L'Huffington

07/05/2015

 

L'attacco yemenita mette a nudo la nullità militare di Ryad. Che deve fare i conti anche con Islamabad

di Carlo Panella

 

La proposta di una tregua di 5 giorni nello Yemen avanzata dall’Arabia Saudita ha una motivazione clamorosa: le milizie yemenite Houti, supportate dall’Iran, hanno sfondato il 5 maggio il confine meridionale dell’Arabia Saudita e stanno puntando alla conquista della città di Najran, bombardata con razzi katyusha da 122 millimetri e da colpi di mortaio. Nei giorni successivi i combattimenti sul confine, ma su territorio saudita, sono continuati con una sostanziale perdita di terreno da parte di Ryad. I ribelli sono addirittura riusciti ad abbattere il 7 maggio un elicottero da combattimento saudita. Nonostante le rassicurazioni delle autorità saudite, l’avanzata delle milizie Houti pare quindi non contrastata a sufficienza da un esercito di Ryad che si dimostra incapace di sventare questa minaccia già palese da settimane. La decisione annunciata dalle autorità saudite di chiudere l’aeroporto e di iniziare le operazioni di sgombero della popolazione civile da Najran indicano che giudicano che la città possa cadere sotto il controllo degli yemeniti. Probabilità rafforzata dal tono delle dichiarazioni ufficiali del portavoce della Coalizione Militare araba Ahmed al Asiri che non a caso usa il futuro, e non il presente, nel parlare della reazione saudita: “Sappiamo con esattezza da dove è partito l’attacco e le forze di terra saudite entreranno presto in azione per assicurarsi che non succederà più”.

Più che marginale sul piano militare, l’attacco yemenita a Najiran è invece esplosivo sul piano geopolitico e mette in luce un elemento cruciale per tutto il Medio Oriente: l’Arabia Saudita è un gigante economico ma è un nano sul piano politico e una nullità assoluta sul piano militare. Constatazione che, nella contingenza attuale, nel pieno del passaggio da Guerra Fredda a guerra calda tra sciiti e wahabiti, tra paesi del Golfo e Iran e nella trattativa sul nucleare, ha un impatto immenso.

La successione dei fatti è impietosa per lo stesso onore militare di Ryad. Da più di due settimane l’Arabia Saudita ha chiesto al Pakistan l’invio di una divisione da dislocare al suo confine con lo Yemen perché le sue truppe – costosissime e armatissime - si sono subito rivelate assolutamente inefficaci sul campo anche perché composte da mercenari in larga parte. Il Pakistan però – nostra notizia riservata - ha rifiutato di fornire al pluridecennale alleato (che di fatto ha finanziato la sua bomba atomica) questo apporto militare. La ragione è semplice: Islamabad fa sì parte della “Nato araba”, ma non ha nessuna intenzione di guastare i rapporti di buon vicinato che intrattiene con il regime degli ayatollah iraniani, che teme. E non poco.

I cento “consiglieri militari” pakistani inviati al confine tra Yemen e Arabia al posto della divisione richiesta hanno comunque permesso di contenere per una decina di giorni la pressione degli Houti. Ma anche il dispiegamento nella zona di attrito dei militari delle truppe di élite saudite della Guardia Nazionale si è rivelato inefficiente. Anche quello che doveva essere il comparto d’acciaio delle Forze Armate saudite si è rivelato inadeguato. Infatti, i miliziani yemeniti Houti (con l’appoggio di reparti sunniti fedeli all’ex presidente Saleh), hanno prima conquistato, poi consolidato alcune posizioni strategiche a monte delle postazioni saudite. Martedì hanno evidentemente deciso di sferrare l’attacco al territorio saudita in direzione di Najiran.

La impenetrabile cappa di informazioni di uno dei più autoritari stati del mondo, quale è la medioevale Arabia Saudita, impedisce di avere informazioni più accurate e chiare. Ma resta il dato di fondo su cui si calibrerà tutto il prosieguo del duro confronto tra Stati sunniti e Stati sciiti dei prossimi mesi: i primi soffrono di una carenza di forza militare (incluso l’Egitto, esclusi solo Giordania, Marocco e Ciad) che non può non essere messa in relazione con le palesi carenze di dottrina e legittimazione politica.

In questo contesto, con l’abituale tempismo, J.F. Kerry è arrivato il 6 maggio a Ryad per mediare una “tregua umanitaria” in uno Yemen che l’aviazione saudita (unico comparto militare efficiente di Ryad) continua a bombardare intensamente. I precedenti del personaggio non fanno certo sperare per il meglio. Anche perché questa tregua, a questo punto, favorirebbe essenzialmente Ryad e i suoi alleati, in grado solo di effettuare bombardamenti con l’aviazione, che fanno moltissime vittime civili, ma che ovviamente non sono risolutivi sia ad Aden, che nello Yemen, che alla frontiera yemenita saudita.

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