http://www.eastjournal.net/ 24 giugno 2016
Una Jugoslavia Britannica? di Matteo Zola
E’ iniziato un percorso di possibile disintegrazione dell’Unione Europea. Tutti siamo consapevoli di assistere a una svolta storica, tra eccitazione e paura, gioia o sgomento, e da oggi scopriremo se davvero tragici saranno gli scenari, se cupi gli orizzonti, o se infine il male non verrà per nuocere. Lo shock della Brexit potrebbe costare molto sia a Londra che a Bruxelles. Le previsioni catastrofiche sono state molte già prima del voto tuttavia i britannici hanno deciso. Ma i britannici, questa è la domanda, esistono ancora? A ben vedere a rischiare una disintegrazione e anche il Regno Unito stesso.
Un paese lacerato Se osserviamo la distribuzione del voto vediamo quanto diverse siano le opinioni dei britannici, al punto da sancire profonde spaccature regionali che potrebbero, nel medio termine, portare a nuovi referendum, questa volta per decidere se restare o uscire dal Regno Unito. Molto dipenderà dalla capacità politica del prossimo inquilino di Downing Street, dimessosi Cameron, di ricucire gli strappi del paese. Vere e proprie lacerazioni, come si è potuto evincere da una campagna elettorale fatta di toni forti, violenze non solo verbali, culminate nell’omicidio della deputata Jo Cox. Una campagna elettorale in cui si è accusata l’altra parte di essere traditori della patria, costellata da molte falsità in entrambi i campi, e in cui si è assistito a pericolosi revisionismi storici.
Il revisionismo storico Revisionismi che, tirando per la giacchetta i defunti Nelson e Wellington, o il vecchio Churchill, o persino dimenticati re medievali, potrebbero far sorridere non fosse che proprio da questa rivisitazione della storia nasce spesso il mostro della violenza. Una comunità di economisti, storici, accademici sostenitori della Brexit, ha proposto una visione della storia britannica come ontologicamente avversa all’Europa, raccontata come un’alterità irriducibile. Diffondere una simile versione porta spesso a conseguenze drammatiche: il caso jugoslavo, con quel pernicioso memorandum dell’Accademia delle Scienze e delle Arti di Belgrado, che spianò la strada al nazionalismo serbo e alla pulizia etnica, ci dimostra che le identità create in vitro, manomesse o violate da intellettuali faziosi, possono scappare di mano. Certo il caso britannico non è paragonabile a quello jugoslavo, l’unico elemento comune è quello di una riscoperta di un proprio ruolo, storico e politico, da parte delle singole nazioni costituenti, per così chiamarle.
Scozia, un nuovo referendum per l’indipendenza? Il caso scozzese è il più evidente, dove un (fallito) referendum sull’indipendenza della Scozia non ha certo sopito i desideri del Partito Nazionale Scozzese, attualmente al governo a Edimburgo. Gli scozzesi hanno votato al 62% per rimanere nell’UE: un dato sul quale potrebbero far leva per ottenere un nuovo referendum che consenta loro di lasciare il Regno Unito ed entrare nell’Unione che, questa volta, è ben probabile non metterà i bastoni tra le ruote ai disegni indipendentisti come invece avvenne l’ultima volta.
Nord Irlanda, echi di guerra? Ma non c’è solo la Scozia, il caso del Nord Irlanda è assai più complesso. Qui il 52% ha votato per restare nell’UE ma le contee a maggioranza inglese, come Antrim o Londonderry, hanno registrato circa il 60% a favore dell’abbandono dell’Unione Europea. Al contrario le contee a maggioranza irlandese hanno visto il campo dei “Remain” vincere con punte del 66%. La spaccatura è quindi interna allo stesso Nord Irlanda, teatro di violenze e stragi dimenticate dal resto del continente, ma ben vive nella memoria locale, che ancora echeggiano nelle strade di Belfast e Derry. La comunità irlandese, con l’uscita del Regno dall’UE, si trova ora divisa dalla madrepatria da un confine che non sembrava dovesse tornare mai. Abbattere quel confine potrebbe essere la ragione di una ripresa delle armi, specie se Londra sarà governata da una destra ultraconservatrice e “churchilliana” – fu Churchill, oggi preso a modello dai leader della Brexit, come Nigel Farage e Boris Johnsson, a reprimere nel sangue le rivolte irlandesi del 1919. Discorso diverso per il Galles, dove il 52% si è espresso a favore dell’uscita dall’UE, e per la piccola Gibilterra, al 95% pro-UE ma troppo debole per alzate d’ingegno.
La balcanizzazione d’Europa e i giovani Questo referendum potrebbe aprire a conseguenze drammatiche per un Regno sempre più disunito, ed eventuali indipendenze regionali porterebbero nuovamente alla ribalta questioni simili, come quella catalana o fiamminga, con un secondo effetto domino sull’Europa. Il primo, lo vedremo, sarà quello dell’uscita dall’UE di altri paesi, come Olanda o Danimarca, fortemente scettici verso le politiche di Bruxelles. Forse, come già dicemmo, è l’Europa tutta a trovarsi in preda a una “balcanizzazione“, ma al netto delle prospettive tragiche (sempre le più facili da descrivere e immaginare) non è da escludere un effetto benefico per una Unione Europea che ha bisogno di un profondo ripensamento. Anche le prospettive di divisione del Regno Unito potrebbero rivelarsi mendaci: il 72% dei giovani britannici, indipendentemente dalla loro provenienza geografica, ha votato per restare nell’UE. Sono loro i britannici del futuro, e saranno forse loro a tenere insieme un paese preda di senili chimere. Probabilmente saranno i giovani europei a salvare l’Unione, se le cariatidi lussemburghesi verranno abbattute. Il dado è tratto, il Rubicone è attraversato – o forse è il Canale della Manica?
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