http://ilpedante.org/ 23 agosto, 2016
#facciamocome Israele
Nel capitolo precedente di questa riflessione ci siamo esercitati a tradurre un'intervista di Enrico Letta sui recenti attentati in Francia. Lì si è appreso che, secondo le élites di cui Enrico è portavoce e rappresentante, i cittadini europei devono oggi parlare di guerra civile e conseguentemente alimentare una paura funzionale a un rafforzamento della sorveglianza pubblica sulla vita privata. Quella dell'intervistato non era un'opinione, né un consiglio, ma un imperativo accompagnato dalla minaccia esplicita di nuovi lutti: "Evidentemente gli attentati precedenti non hanno insegnato ancora abbastanza". A corredo di queste più o meno consapevoli intimidazioni dai piani alti, i giornali si esibivano negli stessi giorni in un tormentone la cui sincronia tradiva il marchio inconfondibile dello spin: per fronteggiare il terrorismo islamico - scrivevano - facciamo come lo Stato di Israele.
Chi ci segue sa che in ogni retorica del #facciamocome si cela la volontà di estorcere il consenso delle masse insinuandone l'inadeguatezza e la colpa. Al tema abbiamo dedicato un ampio articolo e, prima ancora, un fortunato generatore online. Il caso in specie si ascrive certamente al fenomeno - gli europei frivoli e irresponsabili di fronte alla minaccia che incombe - ma con un supplemento problematico che merita un affondo. La pedanteria è virtù dei lenti, sicché non ci è sempre facile seguire i nessi fulminei dell'opinionismo à la carte. Qui l'idea pare essere la seguente: che per fermare il terrorismo si debbano adottare le politiche del paese che, tra gli economicamente più avanzati (OCSE), è quello che più di tutti subisce l'impatto del terrorismo (Global Terrorism Index 2015).
Ciò è singolare. Applicando lo stesso principio, per ridurre l'inquinamento dovremmo quindi imitare i paesi più inquinati, per fermare gli omicidi prendere esempio da quelli in cui se ne commettono di più, per combattere la mafia ispirarci a quelli in cui la mafia spadroneggia, e via facendocome. Il paradosso nasce evidentemente da una pretesa concezione naturalistica - cioè tecnocratica - del fenomeno, che ne oscura le cause umane rappresentandolo come una iattura senza storia. Se il terrorismo, al pari delle guerre, delle migrazioni e delle crisi economiche, non è governabile e non scaturisce dalle scelte politiche delle comunità, a queste ultime non resta che retrocedere negli stretti margini di uno stato di emergenza perpetuo per affidarsi alle strategie difensive dettate da chi si candida a governare le crisi. In questa prospettiva, fallace e funzionale alla soppressione della progettualità e delle alternative politiche, l'unica opzione concessa alle vittime sarebbe in effetti quella di adottare i palliativi di chi le ha precedute e aspettare che passi 'a nuttata. Chi, senza interrogarsi sul perché qui e perché ora, giura che certi popoli e/o religioni portino il cromosoma del terrorismo nel sangue fa il paio con chi crede che altri - ad esempio il nostro - portino quello dell'inefficienza e della corruzione, e altri ancora quello della dirittura morale. Alla faticosa ricostruzione dei nessi contingenti e causali si sostituisce così una spiegazione ontologica e passepartout sempre valida, imperturbabile alla prova dei fatti. Più che una fine della storia à la Fukuyama si tratta allora una soppressione della storia come consequenzialità intellegibile di eventi, sulla cui tabula rasa è facile presentare i fallimenti come soluzioni e i responsabili come salvatori. Sicché si può appunto invocare una militarizzazione in salsa israeliana senza interrogarsi sul ruolo di quest'ultima e dei suoi corollari - occupazione, rappresaglie, discriminazione ecc. - nel perpetuarsi della conflittualità che si vorrebbe scongiurare. O ancora, rimestare la brodaglia del Patriot Act che in 15 anni ha represso le vittime del terrorismo ma non il terrorismo. Per finire con le sempreverdi opzioni militari, il cui successo è certificato dal destino di Iraq e Afghanistan, che per avere ospitato la guerra al terrorismo sono balzati rispettivamente in prima e seconda posizione nel citato indice del terrorismo globale. Le retoriche dell'emergenza, della radicalità e dell'insufficienza sono indici infallibili di una manipolazione in corso. Il Fate presto! si applica con ugual profitto alla sicurezza nazionale e alla politica estera come all'economia. In modo del tutto sovrapponibile, la crisi produttiva e occupazionale è narrata negli stessi termini antistorici - le nazioni oggi in crisi sarebbero sempre state arretrate e improduttive - e le sue dimostrabili cause ripresentate come ricette dolorose ma salvifiche per popoli ontologicamente bisognosi di rigore. Tornando al nostro caso, dovrebbe stupire che i ragliatori dell'israelizzazione non si concentrino tanto sulle politiche antiterroristiche dello stato ebraico e sulla loro eventuale efficacia, quanto invece sulla necessità tutta psicologica e astratta di abbracciare la mentalità di quel popolo. A pochi giorni dalla strage di Nizza il Sole 24 Ore ospitava un'intervista a un tal Dominique Moïsi, politologo francese esperto di Medio Oriente.
