http://znetitaly.altervista.org/ 27 marzo 2016
La democrazia brasiliana sull’orlo del caos e i pericoli del disordine legale di Boaventura de Sousa Santos traduzione di Giuseppe Volpe
Quando cominciai a studiare i sistemi giudiziari di vari paesi, quasi trent’anni fa, l’amministrazione della giustizia aveva almeno visibilità pubblica tra le dimensioni istituzionali dello stato. La grande eccezione erano gli USA, a causa del ruolo centrale giocato dalla Corte Suprema nel definire le politiche pubbliche davvero decisive. Facendo parte del solo organismo sovrano non elettivo e considerata la loro natura reattiva (poiché di norma non possono muoversi di propria iniziativa) nonché il fatto che dipendono da altre istituzioni statali (servizi carcerari, amministrazione pubblica) per far applicare le loro sentenze, i tribunali tendono ad avere un ruolo relativamente modesto nella vita organica della separazione di poteri introdotta dal liberalismo politico moderno, tanto è vero che la funzione giudiziaria era considerata apolitica. Il motivo di ciò aveva anche a che fare con il fatto che le corti si occupavano esclusivamente di vertenze individuali, piuttosto che collettive, ed erano disegnate per non interferire con le classi dominanti e le élite, protette da immunità e da altri privilegi. Si sapeva poco di come funzionava il sistema giudiziario, dei cittadini che vi facevano solitamente ricorso e dei loro fini nel farlo. Da allora è cambiato tutto. Ciò è stato determinato, tra l’altro, dalla crisi della rappresentanza politica che ha colpito gli organismi sovrani elettivi, dalla crescente consapevolezza dei propri diritti da parte dei cittadini e dal fatto che, messe di fronte a situazioni di stallo nel mezzo di problemi controversi, le élite politiche hanno cominciato a considerare l’uso selettivo dei tribunali come un mezzo a guadagnare peso politico da determinate sentenze. Ugualmente importante è stato il fatto che il neo-costituzionalismo emerso dalla seconda guerra mondiale ha assegnato un peso considerevole al controllo di costituzionalità da parte di corti costituzionali. Questo nuovo sviluppo si è prestato a due letture opposte. Secondo una lettura, solo la legislazione ordinaria andava soggetta a controllo al fine di impedire che fosse strumentalizzata da forze politiche inclini a demolire tutte le prescrizioni costituzionali, come è successo, nel modo più estremo, con le dittature nazista e fasciste. Secondo l’altra interpretazione il controllo di costituzionalità era lo strumento usato dalle classi politiche dominanti per difendersi da potenziali minacce ai loro interessi, in conseguenza delle vicissitudini della politica democratica e della “tirannia della maggioranza”. Sia come sia, questi sviluppi hanno tutti condotto a un nuovo genere di attivismo giudiziario che è divenuto noto come la giudiziarizzazione della politica e inevitabilmente ha portato alla politicizzazione della giustizia. L’elevata visibilità pubblica dei tribunali negli ultimi decenni è stata causata in larga misura da casi giudiziari che hanno coinvolto membri delle élite politiche ed economiche. Il principale spartiacque è stato una serie di procedure penali nota come l’operazione Mani Pulite che ha colpito virtualmente l’intera classe politica italiana e gran parte della sua élite economica. Avviata a Milano nell’aprile del 1992, l’operazione ha compreso l’indagine e l’arresto di ministri del governo, leader di partito, parlamentari (con, a un certo punto, circa un terzo di loro sottoposti a indagine), uomini d’affari, dipendenti pubblici, giornalisti e membri dei servizi segreti, variamente accusati di reati quali corruzione, concussione, abusi di potere, frodi, bancarotta fraudolenta, falsi contabili e finanziamenti politici illeciti. Due anni dopo 633 persone furono arrestate a Napoli, 623 a Milano e 444 a Roma. Avendo colpito l’intera classe politica sotto la cui guida il paese era stato governato nel passato recente, l’inchiesta Mani