Originale: Jacobin Magazine http://znetitaly.altervista.org/ 4 settembre 2016
Brasile: non allevare serpenti di Rejane Carolina Hoeveler Tradotto da Sean Purdy e Giuseppe Volpe
Mercoledì Dilma Rousseff è stata formalmente messa in stato d’accusa dal senato brasiliano. E’ un altro capitolo tragico della storia del Partito dei Lavoratori (PT) brasiliano. Dopo tredici anni a capo del governo, il partito è stato cacciato dalla carica in un colpo di stato reazionario giudiziario e parlamentare orchestrato dalla destra. Al posto della presidente PT Dilma Rousseff, ha assunto la carica il vicepresidente Michel Temer. Temer appartiene al Partito del Movimento Democratico Brasiliano (PMDB) che si era alleato con il PT nel 2014 per formare un governo di coalizione. Il partito ha rotto i rapporti con il PT a marzo, prima della messa in stato d’accusa. Da allora Temer ha conquistato il sostegno dei rivali del PT, il Partito Socialdemocratico Brasiliano (PSDB) e ha attuato massicci tagli ai servizi pubblici. Il 10 agosto il Senato ha votato 59 contro 21 per accettare la raccomandazione della commissione per l’incriminazione che la Rousseff sia condannata per quattro cosiddetti reati di responsabilità relativi al suo mancato rispetto di norme fiscali. Mercoledì scorso il voto finale al Senato di 61 contro 20 ha messo il sigillo su destino della Rousseff come presidente, anche se i senatori hanno votato a favore del suo mantenimento del diritto politico di candidarsi alla carica in futuro. Ma era anche inevitabile. Il PT, nato nel pieno di intense lotte dei lavoratori alla fine degli anni ’70, ha scambiato la sua politica socialista e la sua base popolare con una retorica di pace di classe e di alleanze con partiti capitalisti. Nel farlo si è aperto all’attacco della destra, contemporaneamente perdendo la sua capacità di mobilitare la sinistra. La caduta della Rousseff e del PT suscita numerose domande: come ha fatto un partito della classe lavoratrice a diventare un bastione dell’ordine borghese? E perché ora, dopo la sua completa conversione politica, il PT è stato sconfitto da un colpo di stato appoggiato dalla maggioranza capitalista cui aveva da tempo capitolato?
Da Sao Bernardo a Brasilia Solo l’analisi storica può rispondere appieno alla prima domanda. Felipe Demier data l’ascesa del PT dal 1978 – l’anno in cui Luis Inacio Lula da Silva condusse il primo grande sciopero dei metalmeccanici a Sao Bernardo – al 1980, l’anno in cui il partito fu fondato ufficialmente. In quei due anni il PT rivendicò un terreno politico che rigettava sia lo stalinismo sia la socialdemocrazia, ripudiando la conciliazione di classe con la borghesia. Ma sin dall’inizio il partito era diviso tra segmenti riformisti e rivoluzionari che ferocemente in competizione per l’egemonia interna, il che condusse a una marcata ambiguità programmatica. Nei successivi otto anni il PT divenne il partito di lotta. Persino quando i suoi membri ricoprivano cariche parlamentari esprimevano i desideri dei settori più mobilitati della classe lavoratrice e dei movimenti sociali. In questo periodo il Brasile operò una transizione da una dittatura militare a una regime formalmente democratico, e il PT ebbe un ruolo importante nel denunciare i piani dei dittatori per una transizione conservatrice dall’alto. Gli anni ’80 videro la maggiore mobilitazione sociale della storia del Brasile. Ebbero luogo più di seimila scioperi, compresi quattro scioperi generali nel1983, 1986, 1987 e 1989. Il PT guidò tutti questi scioperi partecipando contemporaneamente a elezioni ed eleggendo gradualmente più deputati e sindaci. In tutto il periodo il partito subordinò la partecipazione elettorale alla mobilitazione sindacale e dei movimenti, diventando indubbiamente un partito anti-egemonico della classe lavoratrice. Tra il 1988 e il 1992 il partito visse la sua prima significativa svolta interna, plasmata da due fattori. Primo: dopo i risultati vincenti del partito alle elezioni amministrative del 1988, molti