Fonte: http://johnpilger.com

Lunedì, 27 giugno 2016

 

Perchè i britannici hanno detto no all'Europa

di John Pilger

Tradotto da Gianni Ellena

 

Il voto di maggioranza dei cittadini britannici per lasciare l'Unione Europea è stato un atto di pura democrazia. Milioni di persone si sono rifiutate di sottostare al bullismo, di essere intimidite e ricusate con aperto disprezzo dai loro presunti superiori nei partiti principali, dai leader dell'oligarchia d'affari, delle banche e dei media.

In gran parte, questo è stato un voto di persone arrabbiate e demoralizzate dall'assoluta arroganza dei propugnatori della campagna "Remain" e dallo smembramento di una giusta e civile vita sociale in Gran Bretagna. L'ultimo baluardo delle riforme storiche del 1945, il Servizio Sanitario Nazionale, è stato così sovvertito dai Conservatori e da filibustieri spalleggiati dai Laburisti che sta combattendo per rimanere in vita.

Se ne ebbe un preavviso quando il Tesoriere, George Osborne, l'incarnazione sia dell'antico regime della Gran Bretagna che della mafia bancaria in Europa, minacciò il taglio di 30 miliardi di sterline ai servizi pubblici se le persone avessero votato nel modo sbagliato; un ricatto di enorme portata.

L'immigrazione è stata sfruttata nel referendum con un cinismo consumato, non solo da politici populisti di destra spaziale, ma da politici laburisti che attingevano alla propria antica tradizione di promuovere e coltivare il razzismo, un sintomo di corruzione non dal basso, ma dall'alto. La ragione per cui milioni di rifugiati sono fuggiti dal Medio Oriente – prima dall'Iraq, ora dalla Siria – sono le invasioni e il caos imperiale causati da Gran Bretagna, Stati Uniti, Francia, Unione Europea e NATO. Prima di allora, ci fu la volontaria distruzione della Jugoslavia, e prima ancora l'appropriazione indebita della Palestina e l'imposizione di Israele.

Forse gli elmetti se ne sono andati da tempo, ma il sangue non si è mai asciugato. Un disprezzo da diciannovesimo secolo per paesi e popoli, a seconda del loro grado di utilità coloniale, resta il nucleo della "globalizzazione" moderna, con il suo perverso socialismo per ricchi e capitalismo per poveri: la sua libertà per il denaro e la negazione della libertà di lavoro; con i suoi politici infami e i suoi dipendenti pubblici politicizzati.

Tutto ciò è ormai di casa in Europa, che arricchisce persone del livello di Tony Blair e impoverisce e toglie potere a milioni. Il 23 giugno, i britannici hanno detto ora non più.

La più infaticabile propugnatrice del cosiddetto "ideale europeo" non è stata l'estrema destra, ma una classe insopportabilmente patrizia per la quale l'area metropolitana di Londra è il Regno Unito. I suoi membri principali si considerano liberali, illuminati, colti difensori dello zeitgeist del 21° secolo, addirittura "cool". In realtà sono una borghesia dai gusti consumistici insaziabili e con antichi sentori della propria superiorità. Nel loro giornale preferito, il Guardian, si sono autocelebrati, giorno dopo giorno, con coloro che considerano l'UE profondamente antidemocratica, fonte di ingiustizia sociale e di un estremismo virulento conosciuto come "neoliberismo".

L'intento di questo estremismo è quello di installare una teocrazia capitalista permanente che assicuri una società di due terzi, con la maggioranza divisa e indebitata, gestita da una classe aziendale, e un bacino perenne di lavoratori poveri. In Gran Bretagna oggi, il 63 per cento dei bambini poveri crescono in famiglie di cui un componente lavora. Per loro, la trappola si è chiusa. Uno studio riferisce che più di 600.000 abitanti della seconda città della Gran Bretagna, Manchester, stanno "sperimentando gli effetti della povertà estrema" e 1,6 milioni stanno finendo in miseria.

Poco di questa catastrofe sociale è riconosciuto nei media controllati dai borghesi, in particolare dalla BBC, dominata da Oxbridge [vecchi alunni delle università di Oxford e Cambridge, ndt]. Durante la campagna referendaria, quasi nessuna analisi approfondita ha potuto intromettersi nell'isterico cliché circa il "lasciare l'Europa", come se la Gran Bretagna stesse per essere trainata in correnti ostili da qualche parte a nord dell'Islanda.