Pulite scosse le fondamenta del sistema politico italiano e portò all’emergere, anni dopo, del “fenomeno” Berlusconi. Considerati questi e altri motivi, i tribunali di molti paesi hanno da allora guadagnato molta notorietà pubblica. Il caso più recente, e forse il più spettacolare, per quanto ne so, è l’operazione “Lava Jato” (“autolavaggio” o piuttosto, e letteralmente, “lavaggio rapido”) in Brasile. Questa operazione anticorruzione montata dalla magistratura e dalla politica è stata lanciata inizialmente nel marzo del 2014. Prendendo di mira più di un centinaio di politici, uomini d’affari e dirigenti, è arrivata gradualmente a occupare il centro del palcoscenico della vita politica del Brasile. Mentre entra nella sua ventiquattresima fase e considerate le accuse penali mosse all’ex presidente Lula da Silva e il mondo cui è stata portata avanti, sta generando una crisi politica simile a quella che condusse al colpo di stato del 1964, mediante la quale fu insediata un’ignobile dittatura militare che doveva durare fino al 1985. Il sistema giudiziario – apparentemente il difensore e garante ultimo dell’ordine legale – è divenuto una fonte pericolosa di disordine legale. Misure giudiziarie palesemente illegali e incostituzionali, uno zelo persecutorio grossolanamente selettivo, un’aberrante promiscuità in cui canali mediatici sono al servizio delle élite politiche conservatrici e l’apparentemente anarchico iperattivismo della magistratura – che ha prodotto, ad esempio, 27 ingiunzioni riguardanti un singolo atto politico (l’invito della presidente Dilma a Lula da Silva a entrare nel governo) – tutte queste cose segnalano una situazione di caos legale che tende a diffondere incertezza, profonda polarizzazione sociale e politica e a spingere la democrazia brasiliana sull’orlo del caos. Con l’ordine legale trasformato così in disordine legale e con la democrazia sequestrata da un organo sovrano non eletto, la vita politica e sociale è diventata un potenziale terreno di bottino alla mercé di avventurieri e avvoltoi politici. A questo punto vanno affrontate numerose domande. Come si è arrivati a questo? Che trae vantaggio dalla situazione attuale? Che cosa si dovrebbe fare per salvare la democrazia e le istituzioni brasiliane su cui essa si regge, magistratura compresa? Come si deve attaccare questa idra dalle molte teste in modo che non cresca una testa nuova per ogni testa tagliata? In questo testo suggerisco alcune risposte.
Come si è arrivati a questo? Perché l’operazione Lava Jato si è spinta ben oltre i limiti delle controversie che sorgono abitualmente sulla scia di qualsiasi caso importante di attivismo giudiziario? Lasciate che segnali che la somiglianza con l’inchiesta italiana Mani Pulite è stata spesso invocata per giustificare l’esibizione pubblica e il disagio pubblico causati da questo attivismo giudiziario. Ma le somiglianze sono più apparenti che reali e ci sono in realtà due differenze molto precise tra le due inchieste. Da un lato i magistrati italiani mantennero sempre uno scrupoloso rispetto per le procedure penali e, al massimo, non fecero altro che applicare regole che erano state strategicamente ignorate da un sistema giudiziario che era non solo conformista, ma anche complice dei privilegi delle élite politiche nella politica dell’Italia postbellica. Dall’altro essi cercarono di applicare lo stesso invariabile zelo nell’indagare i reati commessi dai leader dei vari partiti politici di governo. Assunsero una posizione politicamente neutra precisamente per difendere il sistema giudiziario dagli attacchi cui sarebbe stato sicuramente sottoposto da quelli presi di mira dalle loro indagini e incriminazioni. Questa è l’assoluta antitesi del triste spettacolo attualmente offerto al mondo da un segmento del sistema giudiziario brasiliano. L’impatto causato dall’attivismo dei magistrati italiani finì per essere chiamato la Repubblica dei Giudici. Nel caso dell’attivismo dimostrato dal settore associato