Fonte: www.counterpunch.org http://comedonchisciotte.org/ 21 settembre 2016
La celebrazione del 1%. L’ineguaglianza fa bene all’economia? di Michael Hudson
Parafrasando Mark Twain, tutti si lamentano dell’ineguaglianza, ma nessuno fa qualcosa contro di essa.
Ciò che al contrario accade spesso è di usare il concetto di ineguaglianza come pretesto per proiettare le proprie vedute su come rendere la società più prospera ed allo stesso tempo più equa. Queste vedute dipendono in larga parte dal fatto che l’osservatore abbia una considerazione dell’1% come innovativo, intelligente, creativo, che la sua ricchezza sia dovuta al suo apporto al resto della società, o se al contrario, come sostenuto dagli economisti classici, la parte più ricca della popolazione è costituita dai rentiers (possidenti) che estraggono il loro reddito e le loro ricchezze dal 99% in qualità di passivi proprietari, monopolisti, banchieri predatori. Le statistiche economiche mostrano una tendenza all’ineguaglianza che è più o meno la medesima in tutto il mondo. Dopo il picco degli anni ’20, le riforme intraprese negli anni della grande depressione aiutarono a rendere la distribuzione della ricchezza maggiormente equa e stabile fino al 1980. Dopodiché, nell’affermarsi del Thatcherismo nel Regno Unito e della Reaganomics negli Stati Uniti, l’ineguaglianza è decollata. E’decollata specialmente a partire dal settore finanziario (specie dal momento che i tassi di interesse si sono drasticamente ridotti dal loro massimo storico del 20% nel 1980, creando il più grande boom nel mercato dei bond della Storia). Il settore immobiliare e l’industria vennero finanziarizzati, il che vale a dire dipendenti dal debito. L’ineguaglianza iniziò a crescere stabilmente e senza sosta fino al crash finanziario globale del 2008. Da allora, dal momento che banchieri e possessori di titoli furono salvati, anziché salvare l’economia, l’1% al vertice ha guadagnato ulteriore terreno rispetto al resto dell’economia. Al tempo stesso, il 25% più in basso nell’economia ha visto la sua ricchezza netta e il suo reddito relativo deteriorarsi. Inutile a dirsi, i ricchi possono fare affidamento sui loro agenti di pubbliche relazioni, appoggiati dalla classica falange di utili idioti accademici. Pertanto, l’economia mainstream (egemone) è diventata nient’altro che una celebrazione della ricca classe dei rentiers ormai già praticamente da un secolo, e mentre l’ineguaglianza si espande incessantemente, i servizi dei celebratori dell’1% di professione sono sempre più richiesti dai loro padroni. Un caso perfettamente esemplificativo è l’economista Scozzese Angus Deaton autore del testo La grande fuga: salute, ricchezza e le origini dell’ineguaglianza (The great escape: helath, wealth and the origins of inequality, 2013), eletto presidente dell’ AEA (American economic association) nel 2010, gli fu conferito il Nobel per l’economia nel 2015 per meriti nell’aver analizzato le tendenze in materia di consumi, distribuzione della ricchezza, povertà e welfare in modi del tutto innocui per la classe possidente, che anzi, trattano uno status quo caratterizzato da un costante incremento dell’ineguaglianza come fenomeno del tutto naturale e perfettamente consistente con l’equilibrio matematico (Questa sorta di ragionamento matematico circolare è il criterio di una buona scienza economica oggi). I suoi libri trattano il film La grande fuga (The great escape) a guisa di metafora. Sottolinea derisivamente come nessuno avrebbe mai chiamato il film “i Prigionieri lasciati indietro”. Descrivendo i fuggitivi come brillanti innovatori, inferisce che l’1% più ricco sia stato, similmente, sufficientemente intelligente ed immaginativo per spezzare i confini del pensiero convenzionale e innovare. I fondatori di Apple, Microsoft ed altre compagnie informatiche sono direttamente menzionati per il supposto merito di aver reso le vite di tutti più ricche. E l’economia nel suo complesso avrebbe esperito una più o meno stabile tendenza al miglioramento, specialmente in termini di una salute pubblica che consente di vivere più a lungo, la sconfitta delle malattie, l’innovazione farmaceutica. Sono stato di recente sullo stesso palco con il Signor Deaton a Berlino, insieme al mio amico David Graeber. Tutti noi tre abbiamo pubblicazioni tradotte in Tedesco in programma per essere pubblicate questo autunno presso l’ottimo editore