politici del PT occuparono posizioni statali. Secondo: la caduta dell’Unione Sovietica – e la presunta morte di qualsiasi cosa di sinistra – rese meno attraenti le posizioni marxiste del partito. Secondo lo storico Eurelino Coelho iniziò un processo di quello che Antonio Gramsci avrebbe chiamato trasformismo. Le correnti che presto avrebbero formato la maggioranza della base del PT invertirono le loro posizioni teoriche e programmatiche. Nel decennio successivo il PT adottò un programma riformista e si concentrò sull’istituzionalizzazione. Restò collegato alle lotte sociali – combattendo le privatizzazioni e il neoliberismo e appoggiando al tempo stesso il più vasto movimento sociale degli anni ’90, il Movimento dei Lavoratori Rurali Senza Terra (MST) – ma cominciò a smorzare il radicalismo di queste mobilitazioni, canalizzandole invece su percorsi istituzionali e borghesi. Il PT alla fine sostituì il suo discorso a base di classe con l’idea dell’”etica in politica”, un concetto che coesiste felicemente con il capitalismo e partecipa alla svolta neoliberista in direzione di un programma di “responsabilità”. Combattere la corruzione (piccola politica, in termini gramsciani) divenne uno strumento della grande politica. Gli orizzonti del partito, in effetti, si ridussero a mera critica del sistema politico esistente all’interno del regime capitalista. In precedenza anti-egemonico, il PT divenne il più fiero protettore del regime democratico borghese, più fedele alle sue istituzioni che non la stessa borghesia brasiliana.
La trasformazione Il nuovo Lula debuttò nel 2002, quando fu eletto presidente. Coltivando a quel punto un’immagine di “pace e amore” egli diffuse la sua “Lettera al popolo brasiliano”: prova definitiva della nuova disposizione del PT quale manager del capitalismo brasiliano, perseguendo la pace sociale e contemporaneamente preservando gli interessi delle classi capitaliste. La politica della conciliazione di classe nei due mandati presidenziali di Lula, aiutata da una situazione economica favorevole, assicurò stabilità politica e progressi economici a tutti i brasiliani. (Anche se, ovviamente, i capitalisti brasiliani ottennero molto più della classe lavoratrice). Nemmeno gli scandali di corruzione del 2005 – quando membri di spicco del PT comprarono i voti di altri partiti per assicurare l’approvazione di determinate leggi – riuscirono a ridurre le percentuali record di approvazione di Lula. Secondo Barack Obama, egli era “il presidente più popolare del mondo”. Lula assicurò facilmente l’elezione della Rousseff nel 2010. Il modello del PT, diffusamente noto come “lulismo”, modificò effettivamente la piramide sociale e incluse alcune significative misure popolari, come le quote per i neri nelle università pubbliche e i diritti dei lavoratori nei servizi domestici. Tuttavia non fece nulla per cambiare l’estrema disuguaglianza sociale del Brasile e non riuscì a promuovere progressi sostanziali in termini di diritti sociali e servizi universali. Al contrario, i governi del PT fecero progredire politiche neoliberiste, compresa la riforma delle pensioni e altri attacchi a servizi pubblici. Inoltre la nuova politica del partito disarmò la stessa classe lavoratrice. Le classi popolari, per la prima volta, partecipavano in massa alla cultura del consumo grazie al credito e sostituirono il loro impegno alla cittadinanza sociale mediante la lotta collettiva con un’ideologia di prosperità individuale. Contemporaneamente il PT si alleò con partiti di destra, allevando i serpenti che alla fine lo avrebbero avvelenato e smobilitando quei movimenti sociali che avrebbero potuto mettere a disposizione l’antidoto. Il 2013 segnò l’inizio della fine. Il PT non fu in grado di reagire efficacemente alla stratificazione sociale di lungo corso o di controllarla. L’instabilità politica – innescata dalla mobilitazione nazionale contro gli aumenti delle tariffe dei trasporti nelle Giornate del Giugno 2013 e dai livelli crescenti dei lavoratori