alla Lava Jato sarebbe forse più appropriato parlare di una Repubblica delle Banane dei giudici. Perché? A causa della pressione esterna che sta chiaramente dietro questo particolare caso di attivismo giudiziario brasiliano, ma che fu largamente assente nel caso italiano. Tale pressione è ciò che sta dettando la vistosa selettività di tale zelo investigativo e accusatorio. Poiché anche se coinvolge i leader di diversi partiti, il fatto è che l’operazione Lava Jato – e i suoi complici mediatici – ha mostrato di essere principalmente incline a implicare i leader del PT (il Partito dei Lavoratori) con il proposito ormai inequivocabile di realizzare l’assassinio politico della presidente Dilma Rousseff e dell’ex presidente Lula da Silva. In considerazione dell’importanza di questa pressione esterna e della natura selettiva dell’azione legale che intende generare, l’operazione Lava Jato condivide maggiori similarità con un’altra inchiesta giudiziaria, un’inchiesta che ebbe luogo nella Repubblica di Weimar dopo il fallimento della rivoluzione tedesca del 1918. A partire da quell’anno, e in un contesto di violenze politiche provenienti dall’estrema sinistra e dall’estrema destra, i tribunali tedeschi fecero mostra di un impressionante doppio metro, punendo con severità il tipo di violenze commesse dall’estrema sinistra e mostrando grande clemenza nei confronti delle violenze dell’estrema destra, quella stessa destra che nel giro di soli pochi anni avrebbe insediato Hitler al potere. In Brasile la pressione esterna si presenta sotto forma delle élite economiche e delle forze politiche al loro servizio, che non hanno accettato il fatto di aver perso le elezioni del 2014 e che, nel mezzo dell’attuale crisi globale di accumulazione del capitale, si sono sentite gravemente minacciate dalla prospettiva di altri quattro anni senza alcun controllo sulla parte delle risorse del paese dipendenti dal governo su cui si era sempre basato il loro potere. Il picco di tale minaccia è stato raggiunto quando Lula da Silva – considerato il miglior presidente brasiliano dal 1988, con l’80 per cento dei consensi alla fine del suo mandato – ha cominciato a essere considerato un potenziale candidato alla presidenza nel 2018. A quel punto la democrazia brasiliana ha cessato di essere funzionale a questo blocco politico conservatore e ne è seguita la destabilizzazione politica. Il segno più evidente dell’attacco contro la democrazia è stato il movimento per incriminare la presidente Dilma Rousseff nel giro di pochi mesi dal suo insediamento, un fatto che, anche se non totalmente privo di precedenti, quanto meno molto insolito nella storia democratica degli ultimi tre decenni. Rendendosi conto che la loro lotta per il potere era bloccata dalla norma della maggioranza democratica (“tirannia della maggioranza”) hanno cercato di far uso dell’organismo sovrano che è meno dipendente dalle regole della democrazia e che è specificamente designato a proteggere le minoranze, cioè i tribunali. L’operazione Lava Jato – un’inchiesta altrimenti molto meritoria – è stata lo strumento cui hanno fatto ricorso. Sostenuto dalla cultura legale conservatrice che è diffusamente predominante nel sistema giudiziario brasiliano, nelle sue Scuole di Diritto e nel paese in generale, nonché dall’intero arsenale di armi mediatiche di alta potenza e precisione, il blocco conservatore ha fatto tutto quanto era in suo potere per distorcere l’operazione Lava Jato. L’ha così dirottata dai suoi obiettivi giudiziari, che in sé erano cruciali per il consolidamento della democrazia, e l’ha trasformata in un’operazione di sterminio politico. La distorsione è consistita nel conservare la facciata istituzionale dell’operazione Lava Jato cambiando contemporaneamente la sua struttura funzionale sottostante, il che è stato realizzato assicurandosi che l’aspetto politico avesse la precedenza su quello giudiziario. Mentre la logica giudiziaria è basata sulla coerenza tra mezzi e fini, come