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Giovedì 03 marzo 2016

 

L’amputazione greca

di Gad Lerner

 

Apprendiamo che di qui all’estate l’Unione europea potrebbe decidere di tagliarsi una gamba, in seguito a una frettolosa diagnosi di cancrena.

Non sono impazzito. Sto solo traducendo in linguaggio pseudo-sanitario le diciotto cartelle del documento della Commissione di Bruxelles con cui si danno tre mesi di tempo al governo greco per ottemperare al diktat comunitario in materia di profughi.

Queste le principali richieste: riprendersi, in applicazione dell’accordo di Dublino sul paese di primo approdo, le centinaia di migliaia di profughi transitati dalla Grecia, che poi hanno raggiunto varie nazioni del nord Europa; impiantare sul suolo ellenico grandi centri di raccolta e identificazione; sigillare la frontiera con la Macedonia per interromperne il flusso.

In contropartita l’Ue garantirebbe al governo Tsipras il supporto finanziario e il dispiegamento di una forza di polizia comunitaria.

La realizzabilità di un tale piano d’azione appare poco verosimile anche a chi lo propone, tanto è vero che già si pianifica in alternativa una misura drastica: escludere la Grecia dall’area Schengen. Tagliarla fuori, appunto. Decretare che questa storica regione sud-orientale del continente, culla della sua più antica civiltà, è ormai affetta da un’inguaribile cancrena dovuta alla sua posizione geografica. Il flusso ininterrotto dei migranti dalla Turchia rappresenterebbe un’insidia velenosa di tale pericolosità per l’insieme dell’organismo, da rendere necessario una dolorosa operazione chirurgica di amputazione.

Al di là di ogni considerazione di ordine morale, intravedo in questo approccio al fenomeno migratorio, fondato quasi esclusivamente sull’istinto del respingimento, una sorta di cupio dissolvi, inconsciamente autolesionistico.

Non a caso i paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia), che si oppongono alle direttive comunitarie in materia di ripartizione per quote dei profughi, hanno già pianificato di bruciare i tempi. Per conto loro, programmano accordi con la Macedonia e la Bulgaria per realizzare un blocco militare della cosiddetta “rotta balcanica”. Se poi i migranti siriani e iracheni escogiteranno transiti alternativi, magari passando dall’Albania o ripiegando nuovamente verso il Nordafrica per attraversare il Canale di Sicilia, questo a loro non interessa.

Le conseguenze di una tale iniqua scelta di amputazione oggi minacciata nei confronti della Grecia, sono facilmente intuibili. Sul medio periodo, chi si dispone a tagliare fuori dall’area Schengen l’arto sinistro di un continente affacciato sul Mediterraneo, non può che contemplare successivamente l’eventualità di amputarsi, se necessario, pure l’arto destro. Cioè l’Italia.

Pensiamo davvero di poter vivere in pace riducendo il vecchio continente a un moncherino? O non è ragionevole piuttosto prevedere che questo sia solo l’avvio di un processo autolesionistico di disintegrazione?   

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