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11 aprile 2016

 

Brasile violento

 

Il Brasile è al centro delle cronache internazionali. Mondiali, Olimpiadi e crisi politica costringono il paese a riflettere su se stesso e a fare i conti con la perenne incognita delle Favelas e della violenza.

 

Crisi politica, mondiali e olimpiadi, il Brasile è da tempo al centro delle cronache internazionali. Come molti paesi sudamericani anche in Brasile la violenza fa parte della vita quotidiana. Ma cosa significa? E qual è il ruolo della polizia e delle forze speciali per combattere il problema criminalità? Lo abbiamo chiesto a chi ha visto da vicino tutto questo. J.A.O, senza peli sulla lingua ci spiega cosa significa la violenza e cosa si sta facendo per porvi un freno.

 

Quando si sente parlare di squadroni della morte si pensa subito all’America Latina, a paesi come El Salvador, Nicaragua, ma anche Colombia e Brasile. Senza scendere nei dettagli diciamo questo, tu hai potuto assistere da vicino all’operato di certi gruppi denominati in tal modo nel Brasile degli anni ’70-’80. Di che tipo di fenomeno si è trattato?

Intanto bisogna sottolineare alcune differenze. Non conosco molto la storia degli squadroni della morte in America Centrale, ma ho sentito spesso fare paragoni sbagliati tra gruppi come le FARC colombiane e gruppi autonomi brasiliani di vigilanza del territorio come la “Scuderie le Cocq”. Sono due cose diverse. Le FARC sono un gruppo terrorista che segue l’ideologia comunista e che traffica con la droga. Quelle che vengono chiamate “squadre della morte” brasiliane erano gruppi che si occupavano di vigilare il territorio per contrastare il crimine. Parliamo poi di periodi e situazioni diverse. A che serve paragonare? In ogni caso non mi piace il nome “squadre della morte”, un termine che sarebbe più giusto per i trafficanti, che vendono morte con la loro roba e ammazzano gente.

 

Tornando al contesto brasiliano, è vero che gli squadroni massacravano la gente indiscriminatamente?

Ti rispondo con un fatto. Sai come è nata la “Scuderie”? Sai da chi ha preso il nome? Dall’investigatore di polizia Milton Le Cocq, ucciso in servizio da un criminale di nome Manuel Moreira ma meglio conosciuto come “faccia di cavallo”, che si sentiva onnipotente per via del suo giro di affari. Parliamo della Rio dei primi anni ’60. L’omicidio di Milton aveva fatto andare su tutte le furie molti agenti onesti e alcuni giorni dopo Moreira è stato ucciso. La storia è pubblica, non dovete credere a me.

 

Nella Scuderie Le Cocq c’era anche un certo Mariel Araujo Mariscot de Matos, che fu poi espulso, giusto?

Si, per alcuni fu un grande cacciatore di criminali, per altri anche un bandito. Io non mi sento di giudicarlo. Ognuno fa le proprie scelte e ne accetta le conseguenze.

 

Passiamo al Brasile contemporaneo: tra i mondiali del 2014 e le Olimpiadi della prossima estate è ritornata in voga tra i media internazionali la tematica sicurezza in Brasile. Cosa ne pensi? 

Penso che è una grossa buffonata fatta soltanto per fare un po’ di incremento di audience e per far parlare un po’ quelle che chiamano “organizzazioni per i diritti umani”.

 

Spiegati meglio, in che senso?

Oggi improvvisamente ci si accorge che il Brasile non è un paese sicuro? Prima non si sapeva? Poi non è solo un problema del Brasile ma di tutto il Sud America. Accusano il Brasile di essere uno degli snodi principali per il traffico di droga, ok, è vero, ma perché nessuno parla dei produttori in Bolivia? In Perù? Oggi è proprio il Perù ad avere preso il posto della Colombia degli anni ’80 per quanto riguarda la produzione di coca. Un bel reportage nella selva del Perù o della Bolivia non lo fa nessuno? Certo, è più facile andare nelle nostre favelas, parlare con qualche paladino dei diritti umani e dare la colpa alla polizia. A proposito, lo sapevate che quelli delle associazioni per i diritti umani, se vogliono operare nelle favelas, devono accordarsi con i capi di queste? E che nella maggior parte dei casi sono anche i capi delle favelas che gestiscono il traffico della droga lo sapevate? Fatevi due conti…..