dettato dalle norme procedurali e dalle garanzie costituzionali, la logica politica, se mossa da una spinta antidemocratica, subordina i fini ai mezzi e definisce la propria efficacia in base al grado di tale subordinazione. In questo processo gli intenti del blocco conservatore hanno avuto tre principali fattori a proprio favore. Il primo è stato lo spettacolare cambiamento di carattere subito dal PT come partito democratico di sinistra. Una volta al potere il PT ha deciso di governare secondo il “vecchio stile” (cioè lo stile oligarchico) per conseguire i suoi nuovi obiettivi innovativi. Ignorando la lezione di Weimar credeva che le “irregolarità” che avrebbe potuto commettere avrebbero incontrato la stessa indulgenza tradizionalmente riservata alle irregolarità commesse dalle élite e dalle classi politiche conservatrici che avevano governato il paese dalla sua indipendenza. Ignorante della lezione marxista che affermava di aver assorbito, ha mancato di comprendere che il capitale non consentirà a nessun altro di governare se non ai propri e che non è mai grato ad alcun estraneo che gli renda dei favori. Approfittando del contesto internazionale in cui, in conseguenza dello sviluppo della Cina, il valore dei prodotti primari aveva avuto un aumento eccezionale, il governo del PT ha incoraggiato i ricchi a farsi ancora più ricchi. Ciò è stato considerato come una precondizione per accrescere le risorse di cui aveva bisogno per attuare le misure straordinarie di ridistribuzione sociale che hanno reso il Brasile un paese sostanzialmente meno ingiusto e grazie alle quali 45 milioni di brasiliani sono stati liberati dal giogo della povertà endemica. Quando il contesto internazionale non è stato più favorevole, null’altro che un tipo di politica di “nuovo stile” sarebbe stato necessario per assicurare la ridistribuzione sociale. In altri termini, era necessaria una nuova politica che, tra l’altro, potesse utilizzare riforme politiche per por fine al promiscuo rapporto tra potere politico e potere economico, una riforma fiscale che tassasse i ricchi come modo per finanziare la ridistribuzione sociale nel periodo successivo al boom delle materie prime e, infine, una riforma dei media non per imporre censure ma piuttosto per garantire diversità nelle opinioni pubblicate. Com’è emerso, tuttavia, era troppo tardi per tutte queste cose che avrebbero dovuto essere fatte a tempo debito e non in un contesto di crisi. Il secondo fattore è collegato al primo. Si tratta della crisi economica globale e della morsa di ferro in cui è serrata da ciò che la causa: il capitale finanziario e la sua incessante auto-distruttività che distrugge anche la ricchezza sotto il pretesto di creare ricchezza e trasforma il denaro da intermediario degli scambi in una materia prima fondamentale dell’attività speculativa. L’ipertrofia dei mercati finanziari è un impedimento alla crescita economica. Chiede, invece, politiche d’austerità sotto le quali i poveri sono investiti del dovere di aiutare i ricchi a restare ricchi e, se possibile, a diventare più ricchi. In queste condizioni le fragili classi medie create nel periodo precedente si ritrovano sull’orlo di un’improvvisa povertà. Con la mente avvelenata dai media conservatori, sono pronte a ritenere lo stesso governo che le ha rese quelle che sono responsabile ora di ciò che può accader loro in futuro. Questo è tanto più probabile che accada dopo che un biglietto in termini di consumi piuttosto che un biglietto in termini di democrazia è diventato la tariffa da pagare per trasferirsi dai quartieri schiavi ai patio esterni delle ville padronali. Il terzo fattore operante a favore del blocco governativo è il fatto che, dopo le sue avventure in Medio Oriente, l’imperialismo statunitense è tornato nel continente. Cinquant’anni fa l’imperialismo non conosceva altri mezzi che le dittature militari per sottomettere i paesi del continente ai propri interessi. Oggi gli interessi imperialisti hanno a disposizione