During the months and years ahead, we are all going to see things that we never thought we would see happen in America ... you-will go insane because of what your eyes will see


english version below

http://www.intrepidreport.com/

August 15, 2016

 

La Colla che tiene insieme l'America non tiene più

di Ben Tanosborn

 

Spesso citata come un motivo importante per il successo degli Stati Uniti come potenza mondiale, la nostra diversità è finalmente arrivata al pettine, e si sta prendendo un distruttivo, crudele pedaggio. Una colla magica unica, con la quale abbiamo in qualche modo pensato che avrebbe tenuto insieme per sempre una miriade di gruppi in America a lavorare all'unisono con un obiettivo comune, ora si è indurita, ha perso entrambe le sue proprietà adesive e la forza coesiva, lasciandoci con un'America divisa. No, non come un semplicistico in due parti di nazione, ma come una frammentata Humpty Dumpty al di là della mischia politica liberal.conservatrice.

 

Quasi due secoli fa, il francese teorico politico Alexis de Tocqueville nel suo libro "La democrazia in America" ??(1835) non solo ci ha dato una prospettiva sociologica sulla parità dell'America e l'individualismo, ma quello che potrebbe essere interpretato come uno studio sul successo economico. I suoi viaggi nel 1831 attraverso l’espansione geografica in America, nel bel mezzo di una evoluzione agraria, così come una rivoluzione industriale, gli ha dato una visione che potremmo considerare precludere la globalizzazione di oggi. Tocqueville ha visto una nazione in crescita, senza confini geografici apparenti, che potrebbe essere facilmente rafforzata da altre nazioni; una popolazione immigrata in rapido aumento, in fuga dalle difficoltà economiche in Europa; e la mancanza di barriere commerciali (dazi) imposti dalle piccole unità governative.

 

E nel giro di un secolo dai viaggi di Tocqueville, gli Stati Uniti sono diventati un miracolo, un colosso-nazione che ha unito una enorme massa di terra contigua; una grande popolazione produttiva; e un governo che ha fornito oltre l’80 per cento della popolazione con quello che potrebbe essere descritto come ragionevole mobilità socio-economico e, sì, la libertà. In virtù di queste gigantesche economie sfaccettate di scala, gli Stati Uniti sono stati in grado di creare una classe media considerevole, e quindi diventare il modello microcosmico per il mercato multi-nazionale che ora è la nostra presente globalizzazione, ciò che sta diventando l'ultima economia globale di scala, anche se possiamo ancora essere ad una generazione o due di distanza dal raggiungere il suo apice.

E' stato questo vantaggio economico rispetto alla maggior parte degli altri paesi del mondo che ha creato uno standard molto più alto di vita, il collante che ha tenuto le diversità che era l'America unita. Gli Stati Uniti d'America sono diventati un successo economico e geopolitico, un fenomeno dei tempi moderni che alcuni scienziati sociali hanno descritto, e la maggior parte dei politici sfruttato, con un gergo illusorio e adulatorio che ha allevato auto-orgoglio e patriottismo: l’eccezionalismo americano, il sogno americano; termini mitici che ora stanno sbiadendo.

 

Mentre la globalizzazione sta cominciando a mostrare un impatto di livellamento in gran parte del mondo, le economie più avanzate sono lasciate con la realtà inconfutabile che la loro classe media dovrà sovvenzionare, almeno in parte, l'aumento del livello di vita della impennata, delle economie meno avanzate. Anche se la globalizzazione ha un effetto sinergico, tale effetto è piccolo rispetto al trasferimento di ricchezza produttiva nelle classi medie; e quel trasferimento ha colpito gli Stati Uniti, quantitativamente e qualitativamente, molto più negativo rispetto a qualsiasi altra economia avanzata. E "non abbiamo ancora visto nulla", come oltre l’80 per cento della nostra popolazione è stata, o verrà gettata, dai nostri politici di carriera Pinco Panco-Tweedledum, e dal potere dell’elite imperiale americana, sotto un autobus.

 

I peggiori guai socio-economici sono ancora avanti, mentre la colla magica scompare lentamente e veniamo lasciati nudi nella nostra diversità . . . ogni gruppo tira verso una direzione utile ai propri interessi, questo ci mantiene frammentati, senza obiettivi comuni, reciprocamente vantaggiosi; e, quel che è peggio, con un governo interessato solo ad un quinto della popolazione, lasciando gli altri quattro quinti unirsi ai loro paria-coetanei in tutto il mondo.

Ora che rimane poca colla magica per legarci, per mantenerci forti, ci ritroviamo con una politico-economica salvagente: il nostro voto. Solo che il salvagente appare come la battuta finale, offrendo due opzioni indesiderate tra cui scegliere: una bugiarda, camaleontica donna neoliberista e un folle, ignorante bullo. Eppure, a questi due personaggi, Hillary Clinton e Donald Trump, sono stati dati l’imprimatur monopolistico, da una stampa corporativa che appare più interessata a intrattenere buffonerie che ad affrontare le crisi politiche che affliggono gli Stati Uniti, negli aspetti che determineranno la sua stessa esistenza: la crisi di una politica estera imperfetta; crisi del benessere economico dei suoi cittadini; crisi di una divisione razziale che è continuamente in balia di se stessa; e la crisi del futuro stesso di questa nazione che cerca di competere, in maniera non militare, in un mondo molto competitivo.

