Fonte: Centro Studi La Runa

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06/10/2016

 

Ecumenismo cristiano: ritorno alla Tradizione ed al primato di Roma

di Daniele Dal Bosco

 

Tra il 16 ed il 21 settembre scorsi si è svolta a Chieti una sessione plenaria della Commissione mista internazionale per il dialogo teologico tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, che venne istituita nel 1979 da Giovanni Paolo II e dal Patriarca Ecumenico Dimitrios I. I lavori della Commissione hanno portato alla stesura di un documento intitolato “Sinodalità e Primato nel Primo Millennio. Verso una comune comprensione nel servizio all’unità della Chiesa”. Lo scopo della Commissione era di avvicinare ulteriormente le due parti, cattolica ed ortodossa, sul punto cruciale del primato, che fu uno dei due nodi cardine, assieme al Filioque, che portarono al Grande Scisma del 1054.

Dal primo incontro che la Commissione tenne a Rodi, nel 1980, a quello più recente di Ravenna del 2007, ci si era focalizzati sul concetto di comunione (koinônia) ecclesiale, nei suoi vari aspetti. In quest’ultima sessione plenaria, invece, la Commissione entra nel vivo della principale questione dirimente: il primato papale.

Ciò che balza all’occhio, scorrendo il documento finale redatto dalla Commissione (1), e come si evince già dal titolo del medesimo documento, è la volontà dei membri della Commissione di insistere sul ritorno al Primo Millennio, alle “origini” della cristianità, periodo in cui ancora l’universale (katholikós) dominava sulle particolarità dei diversi gruppi seguaci del Cristo. Il concetto dell’universale, sebbene il termine cattolico sia rimasto prerogativa della Chiesa cristiana occidentale, è stato in realtà conservato maggiormente nella Chiesa orientale ortodossa: non a caso, la scelta di una visione aristotelica (a partire dal tomismo, in particolare) e l’abbandono di quella platonica è, nella visione ortodossa, uno dei limiti principali della storia teologica del cristianesimo occidentale, fatto che avrebbe poi portato, dopo la Riforma luterana, alla visione cartesiana del mondo ed al conseguente Illuminismo, contro la cui deriva razionalista cercarono poi di imporsi una serie di intellettuali russi nella seconda metà dell’Ottocento (2).

In realtà, già nel documento di Ravenna del 2007 si gettarono le premesse per la discussione sul concetto di primato all’interno del cristianesimo. In quel documento si sottolineava come il primato sia una pratica tradizionale, in quanto «fondata nella tradizione canonica» e che il «fatto del primato a livello universale è accettato dall’Oriente e dall’Occidente», sebbene «esistono delle differenze nel comprendere sia il modo secondo il quale esso dovrebbe essere esercitato, sia i suoi fondamenti scritturali e teologici». Esso comunque «deve essere sempre considerato nel contesto della conciliarità» (3). La struttura gerarchica, tipicamente tradizionale, venne quindi ribadita come pratica insita nella tradizione cristiana. Il vescovo di Roma veniva riconosciuto come primus, in quanto titolare della “prima sede”, la Chiesa di Roma; tuttavia la Chiesa ortodossa russa non accettò le conclusioni di quel documento. C’era quindi da mettersi d’accordo sul modo in cui tale primato dovrebbe essere esercitato, e secondo quali fondamenti, scritturali e teologici: il recente documento di Chieti ha iniziato ad analizzare proprio questo punto nodale, dando tuttavia segnali molto chiari.

La soluzione che appare uscita dalla sessione plenaria di Chieti è una soluzione diplomatica, che da un lato conferma il primato della Chiesa di Roma, facendo riferimento a quanto avveniva nel primo millennio nelle cinque più importanti sedi episcopali (pentarchia), laddove «tra il quarto ed il settimo secolo, l’ordine (taxis) delle cinque sedi patriarcali venne riconosciuto, fondato su e autorizzato dai concili ecumenici, con la sede di Roma che occupava il primo posto e che esercitava un primato onorifico (presbeia tes times), seguita dalle sedi di Costantinopoli, Alessandria, Antiochia e Gerusalemme, in quest’ordine specifico, secondo la tradizione canonica» (4). Dall’altro lato, tuttavia, il documento sottolinea che tale “primato onorifico” di Roma non può essere separato dalla sinodalità, e tale rapporto andrà ulteriormente approfondito in futuri documenti.

Ci pare tuttavia importante ribadire due punti: da un lato, il riferimento esplicito ad un ritorno alla tradizione cristiana del Primo Millennio; dall’altro lato, e come conseguenza, la conferma esplicita del primato di Roma, per quanto svolto solo ed esclusivamente all’interno della sinodalità con le altre Chiese. Da un punto di vista tradizionale, metafisico ed italico, non ci paiono questioni di poco conto, considerando che tutte le 14 Chiese autocefale ortodosse hanno partecipato alla redazione del documento, con la sola esclusione di quella georgiana, storicamente indipendente anche rispetto alle altre Chiese ortodosse. E che, a differenza di quanto accaduto a Ravenna nel 2007, il Patriarcato di Mosca non ha posto obiezioni. Il Patriarcato della Terza Roma, al pari di quello della seconda Roma, accetta quindi il primato della Chiesa della Prima Roma, per quanto d’onore e non riferito esplicitamente alla discendenza dall’apostolo Pietro.

Appare chiaro che la collaborazione della delegazione russa, guidata dal Metropolita Hilarion di Volokolamsk, sia risultata determinante. Così come la mancata insistenza, da parte della medesima delegazione, sul problema dell’uniatismo ucraino, che avrebbe ulteriormente ritardato i lavori e la redazione del documento finale.

Tale documento non ha comunque alcuna valenza ufficiale, poiché dovrà essere ratificato dal Papa e dai Sinodi delle Chiese ortodosse. Non vi è dubbio tuttavia che abbia un significato non solo simbolico, un risultato favorito probabilmente anche da quanto avvenuto durante il concilio panortodosso di Creta dello scorso giugno, organizzato dopo oltre un millennio dall’ultima volta (ultimo sinodo ecumenico, Nicea II del 787, prima del Grande Scisma del 1054). Durante tale concilio, venne sottolineata l’importanza del dialogo tra le varie confessioni ortodosse ma anche di un dialogo ecumenico con le altre Chiese cristiane. Ciononostante la mancata presenza delle Chiese ortodosse russa, bulgara, antiochea e georgiana venne vista da molte parti come un successo parziale del concilio di Creta. Rimane aperto, inoltre, in ambito ortodosso, il problema del “primato”, con il Patriarcato di Mosca che cerca di far valere sempre più la legge dei numeri: per quanto ufficialmente il Patriarca di Costantinopoli sia tuttora primus inter pares tra le autorità ortodosse, la sua figura è infatti sempre più simbolica, considerando che in tutta la Turchia vi sono oggigiorno solo poche migliaia di greco-ortodossi.

È da sottolineare il fatto che questi tentativi ecumenici, in ambito teologico, sono tipicamente promossi dalla Chiesa cattolica e da quella ortodossa, storicamente più legate alla Tradizione cristiana delle origini, come in parte avviene anche nell’anglicanesimo, laddove le Chiese protestanti hanno invece una tendenza più liberale, in particolare nella versione calvinista e puritana di stampo americano.

Sarà interessante vedere quale tendenza, in seno alla Chiesa cattolica, prevarrà nel tempo: se quella più liberale, inaugurata dal Concilio Vaticano II e talvolta sostenuta da Bergoglio, o quella più tradizionale. Da ciò dipenderà molto del futuro di questi tentativi ecumenici, essendo meno probabile, rebus sic stantibus, che tale deriva liberale possa avvenire in ambito ortodosso.

 

Note

1http://www.chieti.chiesacattolica.it/chieti/allegati/213/Chieti%20D-ocument.Sept%2021.2016.FINAL%20VERSION.pdf

2 Si veda il nostro Putin e la nave dei filosofi.

3 http://www.vatican.va/roman_curia/pontifical_councils/chrst-uni/ch_orthodox_docs/rc_pc_chrstuni_doc_20071013_documento-ravenna_it.html

4 Vedi Nota 1.

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