altri mezzi, cioè il finanziamento di progetti locali di sviluppo gestiti da organizzazioni non governative i cui gesti a favore della democrazia sono solo una facciata di aggressivi attacchi e provocazioni clandestine dirette contro i governi progressisti (“abbasso il comunismo!” “Abbasso il Marxismo!” “Abbasso Paulo Freire!” “Noi non siamo il Venezuela!”, eccetera). In tempi come questi, quando l’insediamento di dittature può essere evitato perché è la democrazia che provvede a che gli interessi economici dominanti siano serviti, e quando l’esercito, tuttora traumatizzato da passate esperienze, sembra non disposto a imbarcarsi in nuove avventure autoritarie, queste forme di destabilizzazione sono viste come più efficaci in quanto consentono di rimpiazzare governi progressisti con governi conservatori pur conservando la facciata democratica. Tutti i finanziamenti che attualmente abbondano in Brasile provengono da una vasta varietà di fondi (la nuova natura di un imperialismo più pervasivo), dalle proverbiali organizzazioni collegate alla CIA ai fratelli Koch – che finanziano le politiche più conservatrici negli Stati Uniti con una ricchezza che deriva loro principalmente dal settore petrolifero – a organizzazioni evangeliche nordamericane.
Come può essere salvata la democrazia brasiliana? Il primo e più pressante compito consiste nel salvare la magistratura brasiliana dall’abisso in cui sta precipitando. Al fine di realizzare ciò il suo settore sano – sicuramente la maggior parte del sistema giudiziario – deve assumersi l’incarico di ristabilire ordine, serenità e compostezza tra i propri membri. Il principio guida è abbastanza facile da dichiarare: l’indipendenza dei tribunali in base al primato della legge è intesa a consentir loro di adempiere la propria parte di responsabilità nel consolidare l’ordine democratico e la coesistenza democratica. Perché ciò avvenga è vietato loro di mettere la propria indipendenza al servizio di qualsiasi interesse finanziario o politico settoriale, non importa quanto potenti. Anche se è facile da affermare, il principio è molto difficile da mettere in pratica. La massima responsabilità per attuarlo, a questo punto, è di due differenti organismi. La STF (Corte Suprema Federale) deve assumere il proprio ruolo di garante ultimo dell’ordine legale e por fine alla diffusione dell’anarchia giudiziaria. La STF dovrà affrontare molte decisioni importanti nel futuro immediato, che devono essere rispettate da tutti, indipendentemente da ciò che decide. Attualmente la Corte Suprema è la sola istituzione in grado di fermare la caduta in uno stato d’emergenza. Quanto al CNJ (Consiglio Nazionale della Magistratura) che ha potere disciplinare sui magistrati, dovrebbe avviare immediate procedure disciplinari a causa di reiterate prevaricazioni e abusi procedurali non solo contro il giudice Sérgio Moro, che sta conducendo l’inchiesta in modo palesemente fazioso, ma contro tutti quelli che si sono comportati in modo simile. Se non sarà preso nessun provvedimento disciplinare esemplare il sistema giudiziario brasiliano corre il rischio di dilapidare l’influenza istituzionale conquistata in decenni recenti che, come sappiamo, non è stata usata a vantaggio di forze o politiche di sinistra. E’ stata conquistata semplicemente garantendo una costante coerenza e il giusto equilibrio tra mezzi e fini. Se il primo compito sarà portato a termine, la separazione dei poteri sarà preservata e il processo politico democratico riprenderà il suo corso. Il governo della presidente Dilma Rousseff ha deciso di includere Lula da Silva tra i ministri. E’ suo diritto farlo, e nessuna istituzione, meno di tutte la magistratura, ha il potere di impedirlo. Non stiamo parlando di eludere la giustizia da parte di un politico che non si è mai tirato indietro da una lotta, poiché alla fine egli sarà processato (se sarà il caso) da quell’entità – la Corte Suprema –che in ultima analisi lo processerebbe comunque. Dal punto di