Klett-Cotta, organizzatore dell’evento nell’ambito del Literaturfestival di Berlino a metà Settembre. In un certo senso trovo l’analogia di Deaton con il film La grande fuga appropriata: I ricchi sono fuggiti. Ma il vero problema è da cosa sono fuggiti. Sono fuggiti dalla regolazione, dalla tassazione (grazie alle piattaforme bancarie offshore e ad una radicale riscrittura della disciplina tributaria finalizzata a spostare il carico fiscale su lavoro e industria). Soprattutto, i banchieri di Wall Street sono fuggiti dalla legge. Non c’è motivo di scappare di galera se puoi benissimo evitare prima di essere catturato e condannato. Un numero di pubblicazioni recenti, menzionato settimanalmente nella pagina editoriale del Wall street journal, giustificano l’1% più ricco assumendo che debbano essere più intelligenti del resto della gente. Quantomeno, abbastanza intelligenti da entrare nelle più prestigiose scuole di business e acquisire dei master che insegnano come finanziarizzare le imprese con zaitech o altri meccanismi di speculazione sul debito, mietendo (“guadagnandosi”) sostanziosissimi bonus. La nuda verità è che essere intelligenti non serve a nulla per fare un sacco di soldi. L’unica caratteristica che occorre è essere avidi. E l’avidità non viene insegnata nelle scuole di business. Infatti, quando andai a lavorare come analista dell’equilibrio dei pagamenti presso Chase Manhattan nel 1964, mi fu subito detto che i migliori traders dei mercati monetari provenivano dalle baraccopoli degradate di Brooklyn o di Hong Kong. La loro intera vita era stata dedicata al fare soldi, ad ascendere alla classe dei proverbiali Babbitt del nostro tempo: ossia dei parvenu completamente scevri di vera cultura o genuina curiosità intellettuale. Chiaramente i banchieri che si avventurano a “stirare la bustarella” (stretch the envelope, eufemismo da truffatore per infrangere la legge, come ad esempio Citigroup nel 1999 quando si fuse con Traveler’s Insurance prima che l’amministrazione Clinton respinse la legge Glass-Steagall) hanno bisogno di avvocati piuttosto intelligenti. Ma anche in questo caso, Donald Trump ha spiegato la chiave del mestiere, come gli fu insegnato dall’avvocato dei clan mafiosi Roy Cohn: ciò che conta non sono le leggi scritte ma chi è il giudice assegnato. E le corti USA sono state praticamente privatizzate attraverso l’elezione di giudici le cui campagne sono state finanziate in modo da far prevalere sempre e comunque elementi favorevoli alla deregolamentazione e di stampo garantista. Così i ricchi sfuggono il confronto con la legge. Nonostante nessun spettatore nei cinema si augurasse che gli eroi di La Grande fuga fossero catturati e risbattuti nel loro campo di prigionia, moltissima gente si augura che i disonesti di Citigroup, Bank of America e altri responsabili delle frode dei mutui-spazzatura a Wall Street siano mandati in galera, insieme a Angelo Mazilo di Countrywide Financial. Anche i loro fiancheggiatori e lobbysti politici quali Alan Greenspan, il Procuratore generale Eric Holder, Lanny Brauer e tutti i loro sottoposti che si sono rifiutati di imbastire azioni penali contro la frode finanziaria non godono di grande simpatia da parte del pubblico. Deaton cita “coloro che vivono di rendita” (rent seekers) nel suo testo , ma nello stesso senso in cui lo il termine viene impegato dal suo predecessore al Nobel Buchanan, individuando il rent seeking come una praticata del governo, non dall’immobiliare, da monopoli quali il settore farmaceutico, informatico, delle assicurazioni sanitarie, delle telecomunicazioni, dell’alta finanza. Quindi ogni responsabilità per la povertà ricade sempre e soltanto o sul governo o sui debitori, gli affittuari, coloro senza la fortuna di nascere ricchi, ossia sulle stesse principali vittime dell’economia rentier di oggi. Great Escape, il testo di Deaton, individua dei problemi, ma non intrinseci al sistema economico stesso, non il debito, ma i monopoli, non la crisi causata dai mutui-spazzatura o la frode finanziaria sistematica. Cita il riscaldamento globale come problema principale, ma non il potere politico dell’industria petrolifera. Cita l’educazione come unico fattore di possibile ascesa per il 99%, ma non menziona neppure la problematica questione dei presiti contratti dagli studenti , l’imbroglio delle università private che finanziano una istruzione scadente