prevalentemente precari – scosse la nazione. Anche se aveva accettato volentieri i suoi favori, la classe capitalista brasiliana non considerò mai il PT come il suo partito e non ci pensò due volte prima di abbandonarlo. Per di più, al fine di conservare la sua base sociale, il PT non poteva far pagare la crisi ai lavoratori nella misura e con la rapidità pretese dal capitale. Infine, nonostante il carattere essenzialmente conservatore della pace sociale del lulismo, il PT aveva generato profondi risentimenti in ampi settori della classe media, che contestava i limitati progressi offerti dal partito ai cittadini poveri ed emarginati. In conseguenza nel 2014 i brasiliani elessero il parlamento più conservatore dalla fine della dittatura militare. Ma diedero la presidenza al PT, il che probabilmente costrinse la destra tradizione a scegliere il colpo di stato. Ironicamente, il pretesto legale per rovesciare la Rousseff – la Legge sulla Responsabilità Fiscale, approvata dal presidente Fernando Henrique Cardoso nel 2000 – era un misura neoliberista che il PT aveva non solo accettato ma anche applicato per anni. Di fronte al colpo di stato Lula cominciò a parlare a dimostrazioni dei lavoratori a Sao Bernardo in un tentativo di riunire il partito con la sua base. Ma non tornò mai ai suoi vecchi discorsi di classe. Di fatto il PT è diventato così visceralmente istituzionale che si rifiuta di montare una battaglia reale contro il colpo di stato. Con un occhio alle elezioni municipali di ottobre, il partito ha mantenuto la sua dubbia alleanza con il PMDB, che è stato un partito determinante nel colpo di stato. Il PT ha anche istruito i suoi deputati a votare Rodrigo Maia, filo-golpista e di destra, a presidente della camera dei deputati. Dopo la sua elezione Maia ha avviato una serie di estreme misura di austerità. Molti leader del PT, tra cui Fernando Haddad, sindaco di San Paolo, hanno esitato a definire colpo di stato l’accaduto, minando le mobilitazioni popolari organizzate da membri della base del PT e da altri gruppi di sinistra. Forse questo non dovrebbe sorprenderci. Dopotutto la stessa Rousseff aveva promesso tagli, politiche a favore del mondo degli affari e persino restrizioni a movimenti sociali mediante la Legge Antiterrorismo che aveva approvato appena prima di essere rimossa dalla carica.
Un fantasma ambulante La campagna per l’incriminazione è stata dominata dall’estrema destra. La sua rabbia deriva da un odio ideologico non per il PT bensì per qualsiasi cosa assomigli alle lotte ugualitarie della sinistra. Di fatto, per molti, il colpo di stato rappresenta la prima battaglia di una guerra lunga. Nonostante i recenti tumulti il PT resta elettoralmente vitale: conserva ancora un’importante influenza su movimenti sociali chiave e i sondaggi mostrano che Lula continua ad avere elevati tassi di approvazione. Solo mediante un’azione legale la destra potrebbe impedirgli di candidarsi alla presidenza nel 2018. Questo spiega perché l’Operazione ‘Autolavaggio’ si è concentrata recentemente sull’ex presidente: a Luglio i tribunali lo hanno accusato di ostruzione alla giustizia nello scandalo di corruzione Petrobras. Inoltre Gilmar Mendes, presidente del tribunale elettorale superiore, ha chiesto l’annullamento dello status legale del partito. Contemporaneamente il governo di Michel Temer ha promesso di intensificare i suoi attacchi ai diritti sociali e del lavoro. La sinistra brasiliana si trova in una situazione difficile. Anche se i rivoluzionare sanno da un certo tempo che il PT non rappresenta più un’alternativa reale, la maggior parte dei brasiliani continua a considerarlo un partito progressista. D’altro canto l’onda conservatrice non danneggerà solo il PT, ma anche ridimensionerà i sindacati e i più vasti movimenti sociali. Qualsiasi cosa accada, la sinistra brasiliana subirà continui attacchi, soffrendo al tempo stesso per un’intensificata austerità.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/dont-feed-the-snakes/ |