 

Un reportage de Il Giornale ha recentemente trattato il problema delle favelas di Rio ed ha tirato in ballo il discorso razzismo e tra le varie dichiarazioni diceva: “Quando una madre nera e di periferia vede il figlio adolescente uscire di casa, vive con angoscia ogni minuto”. Il reportage citava inoltre alcuni dati dell’ONU secondo cui nel 2015 “la polizia in servizio ha ucciso oltre 2000 persone in Brasile, in maggioranza neri. Nella città di Rio de Janeiro si registra il triste record nazionale. Dei 1552 assassinii registrati in città nel 2014, 247 sono diretta responsabilità della polizia. Dei 1564 omicidi del 2015, alla Polizia ne sono imputati 307”.

 

Il discorso razzismo è tipico di certe ONG, come se nella polizia non ci fossero neri. Nel BOPE ci sono tantissimi ragazzi neri, quindi è un discorso perso in partenza. Andate a vedere le foto e i filmati su internet, non serve che ve lo dica io. Vorrei poi chiedere a quella madre cosa va a fare il figlio quando esce di casa….Perchè c’è chi va a giocare a calcio ma c’è anche chi va a spacciare la droga o a fare da vedetta. Per quanto riguarda i dati dell’ONU, sono sorpreso, molto sorpreso. Rio de Janeiro ha una situazione talmente caotica non solo sulle stime precise dei morti, ma anche sull’identità, ha un altissimo numero di casi di omicidio irrisolti ma l’ONU e le ONG sono in grado di fornire dati così specifici su quelli uccisi dalla polizia? L’ultima cretinata che ho sentito è che alcuni li hanno decifrati dal tipo di proiettile, che era in dotazione alla polizia, peccato però che una grossa quantità di armi in mano ai narcos sono rubate alla polizia o vendute sottobanco da poliziotti corrotti. Il Brasile è un gran casino e quando sento numeri così precisi mi viene da ridere perché capisco subito dove vogliono arrivare.

 

C’è poi il discorso della criminalità minorile. Recentemente la punibilità dei reati è stata abbassata da 18 a 16 anni, un segnale chiaro no?

Provvedimento invocato tra l’altro a febbraio anche dal Ministro degli Interni, Angelino Alfano, per quanto riguarda l’Italia. Provvedimento inutile.

 

Cosa ne pensi di chi accusa il BOPE di essere troppo violento?

Il BOPE si deve infilare quotidianamente in posti da dove è difficile uscire vivi, qui si sente parlare solo del Complexo do Alemao, ma ce ne sono altri ben peggiori. I trafficanti usano armi da guerra e la risposta deve essere forte per tutelare la vita dei militari, dei civili e anche la riuscita dell’operazione. Non stiamo parlando di criminalucci di strada con il taglierino. Se il BOPE è troppo violento, allora i trafficanti cosa sono? Perché contro di loro le ONG non puntano il dito? Non è che le operazioni del BOPE danno fastidio a qualcuno? Che le ONG vadano a puntare il dito contro i trafficanti, poi vediamo se sono più cattivi gli agenti o loro. Se filmi il BOPE in operazione non succede niente. Se provi a filmare i trafficanti ti ammazzano. C’è bisogno di aggiungere altro?

 

C’è chi definisce il BOPE uno “squadrone della morte”, tu che ne pensi?

Ma per favore! Il BOPE è un battaglione speciale della polizia di Rio de Janeiro specializzata nelle operazioni all’interno delle favelas. E’ parte dello Stato. Gli uomini del BOPE sono in prima linea tutti i giorni per ripulire le favelas dai “sacchi di letame” (gli spacciatori) e garantire la sicurezza dei cittadini. Chi li definisce tali non ha capito niente o non vuole capire.

 

Cosa rispondi a chi afferma che le “maniere forti” non sono servite a fermare o abbassare il livello di criminalità in Brasile?

E’ vero che non sono servite a fermare i trafficanti, ma semplicemente perché vengono riforniti “a monte”. E’ li che bisogna intervenire. Il problema è la produzione. La polizia lavora duro per limitare i danni e cercare di ripulire le zone. Senza il loro lavoro la situazione sarebbe ben peggiore. Guarda che il degrado delle favelas è soltanto uno degli ultimi strati di un meccanismo molto complesso, ma qui mi fermo.

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