speculando su prestiti agli studenti garantiti dal governo. Misura il grande incremento in benessere con l’esclusivo parametro del PIL (prodotto interno lordo). Loyd Blankfein della Goldman Sachs notoriamente descrisse i manager della sua banca d’investimenti e i suoi partners come gli individui più produttivi degli Stati Uniti, misurato dal fatto che guadagnavano 20 milioni di dollari l’anno (esclusi i bonus), il che è tutto registrato come parte del contributo del settore finanziario al PIL. Non viene affatto specificato che questa è ciò che gli economisti qualificano come una attività economica a somma zero , ossia i salari della Goldman Sachs sono improduttivi, parassitari, predatori e fungono come un peso morto che grava sul resto dell’economia. Simili pensieri sono banditi dal mondo fittizio di facce felici promosso dall’1%. Il canto celebrativo dell’elite di Deaton ha come assunzione che ognuno guadagna ciò che merita, giocando sempre un ruolo produttivo, mai estrattivo. Un ancora più sfacciato tentativo di negazione della pratica economica del rent seeking è dato dal nuovo libro di uno dei fondatori di Bain Capital (azienda di Mitt Romney) , Edward Conard, The upside of inequality (Il lato positivo dell’ineguaglianza) che si scaglia contro i “demagoghi” e “propagandisti” che sostengono che l’arricchimento dell’1% sia largamente ingiustificato. Cautamente, non include Adam Smith, John Stuart Mill o David Ricardo nelle file di tali “propagandisti”. Eppure l’economia di libero mercato classico aveva esattamente questo come suo perno e nucleo concettuale e d’intenti: liberare l’economia dai guadagni estrattivi di rendita e dai crescenti prezzi di terre e proprietà che i proprietari “gonfiavano nel sonno” , nelle parole di John Stuart Mill. Questo libro propagandistico pertanto offre una visione adulterata del programma dei grandi fondatori della scienza economica: proprietà pubblica o ricavati da affitto della terra improduttivi, appropriazione del possesso di risorse naturali per poi speculare su “concessioni”, monopoli naturali e ad orchestrare il tutto il settore finanziario. Per Conard ragione del rapido incremento di ricchezza dell’1% non è finanziaria, immobiliare o dovuta ad altri fattori di rendita monopolistica ed estrattiva, ma bensì le meraviglie della cosiddetta information economy (cioè l’economia dopo internet). E’ la distruzione creativa di Joseph Schumpeter che elimina le tecnologie meno produttive, il duro lavoro di appassionati innovatori la cui creatività innalza gli standard di tutti. Pertanto la ricchezza dell’1% è una misura della marcia della società verso il progresso, non un carico predatorio sulla testa estratto dall’economia normale. La conclusione di Conard, traduzione delle sue visioni in termini di politica economica, è che la regolazione e la tassazione rallentano la marcia dell’economia verso la prosperità, una marcia guidata dall’1%. Una recensione del libro con profusione di lodi sul Wall street journal riassume il messaggio: “La redistribuzione, sia se attuata per mezzo di tassazione, restrizioni regolatorie, o norme sociali pare avere effetti deleteri sull’assunzione di rischi, l’innovazione, la produttività e la crescita sul lungo periodo, specialmente in un una economia dove l’innovazione prodotta dal talento imprenditoriale ben istruito, disposto ad assumersi rischi rappresenta sempre più il volano della crescita”. La sua soluzione insomma è di abbassare le tasse ai ricchi! Il mio amico Dave Kelley nota questo messaggio in termini di politica economica viene ripetuto ad nauseam in questi giorni: l’asserzione che “manovre progressive in materia di tassazione finiscono per far male all’economia anziché aiutarla”. Teoria riassumibile con “Ti darei da mangiare ma ho paura che poi mi diventi dipendente dal cibo” è centrale nel mostrare come le società consumiste come le nostre stiano andando dritte verso una distribuzione feudale della ricchezza. Questa pare essere la proposta di riforma dei tre maggiori candidati alla presidenza USA, nel nostro mondo moderno post Citizens United (organizzazione no-profit che promuove campagne per elezioni realmente democratiche in USA, ndt) dove le elezioni sono una compravendita in nulla diversa da come le cariche consolari venivano vendute e acquistate negli ultimi giorni della Repubblica a Roma.
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