016

 

La pancia dell’America ha scelto Trump perché… è vuota

di Claudio Conti e Vito Lops

 

Un articolo chiarissimo, apparso su IlSole24Ore, tra i tanti che in queste ore provano invece a nascondere o "abbellire" le ragioni sociali di una vittoria considerata fino a qualche giorno fa "impossibile". Un articolo che parla della "pancia del popolo" americano, che i media mainstream descrivono sempre come piena, in crescita, soddisfacente e soddisfatta.

Tutto falso, lo diciamo da sempre. "Ma come? Il tasso di disoccupazione è solo al 5%…". Menzogna statistica, fondata su un trucco volgare. Negli Usa, come nell'Unione Europea e quindi anche in Italia, viene classificato statisticamente come "occupato" chiunque abbia lavorato almeno un'ora nella settimaa della rilevazione. E' inutile spiegare che se devi vivere con il salario di un'ora tutta la settimana, in realtà sei un disoccupato morto di fame.

Peggio. Negli Usa, come nella Ue e dunque anche in Italia, il tasso di disoccupazione viene fissato calcolando il numero degli iscritti agli uffici di collocamento (o agenzie del lavoro) in rapporto alla popolazione in età da lavoro (15-64 anni, anche se si va in pensione a 66 e 7 mesi, grazie a Fornero-Monti). Ma che ne è di quelli che non lavorano e non si iscrivono nemmeno nelle liste ufficiali dei disoccupati? Quanti sono?

Vengono definiti pudicamente "scoraggiati", gente che non cerca più il lavoro perché si è stancata di prendere porte in faccia e anche perché cercare il lavoro può essere una spesa che non ti puoi permettere.

QUanti sono? Negli Stati Uniti oltre 90 milioni, ci dice Vito Lops in base ai dati ufficiali che nessuno si prende la cura di leggere fino in fondo. Se si sommano scoraggiati e disoccupati ufficiali eccoci davanti quell'"oceano di senza lavoro" che ha cambiato il panorama politico statunitense: 100 milioni di persone su poco più di 318 milioni di abitanti (cui vanno ovviamente sottratti vecchi, bambini e disabili).

Un tasso di soccupazione che insomma va anche oltre quel 23% ipotizzato da Vito Lops e che sarebbe, anche a quel livello, una percentuale non propriamente da “prima democrazia del mondo”.

La conclusione è obbligata: la pancia dell'America ha scelto Trump perché è vuota.

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Ieri sera, quando i sondaggi davano alla Clinton appena due punti di vantaggio, la sensazione che alla fine avrebbe vinto Trump era fortissima. Le analogie con quanto vissuto pochi mesi fa (esattamente il 23 giugno) con la Brexit erano chiare. Anche prima del voto nel Regno Unito i sondaggi davano al “Remain” circa il 2% di vantaggio. Vantaggio – che al pari di quello  per la Clinton – arrivava dopo violenti saliscendi nelle previsioni. E alla fine i sondaggi, come sempre in questo scombussolante 2016, hanno fatto di nuovo flop. Ancora una volta non sono riusciti a cogliere il sentimento popolare, la pancia di un Paese, di un popolo, di una nazione. Asset su cui ha invece basato tutta la campagna elettorale Trump.

La domanda a questo punto non è tanto perché Trump abbia basato la propria campagna sulla pancia di una nazione ma perché la pancia lo abbia votato a dispetto di una campagna mediatica totalmente sbilanciata a favore della Clinton. La pancia ha scelto Trump, forse perché…

il tasso di disoccupazione reale negli Usa è molto lontano dal 4,9% che riportano le statistiche ufficiali. Se si conteggiassero gli oltre 90 milioni di cittadini fuori dalla forza lavoro e che sono fuori dal radar del calcolo del tasso di disoccupazione, questo sarebbe oggi al 23%. Una percentuale non propriamente da “prima democrazia del mondo” come amano definirsi gli Usa;

nel 2008 il numero di cittadini americani costretti a ricorrere ai food stamps (buoni alimentari) erano 28 milioni. Otto anni dopo sono aumentati del 60%, oltre quota 45 milioni. Sono uno dei vari indicatori utilizzati per intercettare la crescita della povertà. Ergo: nonostante otto anni di amministrazione Obama (e quindi di un democratico tendenzialmente preferito dall’elettorato povero rispetto a un repubblicano) i poveri sono aumentati. Tanto che un cittadino su sette è costretto a far ricorso al programma di sostegno alimentare;

a conti fatti le politiche di quantitative easing adottate dalla Fed a partire dal 2009 hanno alimentato il divario tra ricchi e poveri. Questo è accaduto perché queste politiche hanno fatto lievitare gli asset finanziari più rischiosi (le azioni) come dimostra il +80% di Wall Street dal 2009 ad oggi. Questo ha permesso a chi già aveva la possibilità di acquistare azioni di arricchirsi ulteriormente escludendo da questa sorta di party chi nel 2009 si trovava in una situazione di povertà e quindi non aveva risparmi in eccesso da allocare sui mercati finanziari;

il voto democratico e sovrano è l’unica arma che resta al popolo per poter dimostrare il proprio malcontento quando le cose non vanno bene. Ed evidentemente con questo voto si è voluto dire a chiare lettere che le cose non vanno bene;

l’attuale modello di sviluppo economico turbocapitalista sta mostrando forti limiti di convivenza con la democrazia. Inasprendo il divario tra ricchi e poveri e indebolendo il ceto medio-basso, questo modello economico rischia di far perdere alla democrazia la sua base e la sua essenza, ovvero un ceto medio-basso tonico, con prospettive di crescita. Il voto a favore di Trump, in questo senso, può essere visto come un urlo disperato di un ceto medio-basso che agogna un riscatto sociale (come dimostrano le statistiche reali);

la pancia ha ancora una volta spiazzato i sondaggi, i mercati finanziari e il sistema di comunicazione. E questo non deve stupire perché questi vivono una realtà ovattata, non più in grado di parlare con la pancia e di intercettarne gli umori. Da questo punto di vista è oggi molto più efficace il mondo dei social network, più allineato alla pancia e, come era percepibile già ieri, in un certo qual modo premonitore della vittoria di Trump;

la pancia ha scelto Trump contro tutto e contro tutti anche perché la democratica Clinton rappresentava l’emblema della stabilità. E in tempi in cui la pancia soffre se c’è una cosa che non desidera è proprio lo status quo, ma un reale cambiamento dal basso.

Adesso in tanti scriveranno che le elezioni vinte di pancia non sono mai foriere di un futuro roseo. Che la pancia di una nazione è populista, eccetera. Io – a chi solleverà queste obiezioni – mi sento però di dire:

se non vogliamo abbandonare la democrazia come forma di governo, bisogna abituarsi ad accettare con più serenità e spirito di auto-critica il giudizio del popolo, soprattutto quando questo addirittura ribalta il messaggio mediatico-istituzionale prevalente;

è il caso di chiedersi perché siamo arrivati fino a questo punto e leggere tra le righe di un così forte voto di protesta, piuttosto che limitarsi a etichettarlo in modo snobistico come voto “populista”.

Aiutatemi poi a capire: quando il popolo vota a favore di un partito o un candidato sistemico è considerato saggio e perfettamente in grado di “intendere e votare”. Ma quando quello stesso popolo vota contro il sistema è considerato “populista”?

Forse per questo ha vinto Trump: perché ha parlato al popolo, alla pancia, senza guardarlo dall’alto in basso. Come invece fanno oggi tutti coloro che abusano della parola populista. Non chiedendosi perché questa società ha il mal di pancia.

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