 

Entrambi i partiti di governo, democratici e repubblicani, appaiono indisposti o incapaci, di elaborare un piano per l'America del 21° secolo, come mostrato dai leader che hanno scelto di rappresentare le voci inascoltate dell’80 per cento di noi. E il potente supporto delle corporations mediatiche si rifiuta di diventare l'unico catalizzatore logico del cambiamento . . . megafonando altre voci, come quelle dei Verdi e libertari, di competere a parità di condizioni, come la democrazia si propone, ad esempio incorporandoli nei dibattiti. In queste elezioni presidenziali, le 48esime, mentre la rabbia e il malcontento sono diventati pandemici, non dovremmo andare alle urne costretti a votare per il meno male.

 


http://www.intrepidreport.com/

August 15, 2016

 

Glue holding America together no longer binding

By Ben Tanosborn

 

Often cited as an important reason for US success as a global power, our diversity has finally come home to roost, and it’s taking a destructive, cruel toll. A unique magic glue that we somehow thought would keep myriad groups in America working at unison with a common goal forever, has unhardened, lost both its adhesive properties and cohesive strength, leaving us with a divided America. No, not as a simplistic two-part nation, but as a fragmented Humpty Dumpty beyond the conservative-liberal political fray.

Almost two centuries ago, French political theorist Alexis de Tocqueville in his book “Democracy in America” (1835) not only gave us a sociological perspective on America’s equality and individualism but what might be construed as a study on economic success. His travels in 1831 along geographically-expanding America, in the midst of an agrarian evolution, as well as an industrial revolution, gave him an insight that we might consider precluding today’s globalization. Tocqueville saw a surging nation without any apparent geographical borders (that could be readily enforced by other nations); a very rapidly increasing immigrant population fleeing the economic woes in Europe; and the lack of commercial barriers (duties) imposed by small governmental units.

And within a century of Tocqueville’s travels, the United States did become a miracle, colossus-nation that combined an enormous contiguous land mass; a productive large population; and a government which provided 80-plus percent of the population with what could be described as reasonable socio-economic mobility and, yes, freedom.

By virtue of these gigantic, multi-faceted economies of scale, the United States was able to create a sizeable economic middle class, and thus become the microcosmic model for later multi-nation common markets and our present “big bang” globalization—what is becoming the ultimate global economy of scale, although we may still be a generation or two away from reaching its apex.

It was this economic advantage over most other countries in the world that created a much higher standard of living, the glue that kept the diversity that was America united. The United States of America became an economic and geopolitical success, a phenomenon of modern times that some social scientists described, and most politicians exploited, with an illusionary and adulatory jargon that bred self-pride and patriotism: American exceptionalism, the American dream; now fading mythical terms.

As globalization is starting to show a leveling impact throughout much of the world, the more advanced economies are left with the irrefutable reality that their middle class will have to subsidize, at least in part, the increase in the standard of living of the surging, less-advanced economies. That although globalization has a synergistic effect, such effect is small relative to the transfer of productive wealth in the middle classes; and that transfer has affected the United States, quantitatively and qualitatively, far more negatively than any other advanced economy. And “we ain’t seen nothing yet,” as 80+ percent of our population has been, or will be, thrown by our Tweedledee-Tweedledum career politicians, and America’s imperial power-elite, under the bus.

The worst socio-economic woes are still ahead, as the magic glue slowly disappears and we are left naked in our diversity . . . each group pulling in a self-serving direction, keeping us fragmented without common, mutually-beneficial goals; and, what’s worse, with a government concerned with one-fifth of the population, letting the other four-fifths join their pariah-peers in the world.

Now that there is little magic glue left to bind us, to keep us strong, we are left with a political-economic life preserver: our vote. Except that the life preserver appears as the ultimate joke, offering two undesirable options from which to choose: a deceiving, chameleonic neoliberal woman and an insane, ignorant bully-man. Yet, these two characters, Hillary Clinton and Donald Trump, have been given monopolistic imprimatur by a corporate press that appears more interested in entertaining buffoonery than addressing the political crises that beset the United States in aspects that will determine its very existence: crisis in a flawed foreign policy; crisis in the economic well-being of its people; crisis in a racial divide that is continuously unaddressed; and crisis in the very future of this nation as it tries to compete, non-militarily, in a very competitive world.

Both ruling parties, Democrats and Republicans, appear unwilling, or incapable, to draft a plan for 21st Century America, as shown by the leaders they have chosen to represent the unheard voices of 80 percent of us. And the powerful corporate media refuses to become the only logical catalyst for change . . . megaphoning other voices, such as those of Greens and Libertarians, to compete on equal terms as democracy intends, such as incorporating them in the debates. In this 48th presidential election, as anger and discontent have become pandemic, we shouldn’t have to go to the polls forced to vote for the lesser-evil.

 


Ben Tanosborn, columnist, poet and writer, resides in Vancouver, Washington (USA), where he is principal of a business consulting firm.

top