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25 giugno 2016

 

Juncker vuole evitare l’effetto domino: “voglio subito la lettera di divorzio”

di Enrico Oliari

 

Ci “districheremo dall’Ue senza fretta, non volteremo le spalle all’Europa. Restiamo europei e continuerete a viaggiare in Europa”. Così Boris Johnson, il vulcanico ex sindaco di Londra che è stato uno degli artefici della Brexit. Lo ha affermato ieri, tradendo un misto di tenerezza e di incredulità per un risultato che forse non si aspettava e che ha portato la Gran Bretagna su un sentieri ignoto.

Johnson sa che se le cose andranno male, che se le conseguenze dell’uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea saranno disastrose (come gli analisti si aspettano) per il popolo britannico, la responsabilità prima morale e poi politica sarà sua e dei suoi due colleghi Nigel Farage e Michael Gove.

Ma se Farage, dello Ukip, può permettersi di tutto, anche perché non siede in Parlamento e comunque sull’antieuropeismo spensierato e allegro ha costruito la sua immagine politica, Johnson sa che se secessione della Scozia e dell’Irlanda del Nord ci saranno, se si perderanno i posti di lavoro, se i mercati arrancheranno e se schizzerà alle stelle l’inflazione, l’immagine sarà quella del suo volto biondo e pacioccone. Il primo effetto è stato quello delle elezioni anticipate, dal momento che il suo collega di partito David Cameron annunciato le proprie dimissioni. Prudentemente per ottobre, giusto il tempo di lasciar distruggere dai fatti le mire di leadership e di premierato dello stesso Johnson.

Rasenta tuttavia il filo dell’arroganza quel “senza fretta”, “non voltiamo le spalle all’Europa”, come se fosse ancora Londra a dettare il passo.

Difatti, recandosi oggi a Berlino per un incontro con i ministri degli Esteri dei sei fondatori dell’Ue (Italia – Gentiloni, Germania – Steinmeier, Francia – Ayrault, Olanda – Koenders, Lussemburgo – Asselborn e Belgio – Reynders), il capo della Commissione Jean Claude Juncker è stato fermo: “L’uscita del Regno Unito dalla Ue – ha detto – non avverrà come un divorzio consensuale”. “Dopotutto – ha insistito – non è stata neppure una grande relazione amorosa. Non capisco perché il governo britannico abbia bisogno di aspettare sino ad ottobre per decidere se inviare o no la lettera di divorzio a Bruxelles, vorrei riceverla subito”.

La premura di Juncker non è una risposta dettata dal desiderio di vendetta, poiché il capo della Commissione sa benissimo che dietro ad un referendum c’è sempre la volontà popolare e comunque milioni di individui e di famiglie. Semmai Juncker punta a dare una segnale chiaro al fine di prevenire un effetto domino: se la Gran Bretagna pagherà salatamente la propria scelta, altri paesi ci penseranno due volte prima di giocare con referenda che se da un lato rappresentano la sacra, sacerrima, volontà popolare, dall’altro sono un sonoro boomerang che torna in faccia al popolo stesso.

Juncker mette premura, insomma, e non è disposto ad aspettare ottobre o i due anni indicati dall’articolo 50 dello Statuto per vedere i britannici fuori di casa: i mercati hanno bisogno di stabilità. Adesso

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