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10 ottobre 2015

 

Turchia, dolore e rabbia tra i superstiti di Ankara

di Piero Castellano

 

Per le strade della città dopo le esplosioni che hanno fatto strage di pacifisti. I soccorsi in ritardo, i lacrimogeni della polizia contro i manifestanti vittime dell'attentato, gli appelli alla calma e alla donazione di sangue, il numero dei morti che aumenta di ora in ora

 

La capitale turca si è svegliata in un incubo. Due bombe su una manifestazione per la pace organizzata dal Partito per la Democrazia dei Popoli (Hdp) hanno fatto strage di giovani pacifisti e membri dell'HDP che si stavano radunando davanti alla stazione ferroviaria di Ankara.

 

Che era accaduto qualcosa di grave lo si è capito quando le strade si sono svuotate di colpo del traffico sonnolento del sabato mattina: gli anni di piombo turchi hanno lasciato esperienze dure da dimenticare. I supermarket, le piazze, i centri commerciali sono rimasti all'improvviso deserti.

 

Due esplosioni, probabilmente opera di kamikaze, avevano fatto strage tra i partecipanti alla manifestazione per la pace in programma da mesi. Si era sparsa la voce di una terza bomba, di altri attentatori in città, e tutti si sono allontanati in fretta dai luoghi affollati.

 

Immediatamente sono stati lanciati appelli a donare sangue, e le file di donatori si sono incrociate con quelle dei sopravvissuti che aspettavano notizie delle vittime. Il Ministero della Sanità assicurava che la situazione era sotto controllo e che non c'era necessità di sangue. Quasi contemporaneamente nuovi appelli alle donazioni venivano filmati dai giornalisti sul posto, aumentando la confusione.

 

Il polo ospedaliero di Ankara, il più grande e prestigioso del Paese con gli ospedali delle Università di Ankara e di Hacettepe, si trova vicinissimo al luogo dell'attentato, ma a detta di testimoni, le ambulanze hanno impiegato quasi mezz'ora per raggiungere i feriti: a parte la folla di migliaia di persone che già occupava la strada prima delle esplosioni, i soccorsi sono stati ritardati dalla reazione della polizia, che ha quasi immediatamente reagito sparando lacrimogeni e proiettili di plastica sulla folla.

 

Sila, 20 anni, studentessa alla Hacettepe, era col gruppo chiamato "Haziran" ("Giugno"), richiamo alle proteste di Gezi del giugno 2013. Si stavano radunando fuori dalla stazione, quando a un centinaio di metri c'è stata l'esplosione. "Dicono che ce ne sia stata una seconda poco dopo, ma non ho sentito - racconta senza emozione, lo sguardo fisso - Stavo fuggendo e ho sentito la puzza dei lacrimogeni, poi mi sono fermata ad aiutare a trasportare un ferito, un uomo molto grosso e pesante. Mentre lo portavamo via, sono caduta, sono inciampata in qualcosa, e ho visto che era il corpo di un bambino. Sono scappata".

 

Fuori dagli ospedali, volontari distribuiscono bottigliette d'acqua e succhi di frutta, aiutano a mantenere la calma, prendono nomi e numeri di telefono di donatori con gruppi sanguigni non urgenti. Molti donatori arrivano con la loro bottiglietta, alcuni sentono chiamare dal megafono il loro gruppo come "urgente!", e corrono dentro.

 

Mentre tutti si affannano a lanciare appelli e a contattare amici dispersi, si sparge la voce che Twitter è di nuovo bloccato. Una ragazza ha una crisi isterica e sbatteva a terra il suo smartphone, urlando e inveendo contro il governo. Un amico l'accompagna via.

 

Improvvisamente, da un grupo di donne curde che sedeva intorno a una signora in lacrimee, sale un grido e viene invocato un nome: "Selo!". E' arrivato Demirtas, il leader dell'HDP che per la prima volta ha portato un partito d'ispirazione curda in Parlamento, solo per vedere la legislatura sciolta immediatamente per tornare alle urne. Un giovane fa in tempo a baciargli la mano, Demirtas abbraccia il fratello di una vittima, e una marea umana lo sommerge e lo porta fino all'ospedale, mentre la sicurezza tenta di fargli spazio.

 

La folla urla "Erdogan assassino": ci sono pochi dubbi tra la gente fuori dagli ospedali che il "Palazzo", la cerchia del presidente, ormai considerata come un gruppo persino diverso dal Partito, sia quanto meno corresponsabile dell'attentato.

 

Dal quartier generale dell'Hdp, la cui sede è stata evacuata per precauzione, arriva un elenco delle vittime continuamente aggiornato.

 

La scena delle esplosioni è un carnaio: tra le centinaia di bandiere e di cartelli che chiedono "Pace, subito!", resti umani e macchie di sangue. Pare si sia trattato di un attentato suicida, come a Suruç ma con la stessa tattica della doppia bomba come a Diyarbakir: entrambi attacchi attribuiti allo Stato islamico, ma non rivendicati.

 

Il primo ministro Davutoglu ha affermato in tv che tra i sospetti ci sarebbero comunque anche gruppi di sinistra come lo stesso Pkk curdo e il discusso Dhkp-C, che rapì un magistrato a maggio. Ma si è anche scagliato contro Demirtas, che ha accusato di "provocazione" per le sue durissime dichiarazioni contro il governo, e non ha esitato a esortare gli elettori a "ricordare l'atteggiamento dell'Hdp quando voteranno."

 

Dal canto suo, l'Hdp, dopo tre massacri, ha cancellato tutte le manifestazioni elettorali in vista della consultazione del primo novembre. Se la sicurezza giustifica ampiamente la precauzione, viene da chiedersi quanto regolari e democratiche possano definirsi delle elezioni in cui, a prescindere dalla drammatica situazione nel Sud-Est, uno dei principali partiti d'opposizione deve rinunciare a manifestazioni di piazza per evitare che i suoi elettori vengano massacrati.

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