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12 maggio 2016

 

Francia, il Jobs Act lo porta un colpo di Stato

di Giampaolo Martinotti

 

Francia, la loi El Khomri passa senza votazione. Proteste in tutto il paese e scontri con le forze di sicurezza nella capitale. Ma i sindacati, gli studenti e la sinistra anticapitalista continueranno la lotta.

 

In assoluta continuità con la logica dello stato di emergenza il governo del premier socialista Manuel Valls ha deciso di far passare la loi El Khomri, la terribile riforma del diritto del lavoro in senso neoliberista, utilizzando la forza. Appellandosi all’articolo 49.3 della Costituzione francese, lo stesso che nel 2006 François Hollande aveva definito “un diniego di democrazia”, l’esecutivo ha di fatto optato per un colpo di stato degno della peggior creditocrazia, mettendo così in luce tutta la sua fragilità e il suo disgusto per la democrazia. Nel frattempo, prima e durante la bagarre all’Assemblée nationale, il Senato prolungava l’état d’urgence fino a luglio, lasciando campo libero alla più brutale repressione poliziesca.

Ma la violenza utilizzata e strumentalizzata dal governo, oggi come nei mesi scorsi, non ha certo spento il fuoco della mobilitazione. Rompendo per l’ennesima volta lo stato di emergenza i sindacati (CGT, FO, FSU, Solidaires), i movimenti studenteschi (UNEF, Fidl, UNL) e la sinistra anticapitalista e radicale (NPA, PCF, PG) hanno invaso le piazze delle principali cittadine francesi andando incontro alla violenza, fisica e psicologica, della Compagnies Républicaines de Sécurité (CRS) e della Brigade anti-criminalité (BAC). La polizia, forte dell’appoggio governativo e di una strategia della tensione che va avanti da settimane, non ha avuto remore nell’impiegare tutto il suo arsenale per cercare di far degenerare il corteo parigino e disperdere la protesta: manganellate e gas lacrimogeni hanno accompagnato il percorso dei circa 50 mila manifestanti da Denfert-Rochereau a Les Invalides. I cittadini che meritano questo trattamento barbaro sono colpevoli di opporsi a una riforma chiaramente catastrofica per tutti i lavoratori. Il Jobs Act alla francese, sulla falsa riga di quello voluto dal governo Renzi in Italia, prevede meno diritti, più precarietà, liberalizzazioni, licenziamenti facili e flessibilità incondizionata.

Imporre questa riforma senza votazione, dopo aver “temporaneamente” annullato i diritti civili di un popolo interno, reprimendo con violenza le forti proteste, è il risultato di un suicidio politico lento ma inesorabile che toglie legittimità a questo governo ovviamente prostrato al volere della Troika e al potere delle banche d’investimento e della grande finanza. Questa decisione disperata, e al tempo stesso vergognosa, consegna alla storia le false promesse fatte dal Parti socialiste dunate la campagna elettorale del 2012.

Il presidente Hollande ha definitivamente tradito i suoi elettori e i lavoratori, la sinistra che lo aveva sostenuto, e tutti quei cittadini, precari, studenti, disoccupati e pensionati che avevano creduto in un futuro più dignitoso dopo la triste avventura al potere di Nicolas Sarkozy. E proprio le fallimentari politiche del Ps hanno rafforzato i fascisti del Front national e una destra liberista che pareva alla canna del gas. Proprio i deputati della destra avevano presentato ieri la controversa “mozione di censura” che, con 246 a favore (erano necessari 288 voti per condanare il governo alla sfiducia), non è servita a frenare i piani dell’esecutivo. Sono mancati i voti dei dissidenti socialisti che il portavoce del governo, Stéphane Le Foll, aveva minacciato di esclusione dal gruppo Ps chiedendo “una prova di responsabilità” per imporre la brutale distruzione del codice del lavoro.

Per Christian Jacob, capogruppo dei Republicains, la legge El Khomri “non è sufficientemente liberale”. Questo passaggio, contenuto all’interno della mozione, è bastato a Pascal Cherki e Christian Paul, figure di spicco dei “frondisti” Ps, per scartare l’ipotesi di voto a destra nell’attesa dell’esito della raccolta firme lanciata dal Front de Gauche per presentare un’altra mozione di censura da sinistra poi caduta nel vuoto.

La giornata del 12 maggio verrà ricordata, tra le altre cose, per il fatto di aver regalato una dimensione nuova all’opposizione popolare, rafforzando una dinamica di lotta unitaria che, se rilanciata costantemente all’interno delle tante mobilitazioni, può bloccare il paese e vincere una battaglia fondamentale per spazzare via l’arroganza dei burocrati di Bruxelles e del Medef, la confindustria francese, e le residue speranze del Parti socialiste alle prossime elezioni presidenziali. Le condizioni di lavoro e di vita delle generazioni attuali e future non possono essere negoziate o sottoposte a compromessi, perché perdere questa battaglia potrebbe avere risvolti davvero troppo devastanti.

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