La mattina dopo il voto, un giornalista radiofonico della BBC ha accolto alcuni politici nel suo studio come vecchi compagni. “Bene”, ha detto a "Lord" Peter Mandelson, il disgraziato architetto del Blairismo, "perché questa gente lo vuole così tanto?". "Questa gente" è la maggioranza dei britannici.

Il ricco criminale di guerra Tony Blair resta un eroe della classe “europea” di Mandelson, anche se pochi lo diranno di questi tempi. Una volta The Guardian descrisse Blair come "mistico" ed è stato fedele al suo "progetto" di guerra rapace. Il giorno dopo il voto, l'editorialista Martin Kettle ha offerto una soluzione brechtiana per l'uso improprio della democrazia da parte delle masse. "Di sicuro noi ora possiamo essere d'accordo che i referendum sono un male per la Gran Bretagna", titolava il suo pezzo a tutta pagina. Il "noi" non era spiegato, ma capito – proprio come "questa gente" è stato capito. "Il referendum ha conferito meno legittimità alla politica, non di più", continuava Kettle. "...Il verdetto sul referendum dovrebbe essere spietato. Mai più."

Il tipo di spietatezza cui anela Kettle si trova in Grecia, un paese ormai proforma. Lì c'è stato un referendum e il risultato è stato ignorato. Come per il partito Laburista in Gran Bretagna, i capi del governo Syriza di Atene sono i prodotti di una classe benestante privilegiata, istruita, cresciuta nella falsità e slealtà politica del post-modernismo. Il popolo greco aveva coraggiosamente utilizzato il referendum per chiedere al proprio governo di cercare "condizioni migliori" presso uno stato immorale a Bruxelles che stava schiacciando il loro paese. Furono traditi, come gli inglesi sarebbero stati traditi.

Venerdì scorso, al leader del partito laburista, Jeremy Corbyn, è stato chiesto dalla BBC se avrebbe reso omaggio alla dipartita di Cameron, suo partner nella campagna "Remain". Corbyn ha elogiato con enfasi "la dignità" di Cameron e ha fatto notare il suo appoggio per i matrimoni gay e le sue scuse alle famiglie irlandesi per i morti del “Bloody Sunday”. Non ha detto nulla sulle politiche divisive e di brutale austerità di Cameron, delle sue bugie su come avrebbe "protetto" il Servizio Sanitario. Né ha ricordato le politiche guerrafondaie del suo governo: dell'invio di forze speciali britanniche in Libia e delle bombe britanniche in Arabia Saudita e, soprattutto, degli accenni ad una terza guerra mondiale.

Nella settimana del referendum, nessun politico britannico e, per quanto ne so io, nessun giornalista ha fatto riferimento al discorso di Vladimir Putin a San Pietroburgo durante la commemorazione per il settantacinquesimo anniversario dell'invasione dell'Unione Sovietica da parte della Germania nazista il 22 giugno 1941. Il sacrificio russo, al costo di 27 milioni di vite sovietiche e della maggioranza delle forze tedesche – vinse la seconda guerra mondiale.

Putin ha paragonato l'attuale frenetica raccolta di truppe Nato e materiale bellico ai confini occidentali della Russia all'Operazione Barbarossa del Terzo Reich. Le esercitazioni della Nato in Polonia sono state le più grandi dall'invasione nazista; l'Operazione Anaconda ha simulato un attacco alla Russia, presumibilmente con armi nucleari.

Alla vigilia del referendum, il segretario generale della NATO, l'opportunista Jens Stoltenberg, ha messo in guardia i britannici che avrebbero messo a repentaglio "pace e sicurezza", se avessero votato per lasciare l'UE. I milioni di persone che hanno ignorato sia lui che Cameron, Osborne, Corbyn, Obama e l'uomo che gestisce la Banca d'Inghilterra potrebbero, ripeto potrebbero, avere assestato un duro colpo a favore della vera pace e democrazia in Europa.


Link: http://johnpilger.com/articles/why-the-british-said-no-to-europe

25.06.2016

 

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