http://www.affarinternazionali.it/ 04/11/2015
L’Alba del Giorno Dopo il Trionfo di Erdogan di Dimitar Bechev Direttore dell’European Policy Institute in Sofia e Nathalie Tocci vicedirettore dell’Istituto Affari Internazionali
Amatelo o odiatelo, ma Tayyip Erdogan ha dimostrato, ancora una volta, il suo eccezionale talento di operatore politico.
Dopo la scarsa performance registrata nelle ultime elezioni dello scorso giugno, quelle che hanno portato a un parlamento frammentato, il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp) ha ottenuto la maggioranza della Grande Assemblea Nazionale Turca, guadagnando 4.5 milioni di voti in più.
Avendo incrementato i consensi, da 40.9% a 49.4%, l’Akp è ora in grado di formare un governo monocolore e, in questo modo, la Turchia è pressoché tornata alla condizione precedente al giugno scorso. Infatti, un presidente potente e ambizioso, eletto a suffragio diretto, ha pieno controllo delle autorità legislative. Anche se ufficialmente si presenta come una figura neutrale, nella pratica Erdogan può guidare le linee politiche del governo.
Turchia verso un regime presidenziale La Turchia ha completato, a tutti gli effetti, la transizione verso un regime presidenziale, sebbene l’Akp sia a corto di tredici seggi per la maggioranza super-qualificata di 330 deputati richiesti al fine di indire un referendum a modifica della costituzione.
I disordini e la polarizzazione dei mesi passati sembrano aver giocato a favore di Erdogan. Infatti, la rinnovata guerra con i curdi del Pkk e i crudeli attentati ad Ankara del 10 ottobre hanno dato credito alla campagna dell’Akp che ha promesso ai cittadini stabilità e sicurezza tramite il governo di un unico partito.
Come alla vigilia delle elezioni del 2011, lo scontro del governo con il Pkk ha dato i suoi frutti: due milioni di elettori hanno scelto di punire il Partito del Movimento Nazionalista, Mhp, che è passato dal 16.3% a 11.9%, dimezzandoil numero dei suoi seggi.
Emorragia interna per i filo turchi dell’Hdp Il Partito Democratico del Popolo di stampo filo-turco, Hdp, ha dovuto incassare il duro colpo di un’emorragia elettorale, subendo una consistente perdita di voti, perdendo circa il 3% rispetto a giugno e attestandosi al 10,7%, quanto basta per entrare il Parlamento.
La maggioranza dei voti li ha persi nel sud-est della Turchia, dove i curdi più conservatori, alienati dagli attacchi del Pkk soprattutto nei centri urbani come Cizre, hanno ritrattato il loro sostegno all’Hdp tornando tra le braccia dell’Akp.
Anche sel’Hdp ha dimostrato, ancora una volta, che la soglia del 10%, prevista per la rappresentanza in parlamento, non è né deve essere un ostacolo, è anche vero che ha subito un grande schiaffo morale essendo raffigurata, da parte del governo, come una mera estensione del Pkk, considerata una “organizzazione terrorista”. L’unica magra consolazione è che con 59 deputati in parlamento, l’Hdp avrà una più ampia rappresentanza nel parlamento che andrà a formarsi rispetto a quella dei nazionalisti dell’Mhp.
Infine, rimane sorprendente che il Partito Popolare Repubblicano, Chp, la principale opposizione in forze, continui a essere uno spettatore degli eventi che caratterizzano la politica turca. Costretto nel proprio ghetto elettorale, pari al 25% di consensi, il Chp non è in grado di costituire una sfida credibile per Akp. Hdp e Mhp fanno notizia per un semplice motivo: possono competere e sottrarre voti ad Akp, nonostante le loro dimensioni siano meno di un terzo di quelle di quest’ultimo. Non è il caso dell’Chp, a dispetto del suo quarto di voti dell’elettorato.
Il presidente turco naviga, ormai, con il vento in poppa, a vele spiegate. Il governo monocolore che verrà formato è un segnale positivo per gli investitori internazionali. La lira turca è salita del 3% rispetto al dollaro, dopo essere precipitata del 25% nel corso dell’ultimo anno e, solo il 2 novembre, la borsa di Istanbul è cresciuta del 5%.
Senza alcun dubbio, questa situazione potrebbe mutare repentinamente, specialmente se il nuovo governo decidesse di mandare a monte le riforme economiche, a causa di calcoli politici a breve termine e dell’interferenza proveniente dal palazzo presidenziale.
Da tenere d’occhio sono, sicuramente, le modalità in cui il prossimo governo sarà composto, e l’equilibrio tra i tecnocrati e i lealisti di Erdogan. C’è poi Davutoglu, a cui il solido risultato delle elezioni ha fornito una forte legittimità democratica.
Rilancio del processo di pace con Pkk Dopo aver ripreso in pugno il controllo politico, spetta a Erdogan e al suo partito Akp tenere lontano il paese dall’orlo del disastro. La più grande sfida è il rilancio del processo di pace con i Curdi dopo il primo di novembre, il presidente non ha niente da guadagnare se i combattimenti continuano. Tuttavia, il processo di pace potrebbe prendere forme diverse. Erdogan potrebbe optare per ricominciare le trattative di pace aprendo un canale esclusivo con Ocalan e il Pkk, o anche con l’Hdp.
Rilanciare il processo di pace può, oltretutto, solamente rinforzare la posizione di Erdogan nella regione. Infatti, Ankara è in ritirata in Siria, dove l’intervento del Cremlino ha escluso l’apertura di una zona di interdizione aerea, con grande sgomento da parte della Turchia.
L’autoproclamatosi “stato islamico” è passato dall’essere un alleato sotto copertura a una sfida formidabile per la stabilità interna turca. Suona infatti ironico che il primo ministro turco, Davutoglu, architetto della politica, diventata uno slogan, del “nessun problema coi vicini”, abbia dichiarato guerra su più fronti - contro Assad, il Pkk/Pyd e Califfato. Ritornare al tavolo dei negoziati internamente migliorerebbe la reputazione turca all’estero, considerando le trattative lanciate a Vienna sulla Siria.
Ora tutti i riflettori sono puntati su Erdogan che si è dimostrato un indiscutibile maestro in materia di politica turca. I riflettori sono puntati tutti su di lui per far si che, adesso, inizi anche a curare il paese dalle deleterie ferite e polarizzazioni, ponendo le basi per il rilancio del percorso delle riforme.
Dimitar Bechev è Direttore dell’European Policy Institute (Sofia) e Visiting Scholar presso il Center for European Studies, Harvard University. Nathalie Tocci è vicedirettore dello IAI. |