Eccone il succo: Mi riferisco all’israelizzazione delle teste, degli stati d’animo, dei pensieri. Dobbiamo entrare nell’ordine di idee che siamo in presenza di una minaccia permanente, imprevedibile, vicina e comportarci di conseguenza. Sviluppando una sorta di sesto senso per il pericolo. Ci serve un maggior controllo sociale, nei quartieri, nelle scuole, nei locali che frequentiamo, nelle famiglie. E ancora: ... il fatto è che da noi c’è la radicata convinzione che si possa, si debba, vivere come sempre, come prima. E addirittura che questa è la risposta migliore alla minaccia terroristica, quasi un valore. E invece non possiamo, non dobbiamo continuare a vivere come prima, come se non fosse accaduto nulla. Non servono orecchie raffinate per riconoscere in queste note lo stesso spartito interpretato dal nostro Enrico Letta. Se Moïsi - bontà sua - ritiene che il rischio di uno "scontro intercomunitario" o "guerra civile a bassa intensità" non debba essere "sovrastimato", per il resto si attiene al copione: dobbiamo avere paura, il pericolo è "permanente" (come e perché si sia materializzato non si sa, ma in compenso non avrà mai fine) e la nostra sicurezza impone un "maggior controllo sociale" e la rinuncia a vivere "come prima". È francamente imbarazzante constatare come da decenni il trabiccolo di queste intimidazioni continui a trovare udienza nell'opinione pubblica. Qui abbiamo un esperto che, in quanto tale, dovrebbe informarci sulla natura del problema e fornirci gli strumenti per risolverlo. Mentre invece, da buon tecnocrate, ci rappresenta il fenomeno come un postulato immutabile e privo di causa e contesto, sì da poter ribaltare il problema sulle vittime: siamo noi che dobbiamo cambiare per adattarci alla minaccia, come già prima dovevamo adattarci alla crisi. In che modo? Accettando di peggiorare le nostre condizioni di vita e conferendo poteri ancora più ampi a chi ci governa. Il che identifica non solo i fini delle politiche, ma anche degli appelli alla paura e alla remissione che puntuali le accompagnano.
Fonte: http://ilpedante.org http://www.comedonchisciotte.org/ 11 agosto, 2016
Dovete parlare di guerra civile
Il miglior modo per carpire i segreti dei padroni è ascoltare il chiacchiericcio dei servi. Così anche nel governo degli Stati, i cui rappresentanti più zelanti e servili non distinguono l'esoterico dall'essoterico, i piani inconfessabili dalla propaganda, le trame dei pochi dall'interesse dei molti. Omnia munda mundis. Per loro la pappa del padrone è buona anche quando è avvelenata, sicché di tanto in tanto ce ne squadernano gli ingredienti. Senza malizia, né vergogna. Il 14 ottobre 2015 il team di comunicazione del Partito Democratico alla Camera riportava le parole del deputato Enrico Borghi. L'onorevole si rallegrava del fatto che gli immigrati "si stanno sostituendo agli autoctoni nella filiera produttiva" manifestando così il senso deportazionista e destabilizzante delle politiche migratorie in corso. Meglio ancora, cioè peggio, aveva fatto un anno prima Laura Boldrini, che dalle stanze di una fondazione politica profetizzava testualmente:
Gli immigrati... sono l'avanguardia di questa globalizzazione, e ci offrono uno stile di vita che presto sarà uno stile di vita molto diffuso per tutti noi. Loro sono l'avanguardia di quello... dello stile di vita che presto sarà uno stile di vita per moltissimi di noi.
Con buona pace dei beati che ancora credessero il contrario: che cioè noi si accoglieva i disperati per offrire loro uno stile di vita più dignitoso. La voce tremebonda di Laura non lascia invece dubbi sul piano - come del resto anche i fatti. Lasciando alla memoria dei lettori altri esempi famosi - come quello di Stefania Giannini, ai cui padroni è toccato l'incomodo di smentire, e poi cancellare dal web, il gossip della serva indziscreta - qui ci interessa una delle ultime voci dal sen fuggite: quella di Enrico Letta, lo scialbo Enrico, il "servizievole maggiordomo dei poteri massonici" (cit. Gioele Magaldi) già primo ministro ad interim e diligente firmatario di una legge sul riordino del settore gas di cui abbiamo scritto su questo blog. Quel che carpisce ai piani alti Enrico lo spiffera, già da quando annunciava giulivo che saremmo morti per Maastricht. Oggi da Parigi discetta di terrorismo:
Dobbiamo parlare di guerra civile europea... Evidentemente gli attentati precedenti non hanno insegnato ancora abbastanza... Sì, dobbiamo imparare [a convivere con il terrore, modello Israele e] a trasformare la paura in risorsa di sicurezza. La paura deve portare alla moltiplicazione degli occhi, della difesa preventiva, della vigilanza. La prevenzione ha bisogno di un salto di qualità tecnologico e di... collaborazione tra i servizi di intelligence degli Stati. [Noi italiani non siamo] immuni. La strage di Nizza chiarisce in modo drammatico che ci siamo dentro completamente anche noi.
