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Domenica 11 Gennaio 2015

La banlieue, l'insurrezione, e il richiamo dell'ISIS

Sarebbero diverse migliaia i cittadini francesi che negli ultimi tre anni hanno deciso di lasciare la propria casa per raggiungere il Nord Africa o il Vicino Oriente per partecipare alle guerre civili o ai conflitti politici armandosi con le fazioni del variegato mondo dell’islamismo radicale. Nel caso della guerra civile in Siria le cifre aumentano, segnalando l’impennata di partecipazione di cittadini della Republique tra le fila dell’ISIS. Al di là degli strilli e del chiacchiericcio mainstream, davanti a quanto accaduto nella redazione del settimanale Charlie conviene, per un punto di vista antagonista, porsi anche la domanda su chi e perché nella Francia (ma si potrebbe parlare anche della Gran Bretagna) degli anni 00 decide di lasciarsi alle spalle la vecchia vita per imbracciare il fucile aderendo al progetto politico dell’ISIS?

Seguendo con attenzione il dibattito in corso sono pochi che hanno il coraggio di affrontare un grande evento da poco trascorso, che se colto come momento eclatante di una lunga storia, potrebbe aiutarci a rispondere alla domanda: l’insurrezione della banlieue del 2005 che per quattro settimane rivoltò periferia, e spesso, anche il centro di città e metropoli francesi. Si tratta di un grande rimosso del presente che per quanto ci riguarda interroga anche noi, verrebbe da dire, soprattutto noi che partecipiamo ad un progetto collettivo di trasformazione radicale dell’esistente.

Dai dati resi noti dalla stampa la maggior parte dei cittadini francesi che recentemente sono partiti verso i teatri di guerre civili sono abitanti della periferia (le così dette ZUS, zone urbane sensibili), hanno tra i 20 e i 40 anni, e quasi tutti già giudicati e condannati per “le infrazioni nei confronti dei depositari dell’ordine pubblico” (reati che in Francia vengono indicati con la sigla Ipdap). Gli stessi  autori del massacro di Charlie corrispondono a quella figura con cui la statistica e l’informazione ufficiale descrive il “banlieusard”. C’è da credere quindi che non pochi giovani parigini, e non solo, abitanti della banlieue, dopo aver partecipato all’insurrezione si siano diretti verso la bandiera nera dell’ISIS o nelle forme più ambivalenti e contraddittorie simpatizzino oggi per essa.

D’altronde l’identità banlieusard degli anni 00, è questa la lettura che proponiamo, si è costruita nel confronto/scontro con il Militare, il Poliziesco, il Giuridico, tramite la sua reazione al nichilismo distruttivo del consumo e alla desertificazione della periferia della Francia neoliberista. Ma come?  A ben vedere si tratta di un'identità proletaria che nel costituirsi nello scontro era ed è alla ricerca di un orientamento complessivo di progetto politico, valori etici e lunga prospettiva, che in assenza di altro, ha fatto volgere alcuni verso il richiamo dello Stato Islamico, o più in generale verso la proposta dell’islamismo radicale (per lo più le fazioni attuali vincenti dopo la sconfitta del demo-islamismo della fratellanza).

Durante l’insurrezione del 2005 l’elemento religioso era pressoché assente e gli sforzi del Governo e di certa stampa di imporre il paradigma dello scontro tra le civiltà fallì miseramente (anche le provocatorie decine di gas lacrimogeni lanciati dentro le moschee di periferia da parte della celere non sortirono l’effetto augurato), quindi si fece grande impiego del lessico di battaglia metropolitano come banditi, barbari, stranieri, e feccia: “la racaille”, pronunciata da Sarkozy, allora Ministro degli Interni, poco prima che venisse dichiarato lo Stato di Emergenza Nazionale. In realtà si trattava di giovani cittadini francesi, figli della prima, seconda, terza generazione migrante abitanti della banlieue che, notte dopo notte di scontri, facevano a pezzi l’ideologia repubblicana francese, che tramite lo jus soli (vigente in Francia dal 1851) formalmente stringeva un patto assimilazionista dichiarandosi disponibile a scambiare la piena cittadinanza e condizioni materiali godibili per la neutralizzazione dell’identità etnico-culturale d’origine.