vista legale sarebbe un’aberrazione applicare qui il principio del “giudice naturale”. Si può, naturalmente, dissentire dalla decisione politica in questione. Lula da Silva e Dilma Rousseff sanno che stanno compiendo una mossa rischiosa, tanto più rischiosa nel caso l’ingresso di Lula nel governo non si traduca in un cambiamento di corso per strappare alle forze conservatrici il controllo sulla misura e sulla velocità dell’erosione che hanno causato nel governo. In realtà solo elezioni presidenziali anticipate potrebbero riportare la normalità. Se la decisione di Lula-Dilma si rivelerà sbagliata, le loro carriere finiranno, e sarà una fine molto indecorosa, specialmente nel caso di un uomo che ha ridato dignità a tanti milioni di brasiliani. Inoltre al PT ci vorranno molti anni per ripristinare la sua credibilità tra la maggioranza del popolo brasiliano, per non dire del fatto che dovrà sottoporsi a un processo di cambiamento radicale. Se tutto andrà bene, il nuovo governo dovrà attuare un cambiamento di politica, cominciando immediatamente, per non deludere la fiducia dei milioni di brasiliani che stanno scendendo in strada per protestare contro i golpisti. Se il governo brasiliano ha un qualche desiderio di trovare aiuto da parte di così tanti dimostranti, dovrà aiutarli a trovare un motivo per offrirlo. Vale a dire che, all’opposizione o al governo, il PT sarà costretto a reinventarsi. E sappiamo che questo sarà molto più difficile da fare stando al governo. Il terzo compito è ancor più complesso perché nel prossimo futuro la democrazia brasiliana dovrà essere difesa sia nelle istituzioni del paese, sia nelle strade. E poiché il processo decisionale politico non si conduce nelle strade, alle istituzioni sarà data debita priorità anche in questi tempi di spinta autoritaria e di emergenza antidemocratica. I tentativi di destabilizzazione proseguiranno e diverranno più aggressivi col diventare più visibili la debolezza del governo e delle forze che lo sostengono. Organizzazioni e movimenti popolari, così come dimostrazioni pacifiche, saranno infiltrati da provocatori. Una costante vigilanza è d’obbligo, poiché questo genere di provocazioni è attualmente usato in molti contesti per criminalizzare le proteste sociali, rafforza la repressione statale e dichiarare stati di emergenza, pur dietro una facciata di normalità democratica. Come ha sostenuto Tarso Genro, lo stato d’emergenza è in un certo modo in atto, ed è per questo motivo che “non ci sarà nessun segnale di un colpo di stato” da interpretare come denuncia del colpo di stato politico-giudiziario che è già in corso. Un colpo di stato di tipo nuovo, che deve essere neutralizzato. Infine la democrazia brasiliana può trarre vantaggio dalla recente esperienza di alcuni paesi vicini. Il modo in cui le politiche progressiste sono state attuate nel continente ha reso impossibile far svoltare a sinistra il centro politico dalle cui posizioni sono definite sia la sinistra sia la destra. E’ questo il motivo per il quale, quando i governi progressisti sono sconfitti, la destra sale al potere ossessionata da una virulenza senza precedenti e impegnata a distruggere, da un momento all’altro, tutto ciò che è stato costruito a favore delle classi popolari nel periodo precedente. Poi la destra procede nella sua vendicatività stroncando sul nascere la possibilità che nel futuro riemerga un governo progressista. Per questo conta sulla complicità del capitale finanziario internazionale nell’instillare nelle classi popolari e tra gli esclusi l’idea che l’austerità non è una politica che possa essere contestata ma piuttosto un destino cui devono rassegnarsi. Il governo Macri, in Argentina, è un caso esemplare. La guerra non è persa, ma non sarà vinta se si perde una battaglia dietro l’altra, cosa che accadrà se si continua a ripetere gli errori del passato.
Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/brazil-democracy-on-the-edge-of-chaos-and-the-dangers-of-legal-disorder/ |