La parola guerra appare cinque volte nell'intervista, a partire già dal titolo: "È una guerra civile europea". Addirittura, dobbiamo parlare di guerra. Una disinvoltura agghiacciante, un pugno allo stomaco gratuito e apparentemente insensato da parte di chi per anni ha celebrato nell'integrazione europea il sommo garante della pace tra i popoli. Una forzatura che non può non essere voluta e progettata. Vediamo come e perché. Sul piano retorico, l'intervista integra un classico esempio di falsa profezia, genere editoriale vieppiù praticato in cui la volontà degli attori politici è presentata nei termini neutri di un futuro inevitabile e conseguente. Ripassiamone la grammatica:
Seguono esempi:
Non sfuggirà ai lettori più attenti che la grammatica della falsa profezia ricalca perfettamente quella dell'intimidazione. E in effetti i due generi coincidono in tutto salvo che nell'intenzione di chi esprime il messaggio: se latore consapevole dell'intimidazione o mero ripetitore. Per la partenogenesi dello spin, di cui parleremo in altra sede, la diffusione e l'efficacia di un'informazione falsa e/o distorta è solo in trascurabile parte da attribuirsi a chi la produce nella consapevolezza della sua falsità (lo spin doctor, o primum movens). Essa trae invece la sua vera forza dai successivi rilanci a cura di chi, credendovi senza riserve, la riformula autonomamente e la amplifica negli organi di stampa, sui social network e nelle sedi di confronto informale. Tornando al caso, è certo possibile che l'anemico Letta non sia l'ingenuo ripetitore/delatore di una storia in cui egli stesso crede, bensì l'affidatario di un'intimidazione da recapitare ai lettori. Il physique du rôle non gli mancherebbe: ex uomo di alte cariche (quindi presumibilmente iniziato alle segrete cose), pacato fino alla letargia (quindi caro ai moderati) e da qualche tempo riciclato come docente in una specie di Bocconi francese (quindi investito dei crismi del tecnocrate). Quale che sia la sua vera identità, il senso del messaggio non cambia. Ne proponiamo nel seguito una traduzione limitatamente allo stralcio citato: Dovete parlare di guerra civile europea. Dovete avere paura gli uni degli altri. La vostra paura è una risorsa per noi perché ci fornisce il pretesto per controllarvi, limitare la vostra libertà e la vostra privacy con nuovi strumenti di sorveglianza e integrare militarmente gli Stati. Poiché molti di voi si oppongono a queste misure, evidentemente gli attentati precedenti non vi hanno insegnato ancora abbastanza. Fino ad allora continueremo a colpirvi [opp. a creare le condizioni affinché continuiate a essere colpiti]. Anche in Italia: ci siete completamente dentro anche voi. Non ci dilungheremo in questa sede sul ruolo propedeutico della paura e del trauma all'agenda politico-economica neoliberista. Ne ha già scritto pagine esemplari, tra gli altri, Naomi Klein in The Shock Doctrine - inpportunamente diventato Shock Economy nell'edizione italiana - dove si apprende come negli ultimi 40 anni eventi materialmente e psicologicamente traumatici siano stati sfruttati, quando non deliberatamente cagionati, dai teorici del libero mercato per imporre le proprie riforme, secondo un piano d'azione esplicitamente formulato da Milton Friedman:
I seguaci della dottrina dello shock sono convinti che solo una grande discontinuità – un’inondazione, una guerra, un attacco terroristico – possa generare quelle tele vaste e bianche che così intensamente desiderano. In questi momenti malleabili, in cui siamo psicologicamente allo sbando e fisicamente sradicati, gli artisti del reale si mettono all'opera e iniziano il loro lavoro di ricreazione del mondo.
Di come l'intelligence statunitense, in mancanza di volenterosi martiri, fabbrichi a tavolino minacce terroristiche di matrice islamica per "mantenere viva la paura" abbiamo già scritto, con ampia documentazione processuale, su questo blog. Recentemente Maurizio Blondet ha evidenziato l'esistenza di casi analoghi anche in Canada, mentre il blog Voci dall'Estero ha documentato pratiche riconducibili al medesimo obiettivo da parte dei servizi segreti francesi. Lo stesso Enrico, per non essere proprio l'ultimo giullare a corte, ce la butta là:
Plagiare menti deboli e portarle a gesti sconsiderati si è rivelato semplice... Abbiamo saputo più niente delle falle nella sicurezza di Bruxelles? E come è stato possibile che il camion sia entrato nell’isola pedonale di Nizza?
Domande inquietanti. Lasciamo la traduzione all'esercizio dei lettori. |
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