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7 febbraio 2016

 

Cittadinanza referendaria per fermare la controriforma

di Nadia Urbinati

 

Cominciamo dall’articolo 138 della Costituzione. Cominciamo con lo svelare alcuni trucchi retorici usati ai danni dei cittadini da parte dei promotori e sostenitori di questa modifica della Carta. L’articolo 138 porta il titolo, Revisione della Costituzione – Leggi costituzionali.

 

Questo il testo:

“Le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali sono adottate da ciascuna Camera con due successive deliberazioni ad intervallo non minore di tre mesi, e sono approvate a maggioranza assoluta dei componenti di ciascuna Camera nella seconda votazione. Le leggi stesse sono sottoposte a referendum popolare quando, entro tre mesi dalla loro pubblicazione, ne facciano domanda un quinto dei membri di una Camera o cinquecentomila elettori o cinque Consigli regionali. La legge sottoposta a referendum non è promulgata se non è approvata dalla maggioranza dei voti validi. Non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti.”

Primo punto. Quella in corso di approvazione parlamentare non è una riforma, come non lo furono tutti i precedenti tentativi che dal 1983 si sono susseguiti sia con commissioni parlamentari sia con iniziative governative (prima del Governo Renzi fu il Governo Berlusconi a portarci a referendum su una proposta di modifica, che era comunque meno disastrosa di questa partorita dal Pd). L’articolo 138 contempla solo revisioni. E’ falso parlare di riforma. Lo si fa, ovviamente, per accusare di conservatorismo chi osteggia la proposta Renzi-Boschi. Al contrario, ad essere conservatrice è la “Renzi-Boschi”, un testo che vuole una repubblica dirigistica e che squilibra i poteri istituzionali per spostare il baricentro dello Stato dal Parlamento al Governo, al suo leader e (vista la legge di riforma elettorale che marcia insieme a questa modifica costituzionale), al suo partito (il quale, poiché liquefatto sta a un gradino più in basso del suo Segretario). Questa modifica renderebbe la nostra una Repubblica mono-archica, quindi meno democratica e attenta essenzialmente solo ai diritti della maggioranza di chi vota; esposta pericolosamente al volere di un capo e dei suoi amici – un ordine centralistico. E’ una pessima modifica, non una riforma. Lo sbilanciamento esecutivista che l’Italicum sancisce non rende la Costituzione rivista sicura abbastanza rispetto a tutti i movimenti che possono competere per la maggioranza. Si sente timidamente dire, “e se vincesse Salvini?” – il che significa che questa Carta non è sicura per la nostra libertà politica perché non è in grado di tutelarci da chiunque conquisti la maggioranza. E’ fatta su misura per una specifica maggioranza, per un presente che dovrebbe restare ingessato per sempre. E’ quindi pessima cosa. Una Carta nata vecchia.

Secondo punto. Il referendum non è indetto dalla maggioranza che ha approvato o approverà il testo di modifica, ma da chi ne fa richiesta per abrogarlo. Il referendum non è quindi un plebiscito; non serve a incoronare il leader che ha voluto la controriforma. Viene richiesto per rispondere con il voto diretto dei cittadini a una decisione presa dai loro rappresentanti – è una salvaguardia della sovranità “che appartiene al popolo”, non un plebiscito pro o contro Renzi. La posta in gioco e il tema del contendere è la Costituzione, non Renzi.

Terzo Punto. Il senso dell’articolo 138 è che non è desiderabile che una Costituzione abbia solo il consenso della maggioranza semplice. Il consenso dovrebbe essere molto più ampio proprio perché non si tratta di una legge ordinaria ma di una legge costituzionale. Ecco perché è una pura furbizia ideologica dire (come alcuni professori-giornalisti fanno) che il NO si rivela insensato perché sostenuto da un’ammucchiata di gente diversissima. Ma vero è il contrario: il più largo numero dovrebbe votare la Costituzione, non una semplice maggioranza, che invece sarebbe proprio la dimostrazione della insensatezza della revisione – buona appunto per alcuni soltanto, ma non per tanti e tantissimi. E poi, non è forse vero che la Costituzione del 1948 fu votata da partiti diversissimi e nemici tra loro? E allora, che cosa dovremmo dire, che siccome non era di una maggioranza era cattiva?

Queste precisazioni che l’articolo 138 ispirano sono essenziali. Servono a svelare che i rappresentanti eletti dal popolo che hanno partorito questa modifica costituzionale falsano la realtà. Essi godono del sostegno quasi unanime dei media e della carta stampata. E dimostrano che i riformatori sono coloro che non vogliono questa revisione, una vera e propria controriforma.

Questa controriforma cambierà l’identità della nostra Repubblica che da repubblica dei partiti diventerà repubblica di un partito, di una maggioranza e, soprattutto, di un leader. Si tratta di una trasformazione in senso monarchico (Maurice Duverger parlava a proposito della Francia di De Gaulle di “monarchia repubblicana”) che cerca di portare a compimento un disegno che è cominciato insieme alla Costituzione stessa, da coloro che non hanno mai digerito che l’Italia controriformatrice venisse messa in minoranza da un’Italia democratica. Questo disegno è stato per decenni il senso dell’ideologia della “Seconda Repubblica”. Modello gollista (e suoi adattamenti italici) e democrazia parlamentare sono le due alternative che da allora si confrontano. Le parole di Matteo Renzi, spazientito per le resistenze interne al suo partito alla nascita della vera “Seconda Repubblica”, sono una descrizione efficace di questa lunga storia di un’ideologia controriformatrice: “a chi ci dice ‘ma state facendo troppo veloce’, rispondo che questa riforma è attesa da settant’anni”. Questa indicazione che muove la modifica in corso e che viene da lontano dice questo: ormai distanti dall’esperienza fascista e dai timori che orientarono le scelte dei Costituenti, possiamo riprendere il percorso interrotto sul nascere e riportare il Governo al centro.

La revisione Renzi-Boschi contro la quale voteremo NO quando si terrà il referendum, ha avuto una lunga gestazione; concepita da quando, a partire dalla fine del centrismo democristiano (che coincise con l’inizio del gollismo) e poi con il progetto di Grande Riforma propugnato pubblicamente da Bettino Craxi (e nell’ombra dall’aretino Licio Gelli) e rilanciato dal Governo Berlusconi si cominciò ad auspicare una “nuova repubblica” per realizzare un’idea di governabilità basata sul decisionismo del leader, condotta da un numero ristretto di politici, finalizzata a correggere il metodo parlamentare della concertazione fra partiti. Retta infine su una cittadinanza apatica.

Il precedente tentativo, messo in atto da Berlusconi ottenne la maggioranza in Parlamento e fu fermato dai cittadini. La storia si ripete, ma con una differenza non piccola: allora c’erano i partiti di opposizione a sostenere il referendum, oggi c’è solo la cittadinanza referendaria. I partiti, che sono oggi solo parlamentari, non stanno con i cittadini, che sono soli e devono fare da soli: dando vita a comitati e facendo direttamente la campagna referendaria. Sarà per questo – e solo per questo – una battaglia quindi più difficile di quella del 2006, tenendo anche conto che i media (con pochissime eccezioni) non sono dalla parte dei cittadini, i quali potranno fare affidamento solo sulla strategia del faccia-a-faccia e su Internet. Ma sarà una battaglia bella anche perché giusta e sacrosanta. Una battaglia che chiede due cose: che non ci si astenga e si vada a votare, e che si voti NO.

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