Un patto che era attivo, non senza accesi conflitti e scontri politici e sindacali, durante la prima industrializzazione del paese e che vedeva come oggetto la mano d’opera migrante proveniente soprattutto da altri paesi europei (Italia, Spagna, Portogallo, Belgio), e che se già alla fondazione delle prime organizzazioni politiche dell’immigrazione post-coloniale come il Mouvement des Traivalleurs Arabes nel 1970 appariva debolissimo per questo ampio segmento di classe, nel 2005 è un vero cane morto, trascinato stancamente dalle elites nei talk show o sulle colonne di qualche giornale.

Già con il governo socialista Rocard (1985 -1989) le risorse pubbliche da destinare al welfare nella banlieue diminuiscono e le istanze della  “Marche pour l’égalité e contro le racisme” del 1983 vengono completamente disattese. La marcia toccò le maggiori città dell’esagono ponendo il problema politico delle condizioni di vita nella periferia, la scarsità del welfare e il relativo incremento di razzismo riversato dalle istituzioni contro gli abitanti della periferia. Ma al di là dei proclami e della sventolata “solecitude” della sinistra francese la situazione continuò a precipitare fino agli anni 90, decennio in cui per l’ultima volta si ha una forma organizzata del conflitto e dello scontro sociale nella banlieue tramite il MIB, Mouvement de l’Immigration et des Banlieues, attivissimo nelle lotte per il diritto all’abitare e l’accesso al welfare, e nell’autodifesa dalle violenze razziste della polizia, soprattutto perpetrate dalla BAC (Brigade anti-criminalité, corpo speciale autore di violenze, brutalità e omicidi razzisti nella periferia francese).

Sul finire del secolo scorso il MIB viene battuto a suon di repressione e in rari casi di cooptazione istituzionale, lasciando la banlieue senza strumenti di politicizzazione esplicita (eccezion fatta per il rap) a subire la desertificazione neoliberista.

Fine totale della mobilità sociale, assenza di servizi e di accesso alla sanità e ad un percorso formativo e scolastico desiderabile, esclusione dalla mobilità urbana, aumento della disoccupazione e precarietà hanno fatto in modo che il conflitto sociale aumentasse e che nella latenza di forme organizzate antagoniste i banlieusards si ritrovassero in dialettica con la polizia e con la sola sfera giuridica. Vittima di abusi o protagonista di vendette è nella sfera giuridico-poliziesca che si forgia questa originale e ambivalente figura del “partigiano” della periferia che usa le piattaforme web dei primi blog hiphop e gli sms per organizzarsi durante lo scontro, che sniffa speed sulle barricate, usa il rap e i graffiti per gridare contro la città neoliberista e sfascia macchine, mezzi pubblici, incendia scuole, uffici dei servizi comunali e tenta, barricate su barricata ,di avvicinarsi al centro città, da quel trionfo dei consumi promessi ma da cui è stato escluso a colpi di cazzotti della BAC e dal carcere dei tribunali francesi.

E’ il partigiano “tragico e lacerato dalla solitudine politica” dell’insurrezione della banlieue nel 2005, la cui composizione si presentava già gravida di ambivalenze, ruvida ed esposta a polarizzazioni per niente scontate. In assenza di un Pagacev e senza piattaforme rivendicative, il banlieusard incendiava mezzi di trasporto, devastava edifici pubblici e privati ed attaccava la polizia, muovendosi nella dialettica con cui aveva costruito e ricostruiva la propria identità, ovvero quella della sfera militare, poliziesca e giuridica. Era un farsi strada nella desertificazione della periferia nella metropoli neoliberista secondo gli schemi identitari della contrapposizione alle uniche forme con cui lo Stato si era presentato nella banlieue: frontiere urbane armate, repressione e processi.

L’autunno di scontro del 2005, acceso dall’omicidio di 2 ragazzini durante un lungo inseguimento di  polizia a Saint Denis (quartiere parigino da cui provengono i due protagonisti della strage di Charlie), chiude soggettivamente un ciclo di lotte quasi quarantennale della banlieue,e avrebbe potuto aprire spazi straordinari di possibilità a nuove forme di organizzazione del conflitto e sperimentazione di progetti collettivi, eppure il movimento contro la guerra in Irak (esito del movimento e della sinistra altermondialista dei controvertici) o i movimenti precari e studenteschi non vi misero neanche piede, mostrando una divaricazione tra gauche, ultra-gauche e banlieue che  con il tempo si sarebbe ulteriormente aperta. Quando nel Febbraio del 2006 i liceali e le università si mobilitano contro il Cpe (che avrebbe introdotto nel mercato del lavoro francese la possibilità di licenziamento  senza giusta causa per giovani impiegati dai 18 ai 25 anni) “la questione della banlieue” non è considerata politicamente dalla composizione del movimento contro la precarietà, che una volta vinta la battaglia rifluirà nelle classi e nelle facoltà.

L’insurrezione del 2005 ha reso manifeste le sue rivendicazioni implicitamente e si è caratterizzata esplicitamente in una dialettica belligerante banliuesards-poliziotto, o banliueue/repressione consolidando la formazione di un'identità giocata sul Militare. Per ipotesi è a partire anche da questo dato che pensiamo all’orientamento di una parte di questa composizione verso il CALL OF DUTY dell’ISIS, dove l’estetica della jihad soddisfa in modo perverso l’ambivalente desiderio di accesso ai consumi e l’affermazione di giustizia sociale viene codificata dalla generica promessa di legge divina da inverare sulla terra. Invitiamo a leggere con grande attenzione CROCEFISSIONI RIPRESA DALLO SMARTPHONE. ANTROPOLOGIA POLITICA DELL’ISIS approfondimento pubblicato tempo fa da Senza Soste a firma di Nique la Police che in modo davvero puntuale e preciso analizza l’antropologia politica e l’estetica dell’islamismo radicale promosso dall’ISIS. Spiega tra l’altro come le immagini delle Cartoline dal Califfato (dove si vede una vita serena e dolce propria di un nuovo paese della Cuccagna) si mescolano al Flames of War (tra crocifissioni, mercati di schiave, e teste mozzate) offrendo quella soddisfazione (perversa) di reddito e giustizia mai trovata nella banlieue e ora offerta nella nuova terra promessa. Anche da questo punto di vista è chiaro come il paradigma dello “scontro delle civiltà” sia una sorta di attivatore dello scontro nella civiltà capitalistica espungendone le determinazioni di classe, e le possibilità di liberazione e autodeterminazione proletaria. Nei fatti il paradigma dello “scontro tra le civiltà” slitta violentemente il conflitto di classe in conflitto intra-capitalistico tramite la confessionalizzazione, e l’etnicizzazione dello scontro, inerendo immediatamente anche sul livello geopolitico degli interessi dei diversi imperialismi in gioco.

Eppure la banlieue francese non ha mai visto un processo politico di islamizzazione fino ad oggi e la composizione del proletariato giovanile della periferia si è spesso distaccata anche dall’islam tradizionale praticato dalla propria famiglia. Il richiamo magnetico dell’ISIS funziona soprattutto sulla desertificazione del territorio e sull’assenza di un progetto radicale e rivoluzionario all’altezza dei bisogni, dei problemi e delle aspettative della popolazione della periferia urbana. Il paradosso con cui abbiamo a che fare è che con i processi rivoluzionari del 2011, anche colti nel loro esito attuale, sempre maggiori parti del proletariato giovanile e del ceto medio nord africano e del vicino oriente hanno abbandonato, o rifiutato o sono entrati in conflittualità aperta con l’ipotesi demo-islamista, e a ben vedere dai numeri in campo almeno sul sud e sull’est del mediterraneo la chiamata dell’ISIS non ha mosso che uno zoccolo duro e preesistente all’avanzata del califfato tra la Siria e l’Irak. Quindi la banlieue parigina e il fenomeno tragicamente emerso in questi ultimi giorni interroga soprattutto noi che in continuità con l’esperienza del Rojava sperimentiamo autonomia e antagonismo al sistema capitalistico, e per non essere degli spettatori delle tragedie in casa o tifosi dei trionfi all’estero, una risposta siamo chiamati a tentarla, a partire dai nostri territori, dai nostri limiti ma anche dagli spazi di possibilità che se non colti possono diventare territorio